La Russia è a corto di uomini. Può sembrare assurdo per un Paese enorme, con quasi 150 milioni di abitanti, ma la guerra in Ucraina è già durata troppo a lungo rispetto ai piani iniziali del Cremlino e le cose si sono complicate più del previsto.
Da settimane si parla delle difficoltà nel ricalibrare tutto nell’ottica di un conflitto lungo, e tra le necessità che si stanno presentando – da una parte e dall’altra del fronte – c’è quella di arruolare nuove forze.
I programmi dell’esercito russo non possono sfornare nuove reclute da un giorno all’altro, così le carceri e le cooperative in tutto il Paese stanno reclutando volontari per combattere in Ucraina, come ha spiegato il Moscow Times la settimana scorsa.
«L’iniziativa sembra essere un tentativo dell’esercito russo di sostituire le sue truppe indebolite dopo un duro impegno di quattro mesi per appropriarsi dei territori nell’Ucraina meridionale e orientale. Il Gruppo Wagner, una compagnia militare privata collegata al Cremlino, avrebbe offerto ai prigionieri di San Pietroburgo e Nizhny Novgorod alti stipendi e una potenziale amnistia per sei mesi di servizio», si legge sulla testata indipendente, che cita come fonte la piattaforma iStories.
Ma non si tratterebbe di veri contratti. Invece di accordi scritti, ai detenuti il Cremlino promette circa 3.500 euro e l’amnistia, ammesso che tornino a casa vivi dopo sei mesi in Ucraina; alle loro famiglie vengono proposte grandi quantità di denaro – circa cinque milioni di rubli (90.500 dollari) – che verrebbero consegnati in caso di morte.
In una prigione di San Pietroburgo, scrive iStories, almeno 200 detenuti hanno mostrato interesse per l’offerta, ma solo 40 alla fine si sono arruolati fino a fine giugno.
Le carceri non sono l’unico hub di reclutamento. Un altro obiettivo sono i cantieri navali della compagnia statale United Shipbuilding Corporation a San Pietroburgo e in una miniera della Metalloinvest a Belgorod, proprio al confine con l’Ucraina – entrambe sottoposte a sanzioni occidentali, tra l’altro.
«Agli operai dei cantieri navali sono stati offerti contratti sotto l’ombrello del ministero della Difesa, con salari di 300mila rubli (oltre 5mila euro) mensili per andare a combattere. Ma nessuno avrebbe accettato l’offerta», ha raccontato a Moscow Times un operaio intervistato a giugno. Nelle miniere di Belgorod il reclutamento va avanti da mesi, anche se la Metalloinvest ha negato tutto.
In un articolo lungo pubblicato domenica scorsa, il New York Times parlava di «mobilitazione invisibile», descrivendo una lunga serie di operazioni non proprio canoniche con cui Mosca starebbe reclutando i prossimi soldati da inviare al fronte.
«Quattro veterani russi della guerra in Ucraina – ha raccontato il quotidiano americano nell’introduzione del suo articolo – hanno recentemente pubblicato brevi video online per lamentarsi di quello che hanno definito il loro trattamento squallido dopo essere tornati nella regione russa della Cecenia, dopo essere stati sei settimane sul campo di battaglia. Uno ha detto che non gli è stato dato un pagamento promesso di quasi duemila dollari. Un altro si è lamentato del fatto che un ospedale locale ha rifiutato di rimuovere le schegge rimaste nel suo corpo».
Le loro richieste di aiuto pubbliche hanno avuto eco in Russia, ma non del tipo che speravano. Un uomo vicino a Ramzan Kadyrov, l’autocrate sanguinario che guida la Cecenia, li ha bersagliati a lungo nelle tv cecene, li ha additati come ingrati e li ha costretti a ritrattare. «Sono stato pagato molto di più di quanto avevano promesso», ha detto un reduce dall’Ucraina che aveva giurato di essere stato truffato.
La rapidità con cui la leadership cecena – e ovviamente anche quella russa – si muove per ammutolire queste voci critiche dall’interno è un segnale del fatto che i funzionari russi vogliano eliminare qualsiasi critica sul servizio di arruolamento per l’Ucraina.
«Hanno bisogno di più soldati, disperatamente, e stanno già utilizzando quella che alcuni analisti chiamano “mobilitazione invisibile” per portare nuove reclute senza ricorrere a una leva nazionale che sarebbe politicamente rischiosa», scrive il New York Times. «Allora per colmare la carenza di personale militare, il Cremlino fa affidamento su una combinazione di minoranze etniche impoverite, ucraini provenienti dai territori separatisti, mercenari e unità militarizzate della Guardia Nazionale per combattere, e promette ingenti incentivi in denaro per chi scende in campo».
Per alcuni volontari che accettano di imbracciare le armi, gli stipendi possono oscillare tra i 2mila e i 6mila euro mensili, di gran lunga superiori allo stipendio medio che è circa di 700 euro. Ma per i mercenari, prima dell’invasione dell’Ucraina, questi accordi avrebbero fruttato ai soldati circa 200 euro al mese, forse poco di più.
Alcuni volontari sono emotivamente ispirati da un conflitto intriso dalla propaganda del Cremlino, altri invece sono semplicemente alla ricerca di soldi che altrimenti rischierebbero di non vedere mai, come nel caso dei lavoratori delle regioni industriali colpite dalla chiusura di fabbriche a causa delle sanzioni.
Non è un caso che il computo delle vittime tra i soldati russi conduca sempre più spesso verso le repubbliche più povere, popolate da minoranze etniche, come il Daghestan e la Buriazia (nella Siberia meridionale): il Cremlino riempie le prime file del suo esercito sempre più spesso con queste persone alla periferia della nazione.
«I coscritti di molte minoranze, in particolare, sono praticamente costretti a firmare contratti. I funzionari dell’esercito dicono loro che nella loro città natale non troverebbero lavoro, quindi è meglio rimanere nell’esercito per guadagnare soldi», ha detto al New York Times Vladimir Budaev, portavoce della Free Buryatia Foundation, un gruppo pacifista che dall’estero sostiene i Buriati, minoranza etnica della Buriazia, repubblica orientale al confine con la Mongolia.
Evitando una chiamata alle armi generalizzata, universale, rivolta a tutti i maschi adulti – ma concentrata solo su alcuni target di popolazione – il Cremlino può alimentare la narrazione della guerra come «operazione militare speciale» limitata nel tempo. In questo modo riduce al minimo i rischi di una reazione pubblica forte, come quelle che hanno minato dall’interno le precedenti campagne militari russe, come quella in Afghanistan e la prima guerra cecena.