All’indomani della decisione del Consiglio europeo del 23-24 giugno di attribuire lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldavia e di rinviare l’attribuzione di tale status alla Georgia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno parlato simultaneamente di un «momento storico».
Sono passati poco meno di venti anni da quando nel 2003 il Consiglio europeo di Salonicco sotto presidenza greca e la Commissione europea presieduta da Romano Prodi avevano elencato i Paesi “vicini” che non avevano «vocazione a entrare nell’Unione europea» inserendo nell’elenco l’Ucraina, la Moldova e la Georgia oltre ad Algeria, Armenia, Autorità Palestinese, Azerbaigian, Bielorussia, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Siria e Tunisia.
Romano Prodi aveva proposto di lavorare su un “anello degli amici” (ring of friends) all’interno di una nuova “politica di prossimità” che garantisse la stabilità e l’integrazione soprattutto nella regione euromediterranea ma anche verso l’Europa centrale e Orientale ivi compresa la Turchia, escludendo l’ipotesi della loro futura adesione all’Unione europea.
La proposta di Romano Prodi fu trasformata dal Consiglio in una più confusa “politica di vicinato”, più ambigua sul tema dell’allargamento e maggiormente spostata verso l’Europa centrale e orientale.
Qualche anno dopo, a Parigi nel 2008, il presidente francese Nicolas Sarkozy propose di abbandonare il partenariato euromediterraneo di Barcellona del 1995 per sostituirlo con l’intergovernativa “Unione per il Mediterraneo” (UpM) che non è stata in grado di prevedere le imminenti primavere arabe del 2010-2011 né di contribuire a rafforzarle per far evolvere quei Paesi verso sistemi democratici coerenti con le loro radici storiche e culturali.
In quell’occasione il Movimento europeo propose di ispirarsi al modello della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), avviando con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo una “comunità politica euromediterranea” di interessi condivisi fondata su un’area di libero scambio, una cooperazione economica, una banca e una università euro-mediterranee, progetti di ricerca e di sviluppo tecnologico, la sostenibilità ambientale e sociale, i valori comuni del rispetto dei diritti fondamentali e delle minoranze.
Come sappiamo, l’UpM è rimasta invece allo stato di un contenitore vuoto e l’Unione ha rivolto le sue priorità quasi esclusivamente verso l’Europa centrale e l’Europa orientale nella prospettiva di un suo progressivo allargamento a Est,
Dalle decisioni del Consiglio europeo di Salonicco nel 2003 molta acqua è passata sotto i ponti del fiume Dnipro in Ucraina: vi è stata prima la rivoluzione arancione nel 2004; poi un lungo periodo di corruzione e di ingovernabilità; quindi l’accordo di associazione fra l’Ucraina e l’Ue che il presidente ucraino Viktor Fedorovyc Janukovyc si rifiutò di firmare provocando nel 2014 la cosiddetta rivoluzione pro-europea sulla piazza Maidan (Euromaidan).
Seguì l’occupazione della Crimea da parte della Russia; gli accordi di Minsk propiziati dalla Francia e dalla Germania ma non dall’Ue e mai rispettati sia dalla Russia che dall’Ucraina nel 2014-2015; l’elezione di Volodymyr Zelensky nel 2019; la decisione al vertice della Nato di Bruxelles nel giugno 2021 di aprirsi ad una futura adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica e infine l’aggressione della Russia nella notte del 24 febbraio 2022, un’aggressione che ha violato le frontiere dell’Ucraina e contestato con la violenza la sua indipendenza che era stata proclamata nel 1991.
La guerra alle porte dell’Unione europea, combattuta sul terreno ma anche usando tutti gli strumenti della disinformazione e della propaganda sui social usati sia dall’aggressore che dall’aggredito, ha provocato molti sconvolgimenti all’interno dell’Ue rompendo solide alleanze come quella nata nel 1991 nel cosiddetto gruppo dei quattro di Visegrad, rovesciando la tradizionale politica tedesca della difesa nel quadro dell’Alleanza atlantica ma non dell’Ue e spingendo i paesi formalmente neutrali nell’Ue come la Finlandia e la Svezia a chiedere improvvisamente l’adesione alla NATO.
Proprio la Nato, che era stata definita da Emmanuel Macron nel 2021 in una situazione di morte cerebrale, ha subito dall’aggressione russa un elettroshock ed è diventata di nuovo il punto di riferimento dell’Occidente in quella che era stata fino al 1989 la guerra fredda fra l’imperialismo sovietico e l’egemonia statunitense.
Nella prospettiva dell’ancora molto eventuale apertura di negoziati di pace, una delle condizioni di un ipotetico compromesso potrebbe essere la rinuncia dell’Ucraina alla domanda di adesione alla Nato, ma quest’ipotesi sembra osteggiata da Washington che avrebbe spinto Kiev ad interrompere i primi incontri fra ucraini e russi ed è apertamente negata dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg che ha invitato Volodymyr Zelensky al Vertice di Madrid alla fine del mese di giugno.
