Progettare la sostenibilitàPer immaginare come sarà il futuro dobbiamo guardare al design

Non più incentrato soltanto sulla parte estetica dei prodotti, si pone al centro dell’incrocio di tecnologia e ambiente, cultura e economia, finanza e sociale. È la porta di un mondo nuovo, multidisciplinare e contaminato

di James Orr, da Unsplash

La sostenibilità rappresenta oggi un inderogabile paradigma di sviluppo, sia per il mondo delle imprese sia per la società nel suo complesso.

È evidente che le esigenze della sostenibilità impongono un profondo cambiamento rispetto ai modelli economici e sociali attualmente esistenti.

Esiste, di conseguenza, una forte connessione tra il concetto di sostenibilità ed i meccanismi dell’innovazione: se non si attivano concretamente questi ultimi, la prima resta una enunciazione astratta, un mero concetto teorico. Occorre dunque chiedersi quale tipo di innovazione si debba concretamente mettere in campo, per realizzare il grande cambiamento che ci richiede la sostenibilità.

E bisogna poi interrogarsi sulle figure professionali, sulle competenze più idonee a progettare e concretizzare i processi di questa innovazione.

Il paradigma della sostenibilità ha già avuto un impatto fondamentale sull’idea di innovazione, che oggi rappresenta un fenomeno sensibilmente diverso rispetto a quello che conoscevamo fino a poco tempo addietro.

L’innovazione, innanzitutto, ha perso la sua canonica natura laica, la sua tradizionale valenza neutrale.

La spinta al cambiamento, infatti, sino a ieri poteva assumere le direzioni più diverse, anche antitetiche tra di loro, e non esistevano giudizi di valore tra un orientamento e l’altro, non vi era una innovazione giusta e una sbagliata.

Oggi, invece, l’innovazione deve necessariamente svilupparsi in direzione della sostenibilità, senza la possibilità di intraprendere altre strade: l’innovazione o guarda alla sostenibilità oppure non è.

Questo implica conseguenze di grande portata. La sostenibilità, come noto, rappresenta un fenomeno complesso e si declina sui tre versanti dell’ambiente, dell’economia e del sociale.

Il rapporto osmotico creatosi tra sostenibilità e innovazione ha fatto sì che la seconda sia a sua volta diventata una realtà più complessa, trasversale e multidisciplinare rispetto alla sua accezione tradizionale.

L’innovazione non può più limitarsi ad incidere soltanto sulla sfera della tecnologia, ma deve tenere insieme elementi diversi, alcuni dei quali storicamente ritenuti estranei alle sue dinamiche: l’economia, l’ambiente, il sociale, la cultura.

Caliamo operativamente questi principi generali in un preciso campo di azione, preso a campione tra i tanti, sul quale ho recentemente avuto modo di riflettere, in quanto partecipante come speaker al Sea Essence International Festival: il settore della portualità.

Il comparto si trova in una fase di forte evoluzione ed è caratterizzato da numerose innovative applicazioni tecnologiche, soprattutto con riferimento ai temi dell’energia.

Ad esempio, i progetti di Cold Ironing o HVSC High Voltage Shore Connection, per l’alimentazione dei principali carichi elettrici a bordo nave attraverso la connessione elettrica all’infrastruttura portuale, con il conseguente spegnimento dei motori ausiliari della nave, che comporta notevoli vantaggi a livello ambientale.

Oppure le varie iniziative, alcune delle quali in fase di avanzata sperimentazione in diversi porti italiani, per la produzione di energia elettrica mediante lo sfruttamento del moto ondoso, tramite diverse soluzioni tecnologiche.

O ancora i progetti riguardanti le Fuel Cell, vale a dire sistemi elettrochimici che permettono di generare energia elettrica da idrogeno e ossigeno; Fincantieri, in particolare, ha avviato al riguardo un importante laboratorio di ricerca in collaborazione con l’Università di Trieste, con l’obiettivo di testare impianti di generazione basati su differenti tipologie di celle a combustioni.

E gli esempi potrebbero durare a lungo.

Ma è chiaro che parlare di innovazione con riferimento al mare, ai oorti, alle coste fermandoci a questi aspetti tecnologici risulta ormai un discorso monco, insoddisfacente, limitativo, parziale.

Perché oggi discutere di innovazione significa certo ragionare di miglioramenti tecnici, ma anche di impatti ambientali, equilibri economici, dinamiche sociali e cambiamenti culturali.

La rigenerazione dell’ecosistema città/porto, per non allontanarci dal novero degli esempi adottati, investe certamente implicazioni di natura tecnologica, ma abbraccia anche considerazioni di carattere economico e culturale, implica nuove visioni urbane, inedite traiettorie di sviluppo dei territori e delle comunità.

La complessità e la multidisciplinarietà de quibus si riscontrano anche nella presentazione del citato Festival elbano, che ho trovato di estrema intelligenza e modernità: «Una manifestazione poliedrica, che sveli la profondità dell’essenza del mare pur mantenendo al centro l’essere umano, i suoi sogni, le sue virtù e le sue speranze. Raccontate con la voce della storia, dell’economia, delle arti, dell’antropologia, della cultura, della politica, della musica, del cinema, della società in un approccio multidisciplinare quante sono le anime del mare».

In buona sostanza, prescindendo dagli specifici casi di specie, oggi occuparsi di innovazione, nell’epoca della sostenibilità, significa mettere insieme tecnologia e ambiente, economia e cultura, sociale e finanza.

