Il fronte balticoPerché l’Estonia è la nazione più determinata nel fornire aiuti all’Ucraina

Dalla fine della Guerra Fredda, Tallin ha provato a uscire dalle dinamiche sociali e politiche che ereditava dall’Unione sovietica e ha guardato sempre più a occidente. La sua storia di rinascita oggi può diventare un punto di riferimento per Kyjiv

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Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, lo scorso 24 febbraio, l’Estonia ha dato un grande contributo alla difesa di Kyjiv. Potrebbe sembrare assurdo, ma senza l’aiuto del piccolo vicino baltico oggi la resistenza sarebbe in una posizione molto diversa, forse la stessa capitale ucraina non avrebbe ripreso a vivere come sta facendo, o forse sarebbe ridotta in macerie.

L’Estonia ha destinato quasi il 40% del suo bilancio militare annuale all’Ucraina e oltre lo 0,8% del suo prodotto interno lordo, più di qualsiasi altra nazione in termini pro capite. Ha fornito obici, mezzi corazzati per il trasporto di personale, veicoli resistenti alle mine e centinaia di missili anticarro Javelin. Ma l’assistenza di questo Stato baltico non si limita al supporto materiale: Kaimo Kuusk, ambasciatore dell’Estonia in Ucraina, è stato uno degli ultimi diplomatici a lasciare Kyjiv dopo l’invasione, e uno dei primi a tornare una volta che gli invasori erano stati ricacciati indietro. Poi ha coniato una moneta da due euro con la scritta Slava Ukraini.

Mentre nel resto del mondo si inizia a pensare che forse, quasi quasi, l’Ucraina dovrebbe rassegnarsi e rinunciare a parte del suo territorio per sedersi al tavolo dei negoziati con Vladimir Putin, a Tallin non sono disposti a concedere nulla all’autocrate russo.

«Nonostante la recente crisi di governo, l’Estonia mantiene una notevole unanimità quando si tratta di sostenere l’Ucraina», scrive Michael Weiss su New Lines Magazine. «Chiaramente c’entra la solidarietà del trauma condiviso: nessun estone ha bisogno di sapere com’è l’occupazione o cosa fa a una nazione, nessuno ha bisogno di un tutorial su ciò che Josef Stalin ha fatto ai loro genitori, nonni o bisnonni nel 1941 e nel 1949, nessuno vuole ricordare il raccapricciante parallelo di quegli eventi con ciò che Putin sta facendo oggi alle famiglie ucraine».

La madre di Kaja Kallas, la premier estone, ad esempio, ha trascorso buona parte della sua infanzia in un esilio siberiano, dopo che i sovietici l’hanno deportata con un carro bestiame a soli sei mesi con sua madre e sua nonna.

Per la nazione del Baltico il confine condiviso con la Russia è sempre stato una fonte di pericolo, di ansia, di tensione. La minaccia di una Russia risorgente e revanscista è sempre stata lì a due passi.

Per loro, scrive Weiss su New Lines, «la Guerra Fredda non è mai finita: già prima dell’invasione della Georgia nel 2008 o dell’annessione della Crimea nel 2014, l’Estonia ci ha fatto capire che Putin ha cercato un confronto con l’Occidente, che i servizi speciali russi e i loro delegati stavano lavorando instancabilmente per minare l’architettura di sicurezza dell’Europa del dopoguerra, seminare divisioni nelle nostre società con disinformazione, influenzare le operazioni e sovvertire le elezioni democratiche».

E allora, secondo Tallin, costruire oleodotti o lasciare che gli oligarchi russi si impadronissero di club sportivi, ville, società nel mondo dei media o qualsiasi altro settore, proprio nel cuore dell’Unione europea non è stata una grande idea.

Quella politica che in Germania è stata ribattezzata Ostpolitik, riprendendo il nome della politica di riavvicinamento con l’Unione Sovietica intrapresa dall’ex cancelliere tedesco Willy Brand negli anni ‘70, non ha mai comprato la benevolenza del Cremlino.

Quanto accaduto dal 24 febbraio in avanti dimostra che un Paese enorme e storicamente revisionista, governato da un uomo come Vladimir Putin, non può essere approcciato secondo i normali codici della diplomazia: la sua offensiva militare va contrastata e combattuta, per quanto possa sembrare difficile.

«Dall’inizio del conflitto l’Ucraina, anche grazie agli aiuti alleati, è riuscita ad abbattere alcune convinzioni errate sulla Russia», scrive Weiss su New Lines. Una di queste è quella che vedeva l’esercito russo come un colosso inarrestabile, che avrebbe reso vana ogni forma di resistenza; un’altra diceva che rispondere all’aggressione avrebbe portato solo un peggioramento della situazione. Ma fino a questo momento l’Ucraina, pur con tutte le difficoltà, non è capitolata, e l’andamento della guerra non è proprio quello che aveva sperato il Cremlino.

Eppure, per troppo tempo, la risposta dell’Europa occidentale e del Nord America è stata di calma e condiscendenza, mentre l’Estonia temeva costantemente quello che poi è accaduto: la paura di Tallin, nata da una necessità esistenziale, si è rivelata decisamente utile, ha reso lo Stato baltico il più attento osservatore sull’andamento della guerra di Putin in Ucraina.

Al momento dell’indipendenza del 1991, l’Estonia era sommersa dalla criminalità organizzata, dalla corruzione e dai problemi derivanti da un apparato di sicurezza militare alquanto compromesso. Però ha sempre preferito guardare a occidente, è stata accettata nella Nato e nell’Unione europea, e oggi è un Paese molto diverso da quel che si prospettava trent’anni fa: «È tra i Paesi più sviluppati nel campo della sicurezza informatica e nelle startup tecnologiche – si legge ancora su New Lines – ha uno dei più bassi tassi di corruzione al mondo ed è uno dei Paesi più rispettosi della legge. Ha una solida cultura delle forze dell’ordine e del controspionaggio, cattura ogni anno spie russe o cinesi che hanno vogliono penetrare nei suoi settori militari, di polizia o di intelligence e, a differenza di altri Paesi europei, che preferiscono tacere o minimizzare tali violazioni, li persegue».

In altre parole, questo piccolo Paese che affaccia sul Baltico è la miglior rappresentazione di un investimento vincente per l’Occidente, una storia di successo e di rinascita di chi voleva allontanarsi dalla gravità di Mosca. È un potenziale punto di riferimento e modello da seguire per l’Ucraina, che oggi lotta per la sua sopravvivenza ma in un futuro non troppo lontano potrebbe avere uno sviluppo pacifico, positivo e sereno come quello dell’Estonia.

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