Eni ha fatto sapere di aver ricevuto da Gazprom una comunicazione su una riduzione dei flussi relativamente all’approvvigionamento gas verso l’Italia. Poche ore prima il colosso russo aveva annunciato di aver ridotto del 40% i flussi di gas via il gasdotto Nord Stream 1 che collega direttamente la Russia alla Germania.
Le ragioni della diminuzione di forniture verso l’Italia non sono state notificate, mentre per quanto riguarda la Germania la spiegazione sarebbe da ricercare – almeno secondo le dichiarazioni ufficiali di Gazprom – nel ritardo durante i lavori di riparazione di un gasdotto sul Mar Baltico. Sarebbe colpa, secondo Bloomberg, di una turbina bloccata in Canada a causa delle sanzioni contro la Russia.
Questi tagli agli approvvigionamenti spingono nuovamente verso l’alto il prezzo del gas, che nell’ultimo mese aveva registrato una diminuzione rispetto alle prime fasi della guerra scatenata dalla Russia. Il tutto a favore delle politiche del Cremlino, che trae vantaggio dal creare difficoltà economiche ai Paesi europei.
Le decisioni di Gazprom, quindi indirettamente del governo russo, non spuntano per caso. Arrivano alla vigilia del viaggio diplomatico del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Kiev. In questo modo, Vladimir Putin sembra mandare un messaggio politico prima ancora che economico a due dei più grandi Stati europei: ogni tentativo di dimostrarsi vicini a Volodymyr Zelensky e al suo Paese va frenato, colpito, punito.
«Il tempismo di queste decisioni non è casuale», dice a Linkiesta Alessandro Marrone, responsabile del Programma “Difesa” dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). «Questi tagli danneggiano più l’Europa che la Russia, il loro uso sul piano diplomatico è tattico da parte russa per aumentare il carico di pressione e indebolire il fronte politico dell’Europa a sostegno dell’Ucraina».
Le forniture energetiche da cui i Paesi europei ancora dipendono – almeno in parte – diventano quindi una leva nelle mani del Cremlino, che la usa a piacimento per provare a scoraggiare i governi nazionali dal fornire sostegno politico, economico e soprattutto militare all’Ucraina.
«La Russia si prepara a una guerra lunga, l’unico modo che ha per ottenere il più possibile sul campo dopo i fallimenti delle prime offensive tra febbraio e marzo», spiega ancora Alessandro Marrone. «Per andare avanti ha bisogno che gli alleati occidentali riducano il loro sostegno militare a Kiev, che fin qui è stato decisivo». A livello strettamente militare infatti il supporto europeo all’Ucraina è stato fondamentale per permettere alla resistenza di reggere in tutti questi mesi, per salvare Odessa, Kiev, Kharkiv.
Allungare il conflitto, dal punto di vista russo, significa rendere l’impegno delle capitali europee sempre più gravoso. E far salire ancora l’inflazione attraverso la leva delle forniture energetiche vuol dire rincarare la dose, scoraggiare ulteriormente i governi provando a minarne il consenso: un modo per generare scontento in Europa e poi a valle, indirettamente, sollevare la questione sull’opportunità di continuare a sostenere l’Ucraina.
«Non dobbiamo dimenticare che non tutte le sanzioni adottate negli ultimi mesi stanno effettivamente danneggiando l’economia russa, l’industria russa, quindi la capacità del sistema di sostenere lo sforzo bellico», dice Marrone.
Da un lato, le sanzioni che riguardano il mondo finanziario, importazione ed esportazioni di merci, il settore tecnologico, hanno colpito l’economia e la società russa. Altre, come quelle sulle forniture di petrolio e di gas, decisamente meno.
«Dall’inizio della guerra, la riduzione dei volumi di gas arrivati in Europa dalla Russia ha portato un aumento dei prezzi al metro cubo, e molti studi e molti osservatori hanno notato come la Russia negli scorsi tre mesi abbia guadagnato come se le sanzioni non ci fossero state», spiega Marrone. « Dal momento che non sono state accompagnate da un tetto al prezzo del gas – aggiunge – le sanzioni energetiche adottate hanno avuto un effetto distorsivo sul mercato, per cui i prezzi sono aumentati, il fornitore ne ha beneficiato mantenendo un guadagno costante nel tempo, e i clienti, quindi i Paesi europei, sono quelli veramente colpiti: il messaggio che Putin vuol far passare è che per come funzionano le sanzioni e le dipendenze dagli idrocarburi russi, è il Cremlino ad avere il coltello dalla parte del manico».