«Era il 10 luglio di una terra senza colpa. […] Donne al davanzale lanciavano parole sepolte ormai nel ventre di madri perdute, perdute dal cielo proprio sopra di noi che restiamo a guardare morire le radici, i preti perdonare proprio sopra di voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti, che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochetti. E allora, allora ammazzateci tutti!», cantava Antonello Venditti in “Canzone per Seveso”, brano dedicato a uno dei disastri ambientali più gravi (e dal maggior impatto mediatico) della storia italiana.
Il 10 luglio 1976, un incidente nell’industria chimica ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) – situata tra Seveso e Meda, in Brianza – causò la fuoriuscita di una nube tossica di diossina visibile ad occhio nudo. Tra la disorganizzazione e la negligenza della politica (la fabbrica venne chiusa solo otto giorni dopo), la divisione del territorio di Seveso in aree di contaminazione, i danni ambientali e gli effetti sulla salute dei cittadini, il cosiddetto disastro di Seveso – il cui triste anniversario cade domani – ha segnato la memoria collettiva in modo indelebile, creando scalpore a livello internazionale: secondo il Time, per rendere l’idea, è stato l’ottavo incidente ambientale più grave di sempre in tutto il mondo.
Tra le persone che hanno costantemente cercato di superare le menzogne e le indifferenze, nella speranza di informare in modo oggettivo una cittadinanza spaesata, spicca senza dubbio alcuno Laura Conti (1921-1993). Una figura fondamentale, preziosissima, anticipatrice, che negli Anni 70 e 80 scrisse saggi e romanzi ancora perfettamente attuali. E questo denota che, nonostante una crisi climatica in costante peggioramento, come razza umana ci siamo fatti crescere l’erba sotto i piedi, senza intervenire in modo tempestivo e adeguato.
«L’ambientalismo, per sua natura, dovrebbe contestare il modello capitalistico […]. Le forze politiche concedono alle istanze ambientaliste solo un riluttante sostegno di facciata. A loro volta, i movimenti ambientalisti sono sempre più orientati ad azioni simboliche o locali, prive di progetti per i cittadini e le comunità. Per contrastare questa deriva, dobbiamo continuare a studiare e a progettare il futuro, sapendo che il tempo a disposizione per cambiare rotta è poco. E che si riduce rapidamente», scrisse Conti – tra le fondatrici di Legambiente – poche settimane prima della sua morte, avvenuta il 25 maggio 1993 a causa di un improvviso malore. Un testo che potrebbe tranquillamente essere il breve estratto di un articolo scritto due settimane fa.
Laura Conti, nata a Udine nel 1921 e laureata in Medicina a Milano dopo un periodo di detenzione nel campo di concentramento di Gries (Bolzano), è a tutti gli effetti la madre dell’ambientalismo italiano. Un ambientalismo, il suo, di stampo scientifico, che consolidò ed esportò grazie alle sue spiccate conoscenze nel campo medico.
Conti fu anche partigiana, attivista, militante politica, scrittrice, deputata (1987 al 1992 con il Partito Comunista Italiano e il Partito Democratico della Sinistra), consigliera provinciale e regionale. Al centro dei dibattiti sociali, scientifici e ambientali più caldi dell’epoca – dal nucleare all’inquinamento dell’aria e delle acque, passando per le conseguenze a tutto tondo del capitalismo – c’era spesso lei, tenace, lucida e senza il timore di nuotare controcorrente. Conti scrisse anche saggi sull’educazione sessuale: un tema che ancora oggi fa scaldare gli animi, figuriamoci nel 1971, quando per Editori Riuniti lanciò “Sesso ed educazione”.
Con il disastro di Seveso raggiunse la fama internazionale: per fare chiarezza sulla torbida vicenda pubblicò infatti due libri, uno più di cronaca (“Visto da Seveso”, 1977) e l’altro più narrativo (“Una lepre con la faccia di bambina”, 1978). Il secondo romanzo è stato recentemente ripubblicato – assieme ad altre sue opere – dalla casa editrice indipendente Fandango Libri, conscia dell’importanza di riproporre scritti così rilevanti per ogni fascia d’età. Il successo di “Una lepre con la faccia di bambina” spinse addirittura l’Unione europea ad approvare la cosiddetta “direttiva Seveso”, con l’obiettivo di prevenire e contrastare gli incidenti industriali come quello che il 10 luglio 1976 avvelenò l’aria e il suolo della bassa Brianza.
«Laura aveva la necessità di spiegare agli abitanti cosa stesse realmente accadendo. Allora era consigliera regionale in Lombardia, e l’assenza di una linea chiara da parte della Regione le creava angoscia. Voleva fornire elementi oggettivi, spiegare la differenza tra certezza e rischio, illustrare cosa significasse l’asportazione degli strati di terreno contaminati». A pronunciare queste parole è Marco Martorelli, che abbiamo intervistato telefonicamente. Senza di lui – che per Fandango Libri sta curando le riedizioni delle opere di Conti – l’eredità letteraria della madre dell’ambientalismo italiano sarebbe rimasta in una buia cantina.
Nel testamento, Laura Conti attribuì a Martorelli – nel nome della loro straordinaria amicizia – il compito di custodire (e valorizzare) i suoi scritti. «Aveva una grande capacità di scrittura, e dopo il suo primo libro c’è chi iniziò a chiederle di mollare la politica. Ma lei diceva sempre che la scrittura nasce da un bisogno interiore, e per questo non poteva diventare un lavoro», spiega Martorelli, esperto redattore scientifico, che non dimentica di sottolineare la lungimiranza dell’attivista friulana di nascita ma milanese d’adozione: «Laura si chiedeva spesso quale fosse il momento giusto per fermarsi, per smettere di produrre. Secondo lei non bisognava semplicemente ridurre i consumi, ma ridurre il fabbisogno».
«Incontrai Laura per la prima volta nel 1967», racconta Martorelli con emozione, «eravamo nella Casa della Cultura di Milano, di cui era segretaria. E una semplice conoscenza divenne una grande amicizia a partire dall’inizio degli Anni 70, quando mi ritrovai da giovane redattore a occuparmi di alcune sue opere. Sembra morta poco tempo fa, ma sono ormai passati quasi 30 anni».
Laura Conti non aveva doti profetiche, ma una conoscenza e una sensibilità tali da interpretare minuziosamente i segnali del nostro pianeta: per questo fu una sorta di anticipatrice. Sottolineò insistentemente i rischi ambientali connessi, ad esempio, alla globalizzazione e al consumismo esasperato della società capitalistica, scontrandosi anche con politici a lei vicini. Spesso risultò scomoda, e secondo Martorelli la sua memoria fu oggetto di una lunga e preoccupante rimozione.
«Con il suo ambientalismo scientifico, basato appunto su solidi riferimenti scientifici, ci ha insegnato che non bisogna aver paura di trovarsi in minoranza. E lei si è trovata in minoranza molte volte. Quando ha pubblicato “Che cos’è l’ecologia. Capitale, lavoro e ambiente”, nel 1977, il pubblico di sinistra e di sindacato considerava i temi ambientali come snob o come un rischio per l’occupazione. Ha ricevuto degli attacchi dai negazionisti, la definivano esagerata», dice il suo amico di sempre, in grado di testimoniare che, alla fine, aveva ragione lei. Praticamente su tutto.