Conciliare, contaminare, gestire elementi così profondamente diversi e multiformi rappresenta un esercizio davvero molto nuovo, dalle numerose e per qualche verso ancora inesplorate difficoltà.

Il design, nelle sue accezioni più avanzate, costituisce uno strumento prezioso per affrontare con successo questa sfida.

Da tempo, infatti, il design è andato oltre le sue funzioni più consolidate e tradizionali, incentrate esclusivamente sulla parte estetica dei prodotti.

Walter De Silva, nella sua bella prefazione al mio “Il Design Crisalide”, ha acutamente scritto che «il Design è un modello culturale in evoluzione costante. Sviluppa sistemi analogici e digitali, estetici e poetici. Definisce le strategie d’impresa ed è al centro delle decisioni. Rende meno ambigui i prodotti dando un valore aggiunto e ripetuto nel tempo, per un reciproco beneficio tra cittadino/utente e impresa/paese».

La pervasività e la trasversalità dello strumento erano già state sottolineate da Francesco Trabucco, che dice nel suo “Design”: «Il design è come il sale: preso nella giusta dose, dà sapore e significato alle cose, le rende gradevoli e desiderabili. Proprio come il sale, un pizzico di design sta bene quasi dappertutto, e questo spiega perché il design sia così diffuso, anzi pervasivo e trasversale: design degli oggetti e delle macchine per produrre quegli oggetti, design delle relazioni e delle comunicazioni, design degli ambienti e delle interazioni, design delle strategie e dei servizi».

Oggi le numerose e differenti esigenze derivanti dal paradigma della sostenibilità hanno conferito al design, e quindi alla figura del designer, una essenzialità davvero straordinaria: non più mero elemento di condimento e arricchimento di prodotti e processi, ma vero asse portante del sistema economico e sociale, architrave insostituibile nella ricerca di soluzioni innovative.

L’ampiezza delle nuove funzioni del design e la centralità del designer, nelle dinamiche più avanzate e attuali del contemporaneo, hanno trovato ulteriore conferma in occasione del recente Salone del Mobile e della Design Week di Milano.

La manifestazione è stata caratterizzata da numerose iniziative nel segno della contaminazione tra impresa e cultura, tra innovazione e sociale, tra sostenibilità e tecnologia, realizzate nella logica del design e con al centro la figura del designer.

Italo Rota e lo Studio Carlo Ratti e Associati hanno realizzato per Plenitude presso l’Orto Botanico di Brera l’installazione “Feeling the Energy”, un serpente di rame, lungo e luccicante, che produce in continuazione energia, sotto forma di musica, vento e acqua, percepibile dai visitatori mediante i cinque sensi.

Fernando e Humberto Campana, designer brasiliani, per Paola Lenti hanno creato “Metamorfosi”, un’edizione speciale di pezzi unici, sedute ed elementi decorativi, realizzati con il recupero degli avanzi di tessuti e materiali prodotti dall’azienda.

Stefano Boeri ha curato per Timberland nella Darsena, alla confluenza tra il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese, l’installazione “Floating Forest”, una foresta galleggiante per trasmettere nuove forme di responsabilità ambientale e nuove modalità di occupazione e trasformazione degli spazi urbani.

E, anche qui, con gli esempi si potrebbe proseguire.

Ovviamente è soltanto un incipit, discutiamo di espressioni dell’innovazione ancora fortemente legate alle logiche tradizionali, siamo ai primi vagiti di un fenomeno del quale al momento possiamo soltanto immaginare le potenzialità e la portata.

Perché allo stato, come ha brillantemente scritto Riccardo Falcinelli in “Critica portatile al Visual Design”, «il design è un insieme di pratiche molto diverse, e difficilmente lo si costringe dentro un’unica interpretazione. Dobbiamo quindi procedere per brandelli, per ragionamenti ora circoscritti ora trasversali, per dubbi e apparenti incoerenze, cercando man mano di tirare fila possibili».

L’evoluzione del design è in pieno svolgimento e ci porterà in dote una nuova tipologia di designer, certamente ferrati in tema di estetica, ma con salde competenze anche in materia di tecnologia, accompagnate da una adeguata formazione su arte e cultura, non senza una appropriata conoscenza della proprietà intellettuale.

Nelle more, la risposta più adeguata alle esigenze poste dalla natura trasversale e multidisciplinare del design risiede nel lavoro in team: l’immagine del designer genio e sregolatezza, al lavoro da solo, armato esclusivamente della sua matita e della sua creatività, è ormai poco più di una caricatura; il designer dei nostri giorni è in effetti una sorta di illuminato capitano, che indirizza, ispira e coordina la propria squadra di esperti, dotati di competenze ampie e varie.

In estrema sintesi, l’innovazione oggi si sviluppa lungo una direzione obbligata, contrassegnata dai paletti collocati lungo il percorso dal paradigma della sostenibilità.

La sostenibilità, articolandosi sul versante ambientale, su quello economico e su quello sociale, implica che il cambiamento debba essere prodotto maneggiando in modo simultaneo e coordinato materie e competenze estremamente diverse.

Il design, nelle sue accezioni più contemporanee, rappresenta uno strumento prezioso per affrontare la sfida e riuscire nell’impresa.

Deyan Sudjic, nel suo “Il linguaggio delle cose”, dice con acutezza che il Design «è la chiave che ci permette di comprendere il mondo fatto dall’uomo».

È forse giunto il momento di andare oltre e di dire che il design rappresenta uno strumento che consente all’uomo di costruire un mondo nuovo.

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