La riduzione delle forniture di gas russo delle ultime settimane e lo stop temporaneo annunciato da Mosca sollevano una serie di questioni urgenti per l’Unione europea e per gli Stati Membri. Ma ancora una volta è la Germania, il Paese europeo più dipendente da Mosca sul fronte energetico, a rappresentare l’esempio più evidente delle contraddizioni e delle difficoltà che attanagliano l’Europa.
Formalmente, l’interruzione del servizio di Nord Stream avverrà per delle riparazioni necessarie, ma è opinione di molti analisti che il governo russo miri in realtà a un nuovo rialzo dei prezzi, per mettere ulteriore pressione ai Paesi europei in merito alle sanzioni e al sostegno all’Ucraina.
Bruno Le Maire, Ministro francese delle Finanze, ha affermato che l’Unione deve prepararsi a un taglio totale delle forniture di gas dalla Russia, e che servono subito piani e decisioni in tal senso, mentre la scorsa settimana Ursula von der Leyen ha annunciato entro metà luglio un piano d’emergenza da parte della Commissione Europea, da attivarsi in caso di taglio totale delle forniture.
Dall’inizio dell’invasione, la Germania ha già ridotto sensibilmente le importazioni di gas russo (dal 55% al 35% del totale delle importazioni), e ha bloccato l’attivazione del contestato gasdotto Nord Stream 2. Il governo Scholz ha inoltre preso una serie di decisioni radicali, che hanno segnato uno spartiacque profondo con la politica estera merkeliana.
Tuttavia, Berlino rimane dipendente da Mosca: secondo il Ministro dell’Economia, Robert Habeck, per un’uscita totale dal gas russo servirà aspettare il 2024. In questa situazione, l’industria e la società tedesche hanno la necessità di non veder diminuire ulteriormente il gas a disposizione per evitare lo spettro della recessione, con effetti a cascata su diversi partner europei.
Per questo, negli scorsi mesi Habeck ha vagliato una serie di accordi di fornitura alternativi alla Russia, ad esempio con il Qatar, e ha lanciato un piano di riutilizzo di centrali a carbone, nonostante l’uscita da questa fonte fossile sia uno degli obbiettivi del governo, e soprattutto del suo partito, i Verdi.
In effetti, la mossa di Habeck mette in luce tutte le difficoltà tedesche a far fronte alla situazione, insieme ad alcune questioni interne che continueranno ad avere effetti nei rapporti interni al governo anche nei prossimi mesi.
In primo luogo, ovviamente, c’è l’irrisolta dipendenza energetica: la Germania ha fatto, come detto, passi rilevanti verso l’autonomia da Mosca, ma il percorso non potrà essere completato a breve, e il governo russo è deciso a sfruttare tutto il peso di questa situazione. Se è vero che è l’intera Unione europea a essere interessata dalla pressione russa, è chiaro che Berlino, insieme all’Italia, rappresenta l’obiettivo principale per il Cremlino, a causa della sua importanza nell’economia europea e per il significato politico che avrebbe un eventuale indebolimento della compattezza europea proprio a causa di uno sfilarsi della Germania.
La Germania è apparsa in diverse occasioni come l’anello più debole della risposta europea all’invasione dell’Ucraina. Prima, non citando mai, come possibili sanzioni in caso di invasione, il blocco di Nord Stream 2 (misura, però, presa repentinamente non appena l’invasione si è davvero verificata). Poi, mostrando più titubanza di altri Paesi verso l’invio di armi in supporto di Kyjiv. Ora, dando l’impressione di essere più disposta di altri a violare le sanzioni alla Russia per tutelare le sue fonti energetiche.
Negli scorsi giorni, ad esempio, una delle turbine di Nord Stream è stata portata in Canada per delle riparazioni, dove però a quel punto è stata trattenuta a causa delle sanzioni. Habeck ha chiesto al Canada di inviare la turbina in Germania, dando l’impressione di volerla poi a sua volta reinviare in Russia. Di fronte all’accettazione del Canada, sono arrivate le proteste del governo ucraino.
Anche sul pacchetto di aiuti da nove miliardi di euro all’Ucraina, deciso tra i leader europei, la Germania sta ora mostrando resistenza. Gli aiuti, infatti, proverrebbero da debito comune europeo, uno strumento verso il quale i liberali tedeschi sono da sempre contrari. Per questo, il loro leader e Ministro delle Finanze, Christian Lindner, si oppone alla misura.
Proprio la storia degli aiuti mostra come per la Germania la vicenda nasconda anche una serie di insidie interne: sugli aiuti all’Ucraina, e su come li si finanzia, si giocano le diverse idee d’Europa dei partiti attualmente al governo, con i liberali fortemente contrari al debito comune e a forma di fiscalità condivisa.
Al tempo stesso, le contraddizioni con cui è alle prese Habeck testimoniano le difficoltà vissute dai Verdi. Tradizionalmente europeisti, oggi per tener fede ai loro valori rischiano di doverne sacrificare altri, supportando l’impiego di carbone lì dove proprio loro sono stati determinanti nell’approvare l’obiettivo di ridurne a zero l’uso entro il 2030.
Su gas e Ucraina, in effetti, si giudicherà moltissimo del bilancio della partecipazione dei Verdi al governo; ma i due temi saranno determinanti anche per l’eredità politica della Spd, il partito del Cancelliere Scholz, da sempre favorevole ai rapporti con la Russia, oggi in difficoltà nel far avviare definitivamente il Paese verso quella svolta epocale annunciata dal Cancelliere al Bundestag ormai a febbraio.