Presa di coscienzaCi stiamo impegnando in maniera solerte a distruggere le nostre coste

In occasione della Giornata internazionale del mar Mediterraneo (8 luglio), è necessario rinfrescarci la memoria con qualche dato emblematico e scoraggiante sul modo in cui stiamo trattando un vero e proprio paradiso della biodiversità, contraddistinto da una ricchezza di specie circa 10 volte superiore alla media globale

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«Il Mediterraneo è un mare di straordinaria bellezza: un bacino semi-chiuso su cui si affacciano 15 Paesi europei sulla costa settentrionale e 13 su quella meridionale, dove si intrecciano interessi commerciali, politici, sociali e valori ambientali unici al mondo. Pur ricoprendo meno dell’1% della superficie globale dell’oceano, il Mediterraneo ospita oltre 17.000 specie, circa il 10% di quelle conosciute. La ricchezza di specie per area è circa 10 volte superiore alla media mondiale. La biodiversità presente nel bacino del Mediterraneo è il risultato dell’intrecciarsi di millenni di vicende umane e naturali».

Questo e altro ancora leggeremmo se andassimo, non solo oggi che si celebra la Giornata internazionale del mar Mediterraneo, sul sito del Wwf che da tempo, e tra le altre sue attività, si è schierato in difesa del suo capitale blu che può generare un valore annuo di 450 miliardi di dollari, e a tutela degli oltre 150 milioni di persone che vivono lungo la sua costa e traggono beneficio dai servizi ecosistemici che fornisce.

E qual è lo stato di salute del “Mare nostrum”? Dal punto di vista ecosistemico, secondo i dati resi pubblici dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), sono oltre 240 le specie aliene identificate nel nostro mare, di cui il 68% ormai stabile lungo le nostre coste. Sui fondali italiani si deposita più del 70% dei rifiuti marini, dei quali il 77% è plastica. La situazione non è migliore sulle spiagge, con una media di 400 rifiuti ogni 100 metri.

Tuttavia, parlare di Mediterraneo significa parlare anche di coste: nel suo recente rapporto sull’artificializzazione progressiva delle coste italiane, Ispra evidenzia come in questi ultimi 20 anni ne abbiamo perse tantissime: ben 100 chilometri! In pratica dobbiamo immaginare che ogni anno, in Italia, è come se scomparisse una località balneare grande come Fregene (Roma), e al suo posto sorgesse un’opera artificiale come ad esempio porti o impianti industriali o idraulici. 

In un quadro complessivo che registra la perdita di 2 metri quadrati di suolo ogni secondo, sappiamo che 5 chilometri all’anno sono di costa. Secondo i dati che emergono dall’aggiornamento della banca dati Linea di Costa Italiana 2020, a fronte di una linea di costa che misura circa 8.300 chilometri, oggi il 13% è occupato da opere artificiali. Negli ultimi 20 anni, la costa soggetta ad artificializzazione è aumentata complessivamente di oltre 100 chilometri.

Ma l’artificializzazione è ancora più rilevante nelle zone retrostanti le spiagge, nelle quali ogni anno dune costiere, terreno coltivato, vegetazione e formazioni naturali vengono sostituite da oltre 10 chilometri di opere antropiche. Nell’insieme, la linea di retrospiaggia misura circa 4.000 chilometri, di cui solo metà restano naturali, mentre oltre il 20% è completamente occupato da opere artificiali, come infrastrutture viarie, abitazioni, lidi, siti produttivi. L’incremento, in questo caso, è stato di oltre 200 chilometri negli ultimi 20 anni. 

Nell’arco, dunque, di una sola generazione abbiamo lavorato in maniera solerte per sostituire lungo le nostre coste tratti naturali con strutture artificiali, ma se allarghiamo il nostro focus facciamo presto a scoprire che con la stessa diligenza abbiamo operato per sostituire terra coltivata con cemento. Infatti, secondo un’analisi svolta da Coldiretti, la nostra penisola ha perso quasi un terzo della terra coltivata, seguendo un modello di sviluppo che ha causato la scomparsa del 28% delle campagne che garantiscono la sicurezza ambientale e alimentare. Il che definisce una perdita di oltre 400 milioni di chilogrammi di prodotti agricoli in un decennio.

In questo momento storico le forniture alimentari stanno subendo i pesanti effetti dei conflitti in corso – anche in termini di aumento dei prezzi. In un quadro più ampio, stiamo fronteggiando la terza crisi alimentare in soli 15 anni, con il numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare e denutrizione che sta aumentando da ben 6 anni. In un contesto analogo, servono una riflessione collettiva e una presa di coscienza sul ruolo che dobbiamo – e possiamo – interpretare in prima persona. Mi pare doverosa, oltre che necessaria.