Le conclusioni – per molti inattese – del Consiglio europeo del 23-24 giugno sulla futura adesione di Ucraina e Moldavia all’Ue richiederebbero un dibattito più approfondito di quello diffuso da quasi tutta la stampa europea, che si sviluppi su quattro elementi corrispondenti ad altrettanti rischi per la resilienza dell’Ue se non saremo in grado di fornire rapidamente risposte forti e adeguate.
Il primo elemento riguarda il segnale squisitamente politico che l’Ucraina ha insistentemente chiesto e finalmente ottenuto dall’Ue sulla concessione dello status di candidato rivolto non solo all’interno dell’Ue ma anche alla sua collocazione sul continente europeo.
Se si legge con attenzione l’art. 49 del Trattato di Lisbona sull’Ue – che ha solo parzialmente modificato lo stesso articolo del Trattato di Maastricht – si deve concludere:
• che le condizioni per avviare il processo di adesione non prevedono l’attribuzione formale né da parte del Consiglio europeo né del Consiglio dello status di candidato;
• che lo Stato richiedente deve essere in condizione di rispettare i valori dell’Ue già al momento della domanda di adesione e di impegnarsi a promuoverli durante tutto il processo di adesione;
• che i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo “sono (solo) informati” sulla domanda di adesione, ma che non debbono necessariamente aprire un dibattito politico né tantomeno esprimere un accordo preliminare, essendo stata respinta l’idea avanzata nella “Convenzione sulla costituzione europea” di negoziare a monte un “trattato internazionale” da far ratificare nei paesi membri e nei paesi candidati al fine di essere oggetto di una decisione democratica incontestabile;
• che a partire da questa informativa parlamentare si aprono i negoziati per l’adesione condotti dalla Commissione europea su mandato del Consiglio, tenendo conto che il Consiglio europeo è chiamato ad approvare dei “criteri di eleggibilità” per i paesi candidati, sulla base delle condizioni dettate al Consiglio europeo di Copenaghen nel 1993 (democrazia, economia di mercato e capacità di integrarsi nel patrimonio della legislazione europea), e che fra questi criteri vi è anche la capacità dell’Ue di adattarsi ad una sua dimensione allargata.
Il secondo elemento riguarda le condizioni in cui si aprono le prospettive dell’allargamento all’Europa orientale, in cui si sono avviati o si avvieranno i negoziati con i Balcani occidentali e che sono stati alla base dell’ambiguità su cui sono stati fondati i negoziati per il “grande allargamento” all’Europa centrale avvenuto fra il 2004 e il 2013.
Vale la pena di ricordare che il processo di integrazione europea è nato agli inizi degli anni ’50 per superare la divisione dell’Europa in Stati-nazione in una dimensione sopranazionale e nella prospettiva di gettare le basi di una futura federazione europea.
Fin dal Trattato della Ceca – e poi con i trattati di Roma che adottarono la formula più soft di una “unione sempre più stretta”, gli strumenti per realizzare gradualmente l’integrazione europea erano essenzialmente economici ma l’obiettivo era politico perché quegli accordi tra Stati pronti a rinunciare a parte delle loro sovranità avrebbero dovuto essere le prime “assise della futura federazione europea”.
Già il primo allargamento nel 1973 a Regno Unito, Irlanda e Danimarca – che fu accompagnato dal dibattito sul binomio deepening/enlarging – fu pesantemente condizionato da questa ambiguità così come lo fu l’allargamento nel 1995 ad Austria, Finlandia e Svezia perché i nuovi paesi entrarono nelle Comunità europee e poi nell’Ue per abbandonare la fallimentare area europea di libero scambio (EFTA) a favore del mercato unico al contrario della Grecia (1981), della Spagna e del Portogallo (1986) che aderirono alle Comunità europee come segno delle ritrovate democrazia e libertà.
Come sappiamo, gli allargamenti del 1973 e del 1995, ma anche quelli verso l’Europa mediterranea, non furono preceduti né accompagnati né seguiti dall’indispensabile approfondimento verso l’unione politica che non era prevista né nell’Atto unico del 1986, né nel Trattato di Maastricht del 1992, né nel Trattato di Amsterdam del 1997.
L’ambiguità è diventata più profonda – e talvolta è stata insostenibile – con l’allargamento all’Europa centrale e rischia ora di disintegrare l’Ue con i negoziati di adesione rivolti ai Balcani occidentali e all’Europa orientale se non sarà affermato senza ambiguità il principio secondo cui l’ingresso nella famiglia europea non deve rispondere all’obiettivo rivendicato dai paesi della “nuova Europa” di costruire o di ricostruire delle nazioni (nation building o rebuilding), uscite dal giogo dell’imperialismo sovietico, ma alla scelta di una sovranità condivisa nel quadro di un’unione politica e del primato del diritto europeo.
