Risate all’americanaLa stand-up comedy in Italia non è più una nicchia

Gli spettacoli tipici della comicità anglosassone sono sempre più diffusi e apprezzati anche da noi, il pubblico italiano paga per vedere anche le star internazionali nonostante la barriera della lingua. I recenti sold out di Louis C.K. a Roma e Milano lo dimostrano

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La comicità all’italiana fatta di gag e barzellette e imitazioni è invecchiata male, sembra sempre troppo leggera, superficiale, poco tagliente, incapace di infilare il dito nelle vene aperte della società. O forse è l’unica possibile, in un’epoca di suscettibilità senza precedenti. Di sicuro è esattamente dall’altro lato dello spettro rispetto alla comicità affilata e sferzante tipica della stand-up all’americana che oggi è sempre più seguita anche dalle nostre parti

Il pubblico italiano è inevitabilmente variegato, schierato dall’una e dall’altra parte, diviso in fazioni più o meno convinte, com’è normale che sia quando si considera una popolazione così ampia. Ma il trend di crescita degli spettacoli di stand-up comedy a base di satira e colpi bassi – di artisti italiani e non – dimostra che questo tipo di comicità ha una visibilità sempre maggiore.

Ne sono una prova i recenti sold out di Louis C.K., uno dei più famosi stand-up comedian di questa generazione che stasera chiuderà il suo tour di ritorno in Italia: 29 e 30 maggio al TAM Teatro Arcimboldi Milano e ieri e oggi a Roma, al Teatro Olimpico. Sui suoi spettacoli il cartello “tutto esaurito” è spuntato poche ore dopo l’immissione sul mercato dei biglietti.

La stand-up tipica degli Paesi anglosassoni ha uno schema molto semplice, bastano un microfono e un pubblico pronto a un monologo – o battute secche, nel caso dei one liner – senza alcun tipo di censure, aperto a ogni tipo di insulto, di solito inseriti in testi a base critica politica e sociale.

Ci sono anche molti nomi italiani tra i più seguiti qui. Da Giorgio Montanini, considerato il pioniere che ha portato il genere in Italia, a Filippo Giardina, da Luca Ravenna a Stefano Rapone, e poi Francesco De Carlo, Velia Lalli, Daniele Fabbri e tanti altri nomi che si sono ritagliati uno spazio importante.

Nel mondo anglosassone però ci sono vere e proprie leggende, artisti di fama mondiale paragonabili quasi alle grandi star della musica per seguito e affezione dei fan. Ovviamente sono molto apprezzati anche in Italia nonostante la barriera linguistica (e uno spettacolo tradotto non rende allo stesso modo).

«Oggi il pubblico è più abituato a fruire contenuti in inglese rispetto al passato, un po’ per la conoscenza della lingua, un po’ perché le piattaforme come Netflix ti permettono di vedere spettacoli e film e serie in lingua originale», dice a Linkiesta Paolo De Toma, General Manager of Comedy di Show Bees, il maggiore player nel mercato degli spettacoli comici internazionali in Italia. In pratica De Toma porta gli standupper internazionali sui palchi di tutta la penisola, anche se al momento significa quasi esclusivamente Roma e Milano. «L’idea di vedere grandi artisti americani qui da noi è arrivata pochi anni fa, più o meno con la diffusione di massa di Netflix», dice.

Non sono passati ancora dieci anni da quando a Show Bees hanno iniziato a progettare spettacoli internazionali. I nomi sul taccuino di Paolo De Toma erano quelli dei più grandi fin dall’inizio, quindi Louis C.K., Dave Chapelle, Bill Burr, gli unici che avrebbero garantito vendite anche su questa sponda dell’Atlantico. Ma non c’erano molti precedenti da studiare. «Era anche difficile quantificare il pubblico, quindi i luoghi in cui portarli», dice De Toma. «Poi appena abbiamo messo in vendita i biglietti per Louis C.K., per la data del 15 luglio 2019 a Milano, la sua prima in Italia, abbiamo esaurito il teatro in pochissimo tempo: ben oltre le previsioni».

