Storia delle mie veneIl Paese che ha sempre bisogno di un Mario per risollevarsi

L’infermiera che per fare un prelievo si deve sdraiare per terra (senza poi riuscire a riempire le provette) è il simbolo perfetto di una nazione che si barcamena tra incompetenza strutturale e piccoli grandi salvatori della patria

da Unsplash

Ho letto dello scandale du jour del reparto di oncologia d’un ospedale di Napoli mentre, un bel po’ più a nord, in una struttura privata, a mezzogiorno, un’infermiera stesa per terra cercava di prelevarmi del sangue urlando un nome non particolarmente raro. Perché mi prelevavano il sangue a mezzogiorno? Perché l’infermiera era stesa per terra? E chi invocava? Quanti misteri, nella prima scena di questo appassionante giallo dell’estate.

Lo scandale du jour, come riferito da Repubblica, è che nel reparto sono affissi due cartelli: «È severamente vietato domandare quante persone ci sono in lista prima del proprio turno di visita», e «Inoltre si fa presente che l’orario di visita scritto sulla prenotazione non ha valore e non sarà rispettato».

Sospetto che non sia neanche la cosa peggiore che si possa leggere in un reparto di oncologia, posti nei quali mi vien sempre da pensare che forse sarei di malumore anch’io, se avessi a che fare tutto il giorno con gente che muore (qui è dove i fini psicologi smettono di leggere indignandosi perché la mia mamma ha il cancro e semmai è lei che ha diritto di essere di malumore mica tu che fai il tuo lavoroooo).

L’ultimo articolo che A.A. Gill lasciò scritto morendo raccontava del suo cancro e delle cure inadeguate che aveva ricevuto, giacché era inglese, e il grande non detto è che avere il servizio sanitario nazionale è uno scambio al ribasso: non andate in bancarotta per curarvi, in compenso le cure non saranno quelle più all’avanguardia; non andrete in bancarotta ma verrete curati così così, e i ricchi manderanno i loro cari al Cedars Sinai, perché la sanità a pagamento americana ha soldi da investire in ricerca, in cure sperimentali, in tutto ciò che l’Inghilterra non ha pagato a Gill.

Questo è il punto in cui una serie di ottusi sbraita che «la sanità pubblica è meravigliosa e mi ha salvato la vitaaaa», una frase che fa sempre molto ridere: il paziente medio non ha gli strumenti per valutare se il malanno che ha avuto sarebbe stata in grado di guarirlo anche un’infermiera sveglia, o se servisse un genio della medicina e per rara botta di culo gliene sia capitato uno; il «mi ha salvato la vita» d’un paziente vale quanto il «come scrivi bene» che mi dice il lettore medio, cioè niente (almeno finché non inventano un TripAdvisor di medici e scrittori; ma probabilmente ce n’è già uno e io non lo so, ce n’è già uno e io ho pochissime stelline che i miei lettori appongono per vendicarsi del mio dar loro degli analfabeti).

Insomma i cartelli di Napoli sono molto italiani: «severamente» prima di vietato è il modo in cui tenta di fare «buh!» la tentata autorità rivolgendosi a un pubblico che, più o meno consciamente, sa bene che l’italiano non ha né la parola per dire enforcement né quella per dire accountability. E sono molto maleducati: cosa vuol dire che l’orario previsto non vale niente? Vuol dire quello che vuol dire ovunque, solo che gli altri non sono così cafoni da esplicitarlo.

Mentre tentavo di non pensare agli aghi e mi distraevo leggendo dei cartelli napoletani, ero digiuna da sedici ore per dei prelievi che avrebbero dovuto farmi alle otto. Ma, quando sono arrivata in anticipo per il mio check-up, le signore dell’accettazione erano molto impegnate a spettegolare d’una loro collega.

Sono stata due ore in sala d’attesa, e con me una trentina di persone che avevano probabilmente appuntamento alla mia stessa ora. E che probabilmente come me, quando finalmente sono arrivate davanti a un medico, si sono sentite chiedere: ma signora, come mai ha fatto così tardi? Eh, dottore: avevano da chiacchierare.

Questo perché, in una nazione fondata sulla cialtroneria, le strutture private sono cialtrone quanto quelle pubbliche, e devi pure supplicarli per dar loro i tuoi soldi, cosa di cui non mi capacito ogni volta che cerco di prenotare una risonanza e un centro privato mi dice «eh ma è estate, ci sono le ferie» e io mi sento Pretty Woman con manate di contanti che nessuna commessa vuole.

Lo so: non ho ancora sciolto il mistero della tizia stesa per terra, quando finalmente a mezzogiorno è stato il mio turno di farmi togliere il sangue. Dovete sapere che io non ho le vene. Cioè, immagino di averle essendo ancora viva, ma ogni volta che devono prelevarmi il sangue mi dicono «eh, ma lei non ha vene». Di recente parlavo con una persona che ha problemi anche lei di prelievi, e le raccontavo d’un infermiere che una volta m’ha detto: è perché è disidratata.

Quindi, l’altroieri, questa persona m’ha raccomandato di bere. E io per ventiquattr’ore ho bevuto come le aspiranti modelle che girano con la bottiglia d’acqua in borsa, ho bevuto per gonfiare le mie povere vene di sangue annacquato, ma niente: l’infermiera m’ha detto che l’unica era farmi tenere il braccio giù nella speranza che arrivasse più sangue all’avambraccio, e che lei si stendesse per terra a farmi il prelievo. Senonché da per terra non riusciva ad agguantare le provette – doveva riempirne ben sette – e quindi ha iniziato a urlare: Mario! Mario!

Mi sono chiesta se fosse una manifestazione spontanea per chiedere a Draghi di restare, e intanto a lei s’è rotta la mia vena (come a ogni mio prelievo) e c’erano ancora da riempire sei provette. Eravamo rovinate, neanche il governo Amato avrebbe potuto garantirmi le analisi, prova tu a fare il prelievo forzoso se le vene non collaborano.

Poi Mario è arrivato, ed era un infermiere che prima mi ha detto che quella dell’acqua era una stronzata, poi mi ha fatto storcere il polso e ha chiesto un ago più piccolo, e infine ha riempito sei provette in un minuto.

Non volevo ammettere che una donna avesse bisogno d’un uomo che sapesse fare il suo lavoro meglio di lei, quindi ho montessorianamente lodato l’impegno e il fatto che «la signorina» si fosse stesa per terra; poi mi sono immaginata i TikTok in cui si lamentava, «le pazienti mi chiamano signorina per sminuirmi», quindi mi sono corretta, «dottoressa», mentre pensavo ma è infermiera, che vocativi si usano con le infermiere – ma nulla di tutto ciò è importante, neanche l’ematoma nero di vena rotta oggi sul mio braccio.

L’unica cosa che voglio sapere è se anche a Napoli, come ovunque in questa derelitta nazione, serva sempre un Mario a risollevare da terra quelli che il loro lavoro proprio non sanno farlo.