Per fare una buona granita occorrono pochi ingredienti base: ghiaccio e frutta, o caffè, o pasta di mandorle, o cacao, un po’ di zucchero. A piacere e senza esagerare: dalla percentuale storica del 25-35% si è scesi al 18-20%, complici il mutare dei gusti e l’aumento medio della glicemia.
Il resto è arte, storia, tradizione, pazienza, perfetto dosaggio e freschezza degli ingredienti, tempistica precisa. Niente scorciatoie, niente sciroppi pronti, niente coloranti, no all’albume, che serve per il sorbetto ed è un’altra storia dato che, mentre la granita è un composto freddo a grana grossa, il sorbetto è un composto a grana fine e nel processo di raffreddamento deve incorporare aria. Per questo motivo viene aggiunto l’albume d’uovo montato a neve, mentre con la granita non occorre.
Bisogna premettere: la vera granita è siciliana e, salvo lodevoli eccezioni, solo lì può raggiungere l’eccellenza. Inoltre, anche se a ogni ora è piacevole mangiarla e può diventare un perfetto dolce da passeggio, è innanzitutto una colazione da assaporare con calma. Quindi si ordina tipicamente al mattino, seduti al tavolino del bar, accompagnata dalla caratteristica brioscia cu’ tuppo e, secondo qualche tradizione contadina locale, dai fichi d’india. Una volta, si tramanda, invece della brioche si usava semplicemente un panino fresco e croccante. In ogni caso il procedimento è sempre lo stesso, bisogna intingerne un pezzetto nella granita e usarlo per raccoglierne un boccone. Ci vuole tempo, perché la granita è un piacere lento.
Che, anche in patria, è insidiata da banalizzazioni che ne guastano la reputazione e oscurano i suoi meriti tra chi non la conosceva e l’assaggia per la prima volta. Usare sciroppo, soprattutto nelle versioni al limone e all’arancia, è la più comune – e la più triste – nel regno degli agrumi; ma anche usare il succo di limone pronto del supermercato o il caffè solubile, o il contenuto di anonime “bustine” per frappé o succhi di frutta confezionati e affini, non sono peccati veniali.
Se sbagliarla è facilissimo, prepararla a regola d’arte è quasi un rito. Per una buona granita, a rigore, non occorre nemmeno un tritaghiaccio o qualsiasi altro mezzo meccanico. Bastano un freezer, una frusta a mano per dolci, un recipiente e la pazienza di mescolarne il contenuto per cinque o sei volte almeno e ogni 15-20 minuti: è importante che la gelatura avvenga per gradi e mantenendo in movimento il composto, in modo che l’acqua non si separi dall’aroma zuccherato sotto forma di cristalli di ghiaccio.
Così è stata fatta fino dalle origini. Quelle arabe del sherbet o sharbat, una bevanda ghiacciata al sapore di frutta e rose. Nata in Iran ma diffusa fin dal Medioevo in tutto l’Oriente e fino all’India, dove ai frutti e ai fiori si aggiungono spezie, legno di sandalo, ibisco e una bacca di nome phalsa, e dove secondo la medicina ayurvedica serve anche come rimedio riequilibrante. Nell’impero Moghul provvedevano i governatori a inviare in tutto il subcontinente grandi carichi di neve himalayana per garantire che nessun luogo restasse privo della popolare bevanda rinfrescante.
In Sicilia per lungo tempo e fin dal Medioevo è stata la neve dell’Etna, dei monti Peloritani e dei Nebrodi a svolgere questa funzione. I “nivaroli” la raccoglievano in inverno e l’ammucchiavano direttamente nelle grotte vulcaniche o nelle niviere, grandi fosse pavimentate di pietra o di mattoncini nelle quali, pressata e coibentata con strati di paglia, cenere vulcanica e terra, si conservava a lungo. Di questi antichi serbatoi si trova ancora traccia nel paesaggio, qualcuna trasformata in laghetto, altre appena distinguibili nel sottobosco. D’estate, poi, i carichi di neve, confezionata in balle ricoperte di felci e paglia, veniva trasportata a valle con carretti o muli in sacchi di juta pronta per preparare a nivi cunsata, la neve condita.
Aci Trezza, patria putativa di Cutò, gli ha comunque dedicato uno spazio nel bel Museo Casa del Nespolo realizzato nella casa dove Verga ambientò le vicende del suo capolavoro, i Malavoglia, e che raccoglie testimonianze sugli antichi metodi di pesca e sulla civiltà contadina. Una guida spiega infatti il procedimento e la lavorazione della granita servita al Procope usando un recipiente dell’epoca.
Resta aperto l’interrogativo che da sempre appassiona e divide siciliani e turisti, ovvero dove si mangia la miglior granita e quali sono i gusti da preferire. La Sicilia orientale parte avvantaggiata con due eccellenze del territorio, il pistacchio verde di Bronte e la mandorla di Avola che rappresentano la migliore materia prima per due varietà di granita tra le più amate. Con piccole varianti locali: semi-cremosa, molto dolce, accompagnata dalla panna a Messina, di consistenza più simile a quella del gelato e meno zuccherata a Catania, dove tra i gusti trionfano il pistacchio e la mandorla, volendo con un goccio di caffè caldo e la frutta. A Siracusa la mandorla si usa grezza, ovvero tritata senza rimuovere la pellicina marrone, mentre in provincia di Ragusa, in particolare nel Modicano, le mandorle si fanno prima abbrustolire. A Trapani e nel Sanvitese, invece, è tradizionale la granita scursunera, con essenza di gelsomino e cannella. D’estate granita di fico e di fico d’india. La mandorla pizzuta di Noto e Avola.
In quanto ai gusti, secondo i puristi vincono quelli classici, inseriti nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali dell’isola: limone, mandorla, gelsomino e gelsi neri. Senza trascurare le varianti meno comuni con fico, fico d’India, melagrana, fragola e, ovviamente, il caffè e il cacao, la ricotta. L’essenziale, quali che siano gli ingredienti è la loro freschezza e la preparazione artigianale, giorno per giorno, delle basi.
Dove mangiare la granita? Ognuno ha i suoi posti, che a volte cambiano a seconda del tipo di gusto, e quindi qualsiasi elenco può essere solo parziale e a titolo esemplificativo. Per il pistacchio, soprattutto, gode di ottima reputazione Alecci, a Gravina di Catania. A Palazzolo Acreide, uno degli otto santuari del barocco siciliano insieme a Caltagirone, Catania, Militello Val di Catania, Modica, Noto, Ragusa e Scicli, lungo il corso si fanno concorrenza e si dividono i favori Infantino e Corsino. La mandorla è deliziosa ma anche gli altri pochi e selezionati gusti sono ottimi. Ancora mandorla, e gelsi, al Caffè Sicilia di Noto. A Ragusa Ibla, Mastrociliegia è una piccola gelateria artigianale con grandi prodotti. E ancora la pasticceria di Santo Musumeci a Randazzo, il mediatico Bam Bar a Taormina…