Era il 15 settembre 2021 quando una delegazione di Fratelli d’Italia, in piena campagna elettorale pre-elezioni comunali, ha finto di prendere a martellate il cordolo della tanto discussa corsia ciclabile di corso Buenos Aires, realizzata dopo il primo lockdown nel quadro di un nuovo piano – elogiato anche dalla stampa internazionale – per rendere il Comune di Milano più adatto ai mezzi a pedali e di micromobilità elettrica. Quella protesta è stata il culmine dei mal di pancia che le nuove “bike lane” urbane hanno provocato alla destra populista meneghina, che per mesi ha organizzato presidi e manifestazioni contro delle infrastrutture oggettivamente necessarie. Soprattutto lungo le principali arterie cittadine, come appunto corso Buenos Aires o viale Monza, corso Venezia e così via.
I dati stanno confermando la natura pretestuosa della maggior parte delle proteste giunte da cittadini e politici, preoccupati per i seguenti motivi: il possibile aumento del traffico a causa dell’eliminazione delle corsie per le auto, la riduzione dei parcheggi, le difficoltà di accesso alle attività commerciali. Cittadini e politici che, probabilmente, non sanno (o fanno finta di non sapere) che nelle grandi città europee le “bike lane” agili sono realtà ormai da anni, e nessuno batte ciglio.
In corso Buenos Aires, rispetto al pre-pandemia, le biciclette sono quadruplicate (più del 20% dei veicoli che transitano lungo il corso è costituito da bici) e la quota di automobili è visibilmente diminuita (dal 75% al 50%). Cifre simili sono state registrate in viale Monza, dove nel 2021 – a fronte di un ottimo +276% del numero di biciclette circolanti – è calato anche il numero di incidenti (-10% rispetto al biennio 2018-2019).
Tra corsie ciclabili, case avanzate, “strade urbane ciclabili” con il limite di 30 km/h, tavolini outdoor, piazze aperte e verde urbano, Milano sta cambiando volto. E la bici è al centro di questa rivoluzione necessaria per garantire ai cittadini una qualità della vita più alta, allineandosi rispetto alle grandi metropoli europee e globali. Tuttavia, il capoluogo lombardo non potrà definirsi davvero “bike friendly” finché non miglioreranno i collegamenti ciclabili con i Comuni dell’hinterland. Pare sia proprio questa la chiave di volta per ridurre gli spostamenti in auto: se chi vive nel territorio comunale può fare tranquillamente a meno di un mezzo a motore, non è così per coloro che abitano fuori città.
Milano, parlando di infrastrutture ciclabili, è collegata in modo pessimo con l’hinterland e con i Comuni delle Province vicine, salvo per quei centri che si trovano lungo le ciclabili del Naviglio Grande, del Naviglio Pavese o del Naviglio Martesana. Per il resto c’è un’enorme “voragine” che impedisce, ad esempio, a un residente di Melzo, Carugate, Rho o Locate di Triulzi di usare la bici in sicurezza per recarsi nel proprio ufficio milanese di corso Indipendenza. O per fare qualsiasi spostamento che implichi l’uscita dal Comune.
La ciclabilità non può limitarsi all’area urbana: deve essere sistemica e di ampio respiro, integrata e orientata a tutti i piccoli centri che gravitano attorno alla città principale. Come accade ad esempio nei Paesi Bassi, in Danimarca o in Germania, dove le grandi città sono spesso collegate da lunghissime piste ciclabili che attraversano i paesini più piccoli, non isolati ma valorizzati.
Qualcosa, però, sta bollendo in pentola, anche se per vedere il risultato finale ci vorranno almeno 10 o 15 anni. È un progetto ambizioso, finora mai pensato per la Città metropolitana di Milano. Il suo nome è “Cambio”: è stato approvato dal Consiglio Metropolitano il 29 novembre 2021 ed è nato come un addendum del Pums (Piano urbano della mobilità sostenibile). Cambio è un biciplan che si presenta come una ragnatela fatta di linee colorate, un po’ come la mappa di una metropolitana. Da questo punto di vista, infatti, ricorda la bicipolitana realizzata dal Comune di Pesaro. In realtà, è molto più simile a un recente progetto della Regione francese dell’Île-de-France, che sta sviluppando una rete di percorsi per garantire un collegamento tra il centro di Parigi e i principali poli della Regione (nasceranno 680 chilometri di itinerari ciclabili).
