Sono passati sei anni dalla Sentenza della Corte di Giustizia europea che ha stabilito che le concessioni demaniali delle spiagge italiane debbano essere assegnate tramite gara, in linea con quanto previsto dalla Direttiva europea Bolkestein del 2006, che aveva l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi all’interno del mercato unico europeo.
In particolare, la Direttiva stabilisce che in caso di numero limitato di autorizzazioni per una determinata attività di servizi si debba procedere con una procedura di selezione imparziale e trasparente, aprendo il mercato anche alle imprese di altri Paesi dell’Unione.
In Italia questo ha creato un nodo politico intorno a due segmenti del tessuto economico: ambulanti e spiagge. Il sistema italiano delle spiagge è da sempre caratterizzato da concessioni molto lunghe, alla scadenza delle quali seguivano rinnovi automatici o diritti di insistenza. Questo meccanismo ha garantito una certa stabilità ai circa trentamila imprenditori coinvolti e permesso investimenti a lungo termine, impedendo però l’ingresso di nuove imprese nel mercato.
La sentenza della Corte del 2016, dunque, ha fatto chiarezza nel clima di incertezza normativa seguita alla Direttiva, tra procedure d’infrazione avviate e interrotte, e sentenze dei vari TAR, dando al Governo una precisa direzione in cui lavorare.
Da allora, tuttavia, i cinque governi che si sono succeduti non sono riusciti a procedere con la riforma della normativa, facendo addirittura un passo indietro nel 2018, quando il Governo Conte I ha previsto una proroga generalizzata di tutte le concessioni fino al 2033. Proroga inevitabilmente bocciata dalla sentenza del Consiglio di Stato dello scorso novembre, che ha inoltre invitato il legislatore nazionale a riformare il settore entro il 31 dicembre del 2023.
Con la sentenza del Consiglio di Stato e la minaccia di una nuova procedura d’infrazione da parte dell’Unione, però, sul Governo Draghi pesa l’obbligo di varare, entro il 31 dicembre 2023, ciò che l’Italia rinvia da sedici anni: una riforma del sistema delle concessioni, basata, appunto, su gare pubbliche.
I nodi sono moltissimi. Draghi, infatti, si è trovato a fare i conti con una forte resistenza dei partiti di centrodestra all’interno della sua maggioranza che, insieme a Fratelli d’Italia, portano avanti da sempre una battaglia contro l’applicazione della Direttiva al settore balneare. Al contempo, però, a Palazzo Chigi sanno bene che i soldi europei del Recovery Plan continuano ad essere legati alle riforme e su quella delle concessioni delle spiagge l’Italia non può più permettersi di aspettare.
Dopo una lunga mediazione, la sintesi la si è trovata nel testo del DDL Concorrenza approvato in Senato a fine maggio e che attende ora l’approvazione della Camera. All’interno del testo, infatti, vengono stabiliti i principi generali che dovranno poi essere tradotti dal Governo nei decreti legislativi di riordino della normativa, in coerenza con la disciplina europea. All’art. 4 vengono definiti alcuni di questi principi tra cui anche quello più atteso: a partire dal 2024 l’affidamento delle concessioni dovrà avvenire sulla base di procedure selettive nel rispetto dei princìpi di imparzialità, non discriminazione e parità di trattamento, così come previsto dai principi comunitari.
Il testo prevede inoltre che venga riconosciuta un’adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali e, non meno importante, che dovrà essere stabilito un canone di concessione in linea con il reale valore economico e turistico del singolo bene oggetto di affidamento. Su questi ultimi temi il dibattito tra i partiti è stato particolarmente intenso, soprattutto rispetto alla commisurazione dell’eventuale riconoscimento del valore dell’impresa e degli investimenti.
Accolta, all’interno del DDL, anche la richiesta dell’Anci che aveva evidenziato le difficoltà per i Comuni nel portare a termine le gare entro il 31 dicembre 2023. Accordo trovato e possibilità di avere un’unica proroga annuale fino a fine 2024.
Il testo, però, sembra non aver soddisfatto tutti: qualche giorno fa, Fratelli d’Italia ha presentato un emendamento, poi bocciato, nel quale veniva richiesto lo stralcio delle modifiche introdotte al Senato sulle concessioni.
Dopo 16 anni di temporeggiamento, nei quali sono state ipotizzate proroghe fantasiose e forzature normative rivelatesi inefficaci perché in palese contrasto con la normativa comunitaria, pare che il Governo Draghi sia riuscito ad arrivare vicino ad una riforma del sistema delle concessioni coerente ed equilibrata. La sensazione che rimane però, soprattutto alla luce dell’inequivocabile sentenza del 2016, è che in questi anni si sia perso del tempo, lasciando il settore nell’incertezza normativa e bloccando, di fatto, gli investimenti.
In attesa della votazione alla Camera (dove si sta giocando un’altra partita molto delicata legata a taxi e NCC) e della versione definitiva del testo, sembra quindi che il percorso a ostacoli che porterà ad una revisione della normativa sulle concessioni demaniali delle spiagge, e che soprattutto garantirà certezza normativa alle imprese, sia arrivato sul rettilineo poco prima del traguardo.