Il terzo elemento riguarda la decisione del Consiglio europeo del 23-24 giugno di rinviare sine die il processo di revisione del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 in un momento ben diverso della storia dell’Europa e di lasciare pericolosamente nel limbo l’idea di Emmanuel Macron di una “comunità politica europea” (o la comunità geopolitica europea di Charles Michel o la Confederazione di Enrico Letta o la nuova Comunità del governo austriaco) con la conseguenza di aprire la via a nuovi allargamenti e bloccare temporaneamente la via all’approfondimento che appare invece urgente e necessario per l’autonomia strategica dell’Ue e la sua dimensione geopolitica.
A tale dimensione appartengono le priorità della dimensione euro-mediterranea e della cooperazione euro-africana che anzi ne sono un tassello essenziale.
Il Movimento europeo ha deciso di impegnarsi a riflettere e ad elaborare delle proposte sulla piattaforma di cooperazione politica al di là dell’Ue che dovrà operare durante i negoziati di adesione e forse oltre la loro conclusione, su un nuovo partenariato euro-mediterraneo ed euro-africano e sulle prospettive della pace e della sicurezza in Europa nel quadro di una Conferenza che si ispiri agli accordi di Helsinki e di Ginevra del 1975 (Helsinki-2) e che il Movimento europeo ha sollecitato come iniziativa dell’Ue in collaborazione con l’Osce e con le Nazioni Unite, una proposta ripresa e rilanciata dal presidente Sergio Mattarella nel suo intervento davanti alla Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 aprile 2022 e dal presidente del Consiglio Mario Draghi davanti al Parlamento italiano alla vigilia del Consiglio europeo del 23-24 giugno.
Ricordiamo in questo quadro la petizione per l’invio di Caschi Blu in Ucraina lanciata su Change.org il 25 aprile 2022 e l’appello per la pace promosso il 20 giugno 2022 insieme al direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio, ANPI, ARCI inviato alle istituzioni europee e presentato al governo italiano.
Il quarto elemento è legato all’ipocrisia che si è diffusa in tutta l’Ue secondo cui all’accelerazione dell’attribuzione dello status di candidato all’Ucraina (e alla Moldova) dovrà far seguito un’accelerazione delle procedure di adesione, accantonando tutti i principi che sono posti alla base dell’appartenenza all’Ue e creando un’acuta tensione con i paesi candidati o candidati all’adesione nei Balcani occidentali così come forti contrasti sono immediatamente emersi in Georgia fra la società civile pro-europea e il governo accusato di aver fatto fallire la domanda di adesione..
È indispensabile che le istituzioni europee chiariscano alle opinioni pubbliche dei Paesi membri, dei Paesi candidati e dei Paesi candidati alla candidatura che essi saranno più forti in una Unione europea più forte, che essi saranno deboli in una Unione europea indebolita dal conflitto fra apparenti interessi nazionali e che gli Stati ed i popoli che vorranno rafforzare la dimensione sovranazionale dell’Ue saranno pronti a percorrere strade giuridicamente e politicamente innovative per superare l’ostilità dei difensori delle sovranità assolute dentro e fuori l’Unione europea.
L’occasione di questa nuova fase dell’ampliamento dell’Unione europea verso i Balcani occidentali e l’Europa orientale sarà preziosa e rappresenterà un “momento storico” solo se sarà colta per aprire il cantiere europeo chiuso frettolosamente con il Trattato di Lisbona, rafforzare le competenze europee nelle politiche che richiedono azioni e decisioni europee, ribadire il primato del diritto europeo laddove è stato riconosciuto all’Unione europea il potere di agire, abbandonare la dimensione confederale nella politica estera e della sicurezza, rilanciare la dimensione euro-mediterranea e euro-africana, promuovere i diritti fondamentali senza discriminazione, riformare il sistema politico dell’Ue in una logica federale.
Il Movimento europeo è pronto a contribuire alla mobilitazione delle cittadine e dei cittadini europei rilanciando la piattaforma digitale sul futuro dell’Europa troppo frettolosamente chiusa dalla Commissione europea, facilitando l’organizzazione di panel transnazionali attraverso il ruolo dei poteri locali e regionali, promuovendo un “congresso d’Europa” nel maggio 2023 ad un anno dalle elezioni europee e in occasione del settantacinquesimo anniversario del Congresso d’Europa che fu organizzato all’Aja nel 1948 .
A fronte dell’ipotesi giuridicamente infondata di un ricorso “in carenza” del Parlamento europeo contro il Consiglio europeo, “reo” della mancata decisione di convocare una convenzione per modificare il Trattato di Lisbona (sapendo che l’art. 48 non prevede termini di tempo per questa decisione), l’Assemblea dovrà promuovere una grande campagna pan-europea di dialogo e di dibattito con la società civile ed i parlamenti nazionali e mantenere aperto il dinamismo innovatore della democrazia partecipativa nella Conferenza sul futuro dell’Europa creando le condizioni politiche e democratiche per trasformare le elezioni europee nel maggio 2024 nel primo atto di un processo costituente.