In modo anche sorprendente, durante l’esibizione il pubblico ha dimostrato di saper stare al gioco, di conoscere perfettamente il suo interlocutore, il suo modo di fare le battute, capiva la lingua e la gestualità, i ritmi tipici dell’artista. E tra gli spettatori non c’era una grossa quota di stranieri, come preventivato: quasi tutti italiani, con un’equa distribuzione tra uomini e donne, soprattutto giovani.

Il primo approccio è stato talmente buono che sembrava l’inizio di una nuova era, con gli spettacoli che avrebbero dovuto iniziare a fioccare a partire dall’autunno successivo. Ma all’inizio del 2020 è arrivata la pandemia che ha chiuso i teatri, i bar, tutti i locali e ha tagliato le gambe a tanti progetti.

«Ora che stiamo ripartendo, la sensazione è che la crescita sia stata solo messa in pausa, e ora è pronta a ripartire come prima», spiega De Toma. «Gli artisti vogliono tornare a sentire il palco, ma anche il pubblico ha voglia di tornare a eventi dal vivo di questo tipo».

I numeri sono lì a dimostrarlo. Louis C.K. con i suoi sold out ha venduto il triplo dei biglietti rispetto al giro italiano del 2019: 8mila tagliandi andati via in poche ore, tra tutte le date, e chissà quanti altri ne avrebbe venduti in caso di spazi ancora più ampi.

I numeri di Louie forse sono destinati a rimanere un record ancora per un po’. Dopotutto si tratta di un artista vincitore di sei Emmy Award, Louis C.K. ha pubblicato oltre dieci speciali di stand-up, ha lavorato con Conan O’Brien, David Letterman, al Saturday Night Live, ha girato diverse serie tv ed è considerato un gigante della stand-up comedy nonostante i problemi legati a uno scandalo di molestie sessuali del 2017.

Ma sono in arrivo altri spettacoli pronti a riempire i teatri. Il 29 giugno a Milano arriva per la prima volta in Italia il leggendario fondatore dei Monty Python, John Cleese, con “Last Time to see me before I Die”m con una data esclusiva al TAM Teatro Arcimboldi di Milano che forse sarà una prima e unica volta.

Il 6 luglio è il turno del britannico Jimmy Carr in “Terribly Funny”: un comico brillante che non si limita a stare nello spartito del British humour vecchio stampo, ma ha un repertorio ben più ampio, alimentato anche grazie ai suoi spettacoli televisivi in qualità di conduttore e ai suoi numerosissimi Comedy Specials (alcuni disponibili anche su Netflix).

E a novembre, il 25, il Teatro Dal Verme ospiterà Hannah Gadsby attrice e stand-up comedian australiana che ha ottenuto fama e popolarità a livello internazionale grazie allo speciale Netflix “Nanette” – lo show che ha ridefinito i confini della comicità e raggiunto il grande pubblico – e al suo seguito, “Douglas”.

«Grazie alle nuove tecnologie, a un certo punto questi artisti sono diventati accessibili a tutti, e chi li ha scoperti e ha imparato ad apprezzarli poi si è affezionato, ha iniziato a seguirli con costanza», dice Paolo De Toma.

Merito sicuramente delle piattaforme streaming come Netflix, ma anche YouTube e tutti i social hanno giocato un ruolo importante: hanno permesso agli artisti più piccoli di farsi conoscere a una fetta di pubblico che altrimenti non avrebbero potuto raggiungere – pubblicando in rete spezzoni di spettacoli o semplicemente brevi sketch –, e in generale hanno aiutato tutti a pubblicizzarsi.

«I social sono importanti anche per fare una comunicazione mirata su un certo pubblico – dice De Toma – una pubblicità di alta diffusione anche rivolta a quella che in Italia possiamo considerare forse ancora una nicchia. Anni fa non avremmo mai potuto avere una diffusione simile con la pubblicità degli eventi di stand-up perché raggiungere numeri così grandi sarebbe costato più del tour stesso».

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