La lenta normalizzazionePerché Christine Lagarde vuole alzare (di poco) i tassi per contrastare l’inflazione

La presidente della Banca centrale europea ha definito il programma di politica monetaria per superare le difficoltà attraversate dall’economia europea. Si procederà adagio e osservando i dati. Per le nazioni più indebitate potrebbe esserci un nuovo strumento di supporto

AP Photo/Markus Schreiber

Alle 14.30 di oggi Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, terrà una conferenza stampa a seguito della riunione del Consiglio direttivo della Bce. Ci si attende che confermi e spieghi in modo più approfondito il «percorso di normalizzazione della politica monetaria dell’area euro», che ha introdotto con un post sul blog della Bce.

Si tratta del modo in cui Lagarde intende rispondere alla crescente inflazione dell’eurozona, ed è composto da vari step. Prima di tutto deve terminare l’APP, il programma di acquisto di titoli di stato con cui la Bce ha sostenuto l’economia negli ultimi anni, e questo è previsto verso l’inizio di luglio. Solo in seguito potranno cominciare gli aumenti dei tassi di interesse (attualmente il tasso di deposito è pari a -0,50 per cento). Lagarde dovrebbe confermare il primo aumento per il 21 luglio, data in cui si riunirà nuovamente il Consiglio direttivo della Bce, mentre per il secondo bisognerà aspettare la riunione successiva, fissata per l’8 settembre.

Entrambi gli aumenti saranno pari a 0,25 punti percentuali: in questo modo la seconda modifica sancirà la fine della politica dei tassi negativi per l’Eurozona, che era cominciata nel giugno del 2014. Non è previsto un terzo aumento immediato, si preferisce attendere la reazione dell’economia e dei mercati ai tassi non negativi. Eventuali ulteriori interventi saranno comunque basati sull’evidenza dei dati.

La normalizzazione voluta da Lagarde, necessaria per analizzare momento dopo momento lo stato dell’economia, è insufficiente secondo vari politici avversi all’inflazione. I cosiddetti falchi, molto presenti nei governi dei Paesi del nord Europa, chiedevano interventi più tempestivi e robusti, che ad esempio aumentassero i tassi dello 0,5 per cento per volta, come fatto dalla Federal Reserve e dalla Bank of England, rispettivamente la Banca centrale americana e britannica, che sono effettivamente intervenute prima e in modi più muscolari. La Federal Reserve ha aumentato i tassi sia maggio sia giugno, quando l’incremento è stato di 0,5 per cento, e prevede di modificarli ancora almeno quattro volte. La Bank of England aveva aumentato i tassi già a dicembre, ma cinque ritocchi non hanno ancora portato sotto controllo un’inflazione che entro fine dell’anno potrebbe superare il 10 per cento.

La Bce ha rimandato questi aumenti perché la situazione nell’economia europea è molto diversa. Gli effetti dell’invasione russa in Ucraina colpiscono maggiormente l’Unione Europea rispetto a Stati Uniti e Regno Unito, i quali, ad esempio, dipendono solo in minima parte dai beni energetici russi, che infatti già a marzo avevano messo sotto embargo.

Inoltre, l’inflazione in Europa non è dovuta a un aumento dell’attività economica, ma è in larghissima parte importata, ovvero causata dall’aumento dei costi di materie prime che si comprano dall’estero e di cui difficilmente si può fare a meno. Infine, l’aumento dei salari dovuto all’inflazione non è così marcato in Europa, come invece è negli Stati Uniti. L’insieme di questi fattori rende meno efficace intervenire sui tassi d’interesse e ha spinto la Bce ad accettare la crescita dell’inflazione, che a maggio nell’eurozona ha raggiunto l’8,1 per cento su base annua, a favore dell’espansione economica.

L’attendismo recente della Bce non è da confondere con l’immobilismo. La fine dell’App e il conseguente l’aumento dei tassi sono stati anticipati parecchio rispetto ai piani iniziali: nella riunione di marzo, infatti, si è scelto di accelerare la conclusione dell’App, aprendo a una possibile modifica dei tassi a cavallo della pausa estiva.

Un ulteriore elemento che Lagarde chiarirà in conferenza stampa riguarda il rischio di frazionamento. Gli imminenti aumenti dei tassi faranno crescere i dubbi sulle capacità dei Paesi più indebitati, tra i quali l’Italia, di rispettare gli impegni finanziari poiché un aumento dei tassi rende più costoso ripagare i propri debiti. A conferma di ciò, lo spread tra i titoli pubblici tedeschi e quelli italiani è già salito fino ai 220 punti base, un valore che non si registrava da un paio d’anni.

Diversamente dal passato, ci si attende che la Bce possa ora intervenire per sostenere una nazione in difficoltà. La Bce ha già a disposizione fino a 200 miliardi di euro per comprare titoli di stato di un eventuale paese in difficoltà. Tuttavia, secondo quanto riportato dal Financial Times, Francoforte starebbe lavorando a un ulteriore piano per sorreggere un Paese sfiduciato dai mercati finanziari e proprio nella riunione di oggi dovrebbe presentare ufficialmente la proposta per la creazione di un programma di acquisto di titoli di stato di un determinato Paese in caso di urgente bisogno. Un netto cambio di passo considerando che Lagarde, appena arrivata alla presidenza della Bce, disse – anche se poi cercò di modificare la posizione – che «non si trovava alla Bce per chiudere gli spread».

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