Lehman Brothers a PechinoIn Cina il mercato immobiliare sta crollando e minaccia di travolgere il sistema

Il sistema si è inceppato: i costruttori non hanno più liquidità per completare i progetti (già pagati), i clienti fuggono e il fallimento è dietro l’angolo. Di fronte alle proteste e allo sciopero dei mutui, il governo cerca di intervenire con misure epocali che però potrebbero non bastare

di Kin Li, da Unsplash

Gli analisti si stanno chiedendo se il mercato immobiliare cinese stia vivendo il suo “momento Lehman Brothers”. Standard&Poors Global Ratings prevede che le «vendite di proprietà nazionali scenderanno entro quest’anno del 28%-33%». Un calo doppio rispetto alla stima che la stessa S&P aveva fatto ad inizio anno. Segno inequivocabile che il crollo del mercato sta bruscamente prendendo velocità.

Il quadro complessivo è apocalittico: costruttori ai quali manca la liquidità per completare immobili interamente o in larga parte già pagati, quasi sempre tramite mutui contratti da privati; acquirenti che stanno perdendo la pazienza perché non possono entrare in possesso delle loro proprietà, spesso ancora inesistenti o nelle prime fasi di costruzione; conseguente sfiducia verso il settore, cosa che significa che sono sempre di più i piccoli privati, ma anche i medi e grandi investitori, che si stanno tenendo alla larga da operazioni che, ai loro occhi, assumono sempre più spesso le caratteristiche di avventure spericolate. Una reazione in alcuni casi eccessiva, ma assolutamente fisiologica.

L’ovvio risultato è il crollo dell’immissione di liquidità nel sistema. Elemento che va ulteriormente ad aggravare l’impossibilità di molti costruttori di tenere fede ai contratti con gli acquirenti, sia in termini di gravi ritardi nei tempi di consegna, sia in quelli di una conclamata impossibilità di completare i lavori di costruzione. Il fallimento è sempre di più l’epilogo ineluttabile per molte di queste imprese costruttrici.

Non è difficile pensare quale impatto devastante avrà sul fronte occupazionale il protrarsi di questa situazione, senza considerare poi che ad oggi tutte le stime dicono che la Cina si trovi solo all’inizio di una crisi di portata epocale, la più grave dalla fine degli anni Novanta, ossia da quando la Cina ha creato, per la prima volta nella sua storia, un mercato interno delle proprietà private.

Lo si evince dalle ingenti misure che il governo cinese sta elaborando in risposta alla crescente emergenza. Si parla di un maxi piano di salvataggio da 300 miliardi di yuan (circa 44 miliardi di dollari). Destinatari di questo provvedimento dovrebbero essere 12 grandi operatori immobiliari, esposti per una cifra complessiva ancora non del tutto definita ma certamente in grado di trascinare giù l’intero settore. Basti pensare che la sola Evergrande, il maggiore gruppo immobiliare cinese, è esposto per un totale di 300 miliardi di yuan, che come abbiamo visto, è una cifra pari a quella dell’intero piano di salvataggio del governo. Le sue azioni sono crollate del 75%.

E proprio Evergrande si è resa protagonista di una vicenda in un certo senso emblematica di questa crisi immobiliare. Una vicenda alla fine banale, ma che aiuta a spiegare una parte dei motivi che hanno creato questa voragine. Come ha reso noto la società stessa, è stato scoperto che l’amministratore delegato, Xia Haijun, e il direttore finanziario, Pan Darong, hanno dirottato ben 13,4 miliardi di yuan (circa 2 miliardi di dollari) in prestiti garantiti verso operazioni ad alto rischio. Il gruppo sta valutando modalità ed entità dei rimborsi verso gli interessati colpiti da questa “allegra” gestione dei due top manager.

Si tratta di una vicenda con elementi tipici degli scandali che siamo soliti associare al tanto vituperato mondo occidentale, che un superficiale e ideologizzato immaginario collettivo vuole corrotto a prescindere. E soprattutto in contrapposizione al rigoroso modus operandi cinese, la cui (presunta) ineguagliabile efficacia ripagherebbe della totale assenza di democrazia e di libertà tipiche della società cinese, inaccettabili in Occidente.

Nel frattempo, la rabbia degli acquirenti ha squarciato il velo di sostanziale silenzio e acritica obbedienza a cui sono tenuti i cinesi. In tutta risposta la China Banking and Insurance Regulatory Commission si è impegnata ad aiutare i governi locali a «garantire la consegna delle case». Un annuncio che però non ha tranquillizzato nessuno. Anzi, ha forse ulteriormente esasperato animi già al limite della sopportazione.

Vi sono state proteste in circa un centinaio di città, culminate con la minaccia dello “sciopero dei mutui”: molti privati hanno deciso di non pagare le rate del proprio mutuo. E la risposta a questa forma di “boicottaggio ipotecario” è stata la vera e propria cartina di tornasole di quanto siano disperati gli operatori immobiliari, visto che alcuni si sono resi disponibili a congelare il tutto accontentandosi di ricevere dai contraenti acconti in grano, aglio, cocomeri, pesche. Un mix impazzito di alta finanza e baratto medievale.

Le preoccupazioni del governo, oltre all’aspetto economico, riguardano l’effetto che tutto questo può avere sulla stabilità sociale. Soprattutto in vista del prossimo congresso del Partito Comunista che si terrà in autunno. Xi Jinping dovrebbe essere riconfermato per la terza volta. Ma le problematiche interne si stanno moltiplicando, in aggiunta alla lotta al Covid, che ha colpito duro sul piano economico e anche su quello sociale, visto il sostanziale “arresto di massa” su cui in molte aree del Paese il governo ha dovuto ripiegare per bloccare i contagi, che stavano nuovamente scappando di mano.

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