Rispetto e obbedienzaLa dinamica sociale e civile del consenso

L’individuo nato libero accetta sempre di limitare il proprio ambito d’azione: ciascuno di noi detiene i propri diritti, e responsabilità, individualmente. “Di cosa parliamo quando parliamo di consenso” di Manon Garcia è un saggio che fa riflettere sul significato profondo dietro certe dinamiche di potere e volontà

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La prima questione, quando si cerca di comprendere e valutare i dibattiti contemporanei sul consenso nelle relazioni intime, è sapere che cosa sia il consenso in generale allo scopo di identificarne e districarne le ambiguità e la polisemia. Prima di analizzarne la funzione e il potere normativo bisogna capire di che cosa stiamo parlando. Il consenso è un problema giuridico? È un problema morale? Si parla della stessa cosa quando si parla di consenso sessuale o di consenso tout court? Le tre sfere del consenso Quando si parla di consenso, si fa riferimento all’azione di acconsentire oppure al risultato di tale azione. Acconsentire è un’azione che consiste nel dare il proprio accordo.

Per esempio, acconsento ad acquistare qualcosa da qualcuno quando stipulo un contratto di vendita con quella persona. Ed è anche l’accordo che risulta da tale azione, per esempio quando gli sposi, durante la cerimonia, dichiarano il reciproco assenso a contrarre matrimonio. Questi esempi evidenziano il carattere sociale del consenso: acconsentire significa dare a qualcuno il proprio accordo su qualcosa. Non si acconsente da soli, l’azione di acconsentire implica sempre un altro.

Più in particolare, è generalmente ammesso che acconsentire consiste nel concedere a qualcuno un diritto che questi altrimenti non avrebbe: quando acconsento a prestare l’auto a un’amica le concedo il diritto di prendere la mia auto mentre se lei la prendesse senza il mio consenso contravverrebbe al mio diritto di proprietà.

Acconsentire è quindi dare il proprio assenso a qualcuno su qualcosa in modo tale da concedere, con ciò, un diritto su di sé o sui propri beni. Le origini giuridiche Come mostra questa definizione, il consenso appartiene innanzitutto al lessico giuridico. Nel diritto si parla di consenso in riferimento all’accordo con il quale qualcuno stipula un contratto. Il contratto è definito dall’articolo 1101 del Codice civile francese come «un accordo di volontà fra due o più parti per costituire, modificare, trasmettere o estinguere obbligazioni».

Quindi è il risultato di un accordo di più volontà che dà luogo a obbligazioni reciproche (il che lo differenzia dall’atto giuridico unilaterale, di cui il testamento è un esempio). L’obbligazione va qui intesa in senso giuridico, ovvero «il vincolo giuridico per il quale uno o più soggetti, il o i debitori, sono tenuti a una prestazione (fare o non fare) verso uno o più altri – il o i creditori – in virtù o di un contratto (obbligazione contrattuale) o di un quasi-contratto (obbligazione quasicontrattuale) o di un delitto o quasi-delitto (obbligazione delittuale o quasi delittuale), o della legge (obbligazione reale)». Il consenso è una delle nozioni fondamentali del diritto privato poiché è una condizione necessaria della validità di un contratto: un contratto non può essere legalmente valido se le parti non danno il proprio assenso.

 L’articolo 1128 del Codice civile francese (ex articolo 1108) dispone quindi che: «Sono necessari alla validità di un contratto: 1° il consenso delle parti; 2° la loro capacità contrattuale; 3° un contenuto lecito e certo.» Il consenso delle parti è a tal punto centrale per il perfezionamento di un contratto che il diritto francese contempla contratti che esistono soltanto in virtù dello scambio dell’assenso e non richiedono di essere formalizzati legalmente. È quello che la legge chiama un contratto consensuale e che è definito nell’articolo 1109 del Codice civile francese in questi termini: «Il contratto è consensuale quando si perfeziona con il mero consenso delle parti qualunque sia il modo di espressione».

La nozione di consenso sta quindi alla base del diritto privato e della capacità degli individui di stipulare contratti gli uni con gli altri. I tre ambiti del consenso. Storicamente, quella di consenso è innanzitutto una nozione giuridica, ma oggi appare cruciale per tre diversi ambiti: giuridico, politico, e dei rapporti interpersonali intimi, con particolare riferimento al matrimonio e alla sessualità.

Come abbiamo appena visto, in ambito giuridico questa nozione è usata principalmente nel diritto contrattuale. Ed è di particolare importanza osservare che non è usata nel diritto penale: il diritto penale francese non riconosce la locuzione latina Volenti non fit iniuria, cioè «A chi acconsente non si fa offesa».

Mentre nel diritto civile questa massima è cruciale per valutare la responsabilità, in quello penale prevale piuttosto la massima contraria, Voluntas non excusat iniuriam, «La volontà non giustifica l’offesa». Altrimenti detto, il consenso della vittima non annulla il reato, tranne se tale reato richiede, per definizione, inganno o violenza (per esempio, non può esserci rapimento con il consenso della vittima). In ambito politico il lessico del consenso è utilizzato nel quadro di quello che si suole chiamare il problema dell’obbligo politico. Uno dei problemi cruciali di qualunque filosofia politica è infatti sapere come e perché i soggetti obbediscano alle leggi e ai governanti.

A partire dal momento in cui il potere statale non è più concepito come di origine divina e si ritiene che i soggetti siano per natura liberi e uguali, solo l’obbligo permette di comprendere il funzionamento della vita politica, se con questo termine si intende «ciò a cui una volontà si riconosce liberamente impegnata verso sé stessa o verso altri». Ma se gli esseri umani sono liberi e uguali, l’obbedienza alla legge consiste, almeno in modo schematico, nel fatto che un individuo nato libero accetta di limitare il proprio ambito d’azione a ciò che è autorizzato dalla legge.

Come mostra la politologa americana Hannah Pitkin, quello dell’obbligo politico contiene in realtà più di un problema. Pitkin ne distingue quattro:

1. I limiti dell’obbligo («Quando si è obbligati a obbedire, e quando no?»)

2. Il luogo della sovranità («A chi si è obbligati a obbedire?»)

3. La differenza fra autorità legittima e mera coercizione («C’è veramente una differenza? Si è mai veramente obbligati?»)

4. La giustificazione dell’obbligo («Perché si è obbligati a obbedire, anche quando l’autorità è legittima?»)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Di cosa parliamo quando parliamo di consenso”, di Manon Garcia, Einaudi, 264 pagine, 17 euro