Nel raggio di un chilometro da ciascuna linea del biciplan si troverà circa l’80% dei servizi di interesse: aziende, stazioni ferroviarie, scuole, ospedali, negozi. Ufficialmente, l’obiettivo di Cambio è quello di raggiungere il 20% degli spostamenti totali in bicicletta (10% per quanto riguarda gli spostamenti intercomunali). Per farlo, verranno realizzate nuove piste e corsie ciclabili (alcune saranno dotate di fibra ottica), altrimenti verranno migliorate quelle già esistenti. Le ciclabili frammentate e che finiscono nel nulla, si spera, dovrebbero trasformarsi in un lontano ricordo. Inoltre, ogni percorso avrà una segnaletica ad hoc, coerente con quella degli altri itinerari.
Le linee radiali colorate sulla mappa sono 16, e vanno ad aggiungersi a 4 linee circolari in blu scuro e a 4 “greenways”, ossia dei percorsi rapidi che attraverseranno il territorio provinciale da est a ovest e da nord a sud. Il risultato consisterà in una rete di 750 chilometri percorsi ciclabili che unirà 133 Comuni del territorio milanese al capoluogo. Il biciplan verrà completato attorno al 2035, e i costi di realizzazione sono stimati attorno ai 300.000 euro per chilometro (225 milioni di euro di investimento).
Prima di esultare, però, «abbiamo bisogno che tutte quelle linee diventino dei progetti. Al momento sono linee un po’ immaginarie. Per fare un esempio: chi ha progettato Cambio ha pensato a un itinerario da Milano a Treviglio (la linea 5, ndr), ma non ai punti precisi in cui passerà la ciclabile. Non dobbiamo confondere Cambio con un progetto attuativo, realizzativo: è un progetto di scenario», ci spiega Marco Mazzei, consigliere comunale di Milano e presidente della sottocommissione Mobilità attiva e Accessibilità.
Per fare qualche esempio, la linea 1 partirà da Milano e terminerà con una biforcazione che toccherà Desio e Cesano Maderno. La linea 2 avrà due capolinea – uno a Monza e l’altro a Lissone – e passerà da Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo. La 5 si spingerà fino a Treviglio, in provincia di Bergamo. Tuttavia, non ci sono ancora certezze per quanto riguarda le tappe intermedie dei vari itinerari, che sono ancora tutti da stabilire.
La prima linea che sta prendendo vita è la numero 6, quella rosa. Il suo tratto iniziale è stato inaugurato sabato 2 luglio: è una (bellissima e sicura) pista ciclabile che parte da via Corelli, non lontano dal ponte dell’Ortica, e arriva fino all’Idroscalo. I milanesi, per la prima volta nella storia, possono raggiungere l’iconico bacino d’acqua e il suo parco senza rischiare la pelle nel traffico. E l’itinerario, una volta terminato, arriverà fino a Caravaggio tramite un unico percorso ciclabile che inizierà – di fatto – in piazza Risorgimento.
Cambio è un progetto articolato e complesso anche dal punto di vista burocratico, e non sarà gestito solo dal Comune di Milano. Quest’ultimo, tra l’altro, deve ancora approvare il suo personalissimo biciplan, obbligatorio nel momento in cui si predispone un Piano urbano per la mobilità sostenibile (Pums). Il biciplan della Città metropolitana riguarderà numerosi centri e, di conseguenza, tante amministrazioni diverse che possono avere approcci più o meno favorevoli alla mobilità dolce. Secondo Mazzei, però, questo fattore costituisce un’opportunità più che un rischio: «Oltre a ridurre il numero di auto che ogni giorno entrano a Milano, Cambio è una comodità per tutti i Comuni raggiunti: crea una rete e li rende meno isolati. Punta all’uniformità per quanto riguarda le ciclabili, la loro segnaletica e i vari criteri di progettazione».
Il tema chiave è un altro: Cambio dovrà migliorare anche le ciclabili presenti in città, non lasciando “buchi” lungo gli itinerari che varcheranno i confini urbani per raggiungere i Comuni dell’hinterland e delle altre Province. Altrimenti è un lavoro a metà.
«Abbiamo bisogno che gli itinerari abbiano radici forti anche in ambito urbano. La ciclabile da via Corelli all’Idroscalo è fantastica, ma se lungo questo itinerario ci sono due nodi completamente irrisolti – come piazzale Dateo e, in parte, piazzale Susa – quel progetto acquisisce un valore diverso. Cambio deve quindi portarsi dietro una serie di attuazioni anche in ambito urbano», sottolinea Marco Mazzei.
In questo senso, per dare ordine e progettualità, sarà fondamentale l’approvazione del biciplan del Comune di Milano: «Da settembre, con la mia commissione per la Mobilità attiva, realizzeremo nove incontri con i municipi sul tema della ciclabilità. E alla fine di questo percorso, l’assessorato si impegnerà a realizzare il biciplan».