Domenica scorsa a Melitopol una bomba è esplosa poco distante dall’edificio che ospita i vertici dell’amministrazione filorussa. La città nel sud dell’Ucraina, fondamentale snodo ferroviario del Paese, è stata occupata dall’esercito di Vladimir Putin già al terzo giorno di guerra, oggi è soggetta a un processo di russificazione che rischia di cancellare storia, cultura e tradizioni ucraine. Ma la resistenza non si è ancora arresa, e non ha intenzione di farlo.
«Un ordigno esplosivo è stato collocato in un bidone della spazzatura vicino all’edificio del ministero degli Affari interni. Una giovane ragazza che stava passando di lì è rimasta gravemente ferita. È stata portata in ospedale. Anche un residente di Melitopol è rimasto ferito», ha scritto su Telegram Vladimir Rogov, membro dell’amministrazione provvisoria della regione, definendo l’incidente un «attentato terroristico».
In molte città occupate dai russi la vita sta diventando sempre più simile a quella delle città che stanno al di là del confine orientale, come se fossero russe. O almeno così vorrebbero gli invasori. Domenica scorsa a Mariupol è stata celebrata la Giornata della Russia, un giorno di festa nazionale che cade il 12 giugno, in occasione della Dichiarazione di Sovranità Statale della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. Anche nelle scuole gli alunni hanno celebrato il momento.
Le forze di occupazione sembrano voler dire agli ucraini: le giovani generazioni cresceranno conoscendo la storia, la cultura, le tradizioni russe. Non è un caso che molti insegnanti ucraini siano stati allontanati, costretti a fuggire o – nel peggiore dei casi – fatti fuori per seguire l’atto di russificazione della città. È scomparso perfino lo stemma dell’Ucraina dalle targhe: al suo posto ora c’è la sigla di un vecchio governatorato imperiale della Russia zarista, la Tauride.
Anche per le strade devastate di Mariupol sono state srotolate decine di bandiere per la Giornata della Russia, ed è stata inaugurata una nuova insegna cittadina, che ora ovviamente ha i colori della bandiera russa.
Mentre a Kherson, occupata dalle truppe russe nell’Ucraina meridionale, le autorità cittadine hanno distribuito per la prima volta passaporti russi ai residenti locali. L’agenzia russa Tass ha scritto che 23 residenti hanno ricevuto un passaporto durante una cerimonia con una «procedura semplificata», facilitata da un decreto del presidente Putin.
La campagna di russificazione procede implacabile nelle aree occupate. Un insieme di segnali grandi e piccoli che vorrebbero essere la dimostrazione che un nuovo corso è iniziato, un modo per accelerare l’assorbimento de facto di quei territori. Gli oblast meridionali occupati dall’inizio dell’invasione si estendono per oltre 100mila chilometri quadrati – abbracciano l’intera costa del Mar d’Azov e una buona parte della costa del Mar Nero.
Ma l’Ucraina non sta a guardare. Proprio Melitopol sembra essere la capitale non dichiarata della resistenza. Dieci giorni fa l’Economist raccontava come periodicamente dalla città arrivi una notizia sorprendente: il 18 maggio un treno blindato è stato distrutto, il 22 sono saltati binari ferroviari e una stazione radar, una settimana dopo è stato organizzato un raduno filoucraino, il giorno dopo ancora è saltata in aria un’autobomba.
«Il controllo della città, segmento cruciale del ponte terrestre di Vladimir Putin verso la Crimea, si è rivelato alquanto complicato», scrive l’Economist. Merito degli attori della resistenza, che per gli ucraini sono partigiani che difendono il Paese e per i russi sono sabotatori che si intromettono con i loro piani di conquista.
Nonostante le infinite difficoltà, con il passare delle settimane la resistenza continua ad attrarre reclute, e secondo l’ex sindaco di Melitopol solo un cittadino su dieci oggi sarebbe schierato con i russi, una quantità non sufficiente «per fare massa critica». Non solo: gli ucraini sono anche convinti di poter lanciare una controffensiva nei territori occupati e riprendersi un territorio che è loro, a patto di ricevere le armi che chiedono dall’Occidente.
La resistenza ucraina è guidata da un’unità dell’esercito chiamata “Special Operations Forces”, fondata nel 2015 dopo che i primi tentativi di attività partigiana sono falliti disastrosamente all’inizio della guerra nel Donbass. Questa unità è specializzata in tre tipi di attività: azioni militari, operazioni di supporto e guerra psicologica. E ovviamente non agiscono solo su Melitopol.
Nella vicina Kherson una base aerea controllata dalla Russia è stata bombardata – in modo più o meno efficace – una ventina di volte; a Enerhodar, Andrii Shevchyk, il sindaco collaborazionista filorusso, è scampato a un tentativo di omicidio; a Izyum un’anziana signora apparentemente amichevole ha offerto ai soldati russi affamati delle torte salate, poi otto di loro sono morti.
È probabile che l’attività partigiana ucraina abbia influito anche sul morale dei soldati russi e di collaboratori filorussi, effettivi e potenziali.
«Il reale impatto del movimento partigiano – ha scritto su 1945 lo storico Alexander Motyl, docente di Scienze politiche alla Rutgers-Newark, specializzato in Ucraina, Russia e Unione sovietica – si farà sentire se si diffonderà nella maggior parte dell’Ucraina meridionale, intensificherà i suoi sforzi e, cosa più importante, coordinerà le sue attività con la controffensiva delle forze armate ucraine, sostenute dalle consegne di armi pesanti occidentali, dovrebbero essere lanciati a fine luglio o agosto».