Pubblicato originariamente su European data journalism network
Un report della Commissione europea sulle politiche di coesione dell’UE pubblicato lo scorso febbraio rivela che, nonostante il divario economico tra le regioni più e meno sviluppate d’Europa stia diminuendo, le differenze relative ai livelli di innovazione su base regionale sono invece cresciute. Questo riguarda soprattutto le regioni del sud-est Europa.
Le cause di questo fenomeno sono molteplici, ma riguardano principalmente la carenza e la poca lungimiranza degli investimenti in ricerca e sviluppo, così come le debolezze degli ecosistemi dell’innovazione delle regioni meno sviluppate dell’Ue. Se si considera che il report della Commissione racconta una situazione in netto miglioramento per quanto riguarda quasi tutti gli altri ambiti di investimento, è chiaro come nel campo della ricerca e dell’innovazione i problemi siano più profondi e di difficile risoluzione. Prima di investigare le cause di questa disparità, è utile tracciare una panoramica della situazione nel sud-est Europa.
Una misura dell’innovazione nel sud-est Europa
Uno degli indicatori più comuni per misurare il livello di innovazione di un territorio – per quanto limitato e approssimativo – è quello del numero di brevetti depositati all’autorità competente, che nel caso dei paesi Ue è l’Ufficio europeo dei brevetti. Come si nota nella mappa qui sotto, le regioni da cui proviene la stragrande maggioranza dei brevetti si trovano nell’Europa nord-occidentale e nell’Italia settentrionale, e sono prevalentemente urbane. Quelle con i valori più alti in assoluto ospitano le sedi delle più grandi multinazionali europee.
Nel caso dei brevetti il divario tra le regioni più e meno sviluppate dell’Ue è a dir poco evidente. Nel biennio 2016-17 (ultimi dati disponibili) Romania, Croazia, Bulgaria e Grecia hanno registrato in media, rispettivamente, solo 1, 2, 3 e 4 brevetti per milione di abitanti. Nemmeno le regioni che ospitano le maggiori città di questi paesi hanno registrato un numero di brevetti superiore ai 25 per milione di abitanti, ad eccezione della regione di Atene (59). Il confronto con i paesi più dinamici è impietoso: in Danimarca si è registrata una media di 246 brevetti per milione di abitanti, in Germania 212 e in Svezia 180, mentre la media UE si attesta a 111. Solo Slovenia e Cipro si distinguono tra i paesi dell’Europa sudorientale: entrambi hanno registrato una media di 48 brevetti per milione di abitante, cifra comunque decisamente inferiore alla media europea.
Come dimostrano i due grafici qui sotto, la Slovenia è anche il paese del sud-est Europa che investe di più in ricerca e sviluppo, sebbene circa il 63% degli investimenti provenga dal settore privato. Nel 2020, il governo sloveno ha infatti investito solo l’1% della spesa pubblica in ricerca e sviluppo, a fronte di una media Ue dell’1,4%. Gli investimenti delle imprese slovene in ricerca e sviluppo ammontavano invece all’1,6% del PIL, un dato addirittura superiore alla media europea (1,5%). Negli anni precedenti la spesa del settore privato sloveno era già molto più alta rispetto a quella di tutti gli altri paesi del sud-est europeo, ma a partire dal 2008 ha visto una crescita vertiginosa fino a toccare un picco del 2% del PIL nel 2013 (quando la media europea era 1,3%). Anche tra i fondi di coesione che l’Ue investe in Slovenia spicca al primo posto la voce “ricerca e innovazione”, con quasi 400 milioni spesi tra il 2014 e il 2020. Grazie agli ingenti investimenti, la Slovenia è riuscita a guadagnarsi il titolo di “regional leader” nel campo dell’innovazione, assegnatogli dall’Unesco Science Report del 2015.
Le cause
Le difficoltà dei paesi del sud-est Europa nel campo dell’innovazione derivano da cause profonde, quasi sempre riconducibili a investimenti carenti o inefficienti, non solo da parte dei governi nazionali. Un articolo accademico del 2018 dimostra come, negli scorsi anni, i fondi di coesione europei destinati alla ricerca e lo sviluppo nel sud-est Europa siano andati a finanziare maggiormente infrastrutture fisiche piuttosto che progetti volti al reale potenziamento del capitale umano e delle relative attività, esercitando un impatto limitato sulla crescita dell’economia.
Analizzando proprio i progetti legati alla ricerca e allo sviluppo finanziati dai fondi di coesione europei che tra il 2014 e il 2020 hanno ottenuto un finanziamento superiore a 10 milioni di euro in Romania, Slovenia, Bulgaria e Croazia, emerge come almeno 27 su 42 siano stati effettivamente legati alla realizzazione o al miglioramento di infrastrutture, per un valore complessivo di quasi 700 milioni di euro su una spesa totale di oltre 1 miliardo. Il progetto più costoso, ad esempio, contribuisce con quasi 130 milioni di euro alla realizzazione della sede romena dell’Extreme Light Infrastructure, un centro di ricerca per lo studio e lo sviluppo di tecnologie laser.
La limitata capacità di assorbimento dei fondi europei che pure sarebbero a disposizione è un altro problema. Come abbiamo mostrato in una serie di schede paese sui fondi di coesione nel sud-Est Europa, molti dei paesi in questione faticano a spendere i soldi che l’UE ha stanziato per loro. In Bulgaria, il paese che ha fatto meglio da questo punto di vista, è stato speso il 53% dei fondi europei stanziati per la ricerca e l’innovazione, in Romania il 48%, in Slovenia il 46%, in Grecia il 44% e in Croazia solamente il 23%. Ma se governi ed enti locali o sovranazionali spesso spendono poco e male, anche il settore privato ha le sue colpe: la stragrande maggioranza delle aziende nei paesi del sud-est europeo, infatti, investe pochissimo in ricerca e sviluppo.
Dagli anni Novanta in poi, i paesi dell’area hanno vissuto un’enorme fuga di cervelli e faticano tuttora a trattenere i lavoratori con le competenze più elevate. Per giunta, tra il 2005 e il 2016 si è registrato un calo dei laureati nei paesi che fanno parte dell’Unione europea. La mancanza dei cosiddetti high-skilled workers (lavoratori altamente qualificati) è legata ai pochi investimenti da parte delle aziende: anche le imprese che avrebbero la volontà di investire in ricerca e sviluppo spesso non riescono a farlo proprio per la mancanza della forza lavoro necessaria. In tutti i paesi presi in considerazione, eccetto Slovenia e Grecia, la percentuale di lavoratori nel campo della ricerca e dello sviluppo è infatti nettamente inferiore rispetto alla media europea.
La convergenza economica tra i paesi dell’Europa nord-occidentale e quelli dell’Europa sud-orientale è rallentata dopo la crisi economica del 2008. Il modello che aveva portato i paesi del sud-est europeo alla crescita fino alla fine degli anni Dieci, cioè quello basato principalmente sull’afflusso di capitali provenienti da investimenti diretti esteri, non è più ormai da anni un sistema funzionale. Secondo gli esperti, la crescita economica deve quindi essere guidata dall’innovazione. Lo sforzo deve necessariamente essere collettivo: Unione europea, governi nazionali e imprese sono chiamati a investire di più, e in modo più efficace, in educazione, innovazione e ricerca.