Aiuti straordinari a famiglie e imprese, ostacoli ai contratti a tempo determinato, salario minimo di nove euro lordi, superbonus 110%, cashback fiscale, reddito di cittadinanza nella versione originale o quasi. Sono solo alcune delle richieste poste dal Movimento 5 Stelle a Mario Draghi nei celebri nove punti, quelli che hanno portato alla crisi di governo dopo essere stati sostanzialmente snobbati dal premier.
La caratteristica di queste richieste non è tanto e solo di essere in gran parte sbagliate. Sì, il superbonus 110% e il cashback non aiutano per nulla i poveri o i conti dello Stato, tutt’altro, ma il punto fondamentale è che si tratta di rimedi dell’ultimo minuto, di una presunta cura dei sintomi e non della malattia. Questa, quella che provoca la povertà e il disagio, viene ignorata, come sempre.
Ora vi è la giustificazione dell’emergenza inflattiva, delle conseguenze della pandemia, ma anche in tempi normali, anche nei programmi delle elezioni le soluzioni di questa larga fascia della politica, che non si riduce ai pentastellati, sono tipicamente improntate a fare da tappa-buchi, e non a impedire la formazione del buco. Fuor di metafora, cosa provoca la povertà? Chi sono i poveri? Perché lo sono? Cosa causa la mancanza di redditi? Non vi è l’analisi delle ragioni a monte. Eppure in alcuni casi sono banali.
A essere in una condizione di povertà assoluta nel nostro Paese sono soprattutto i disoccupati. Nel 2021 lo era il 22,6% di essi, in aumento rispetto al 19,7% del 2020. Per quanto esista il fenomeno dei working poor, coloro che rimangono indigenti pur lavorando, è essere senza un impiego la situazione peggiore da questo punto di vista.
Al contrario essere pensionati protegge dalla povertà molto bene, poco meno che essere dirigenti e imprenditori. Solo il 4,4% di chi si è ritirato dal lavoro non riesce a coprire i bisogni essenziali. Eppure tanto spesso il focus di forze politiche “dalla parte del popolo” è sul reddito invece che sull’occupazione, ovvero solo sull’effetto e non sulla causa.
Dati Eurostat
La povertà è decisamente più alta tra i minori, diminuendo con l’età, e nel 2021 questo divario è diventato ancora maggiore. Sono in una situazione di indigenza il 14,2% di chi ha meno di 18 anni e solo il 5,3% degli over 65.
Dati Eurostat
Tra i motivi vi è la situazione particolarmente miserabile in cui vivono, nel silenzio più completo della politica, gli immigrati, che normalmente hanno più figli della media, e in particolare quelli senza un lavoro, e tra questi quelli che un lavoro lo cercano. Nel 2021 erano un povertà assoluta il 46,4% delle loro famiglie, molti di più che nel 2020 (28,1%). Compongono la categoria che è stata più colpita dalla crisi pandemica, hanno perso il lavoro più di frequente di quanto abbiano fatto gli italiani e con il tempo e l’esaurirsi dei sussidi e dei risparmi la situazione è peggiorata, anche perché quelli che sono in Italia da meno di 10 anni non hanno diritto al Reddito di Cittadinanza, ma solo a quelli di emergenza.
Dati Eurostat
Eppure anche questo aspetto è ignorato, e dell’indigenza degli stranieri si parla, in modo indiretto, sempre solo a valle, quando genera degrado. Ma vi è un dato ancora più importante, è quello che riguarda l’istruzione. È in povertà assoluta più del 10% di chi non è andato oltre la terza media e meno del 4% di chi ha almeno un diploma, se non la laurea.Non solo, la lunghezza degli studi è un parametro così determinante da avere influenza anche sulla probabilità di diventare poveri dei figli, persino una volta che questi sono diventati adulti. Il rischio di essere indigente di un 25-59enne è del 22,7% tra chi ha il genitore più istruito con la terza media o meno, mentre scende al 9% se è laureato. E il divario è aumentato ulteriormente nell’ultimo decennio, tra il 2011 e il 2019. Tra l’altro l’Italia è tra i Paesi in cui questo è più alto. In Francia, Germania, Spagna il rischio di povertà dei figli di coloro che si sono fermati alle medie (o equivalenti) non è così elevato.
Dati Eurostat
Come è facile immaginare lo stesso rischio è ancora maggiore per i minorenni. Il 54% di questi ha un’alta probabilità di diventare povero se si tratta di figli di quanti non sono arrivati al diploma. Ed è così in tutta Europa.
Dati Eurostat
Il punto è che però nel nostro Paese la percentuale di chi si è fermato alle medie è superiore che altrove, persino tra i 25-34enni, l’età in cui si diventa genitori. E non di poco, e non solo tra gli stranieri, tra cui raggiunge il 47,2%, ma anche tra i cittadini italiani. In questo caso arriva al 18,1%, contro il 10% tedesco.
Dati Eurostat
Vi è un dibattito nel Paese, o perlomeno tra le forze politiche che reclamano un “cambiamento”, su questo? L’incremento della percentuale di laureati, o anche solo di quanti riescono a conseguire il diploma, è mai entrato in qualche decalogo? È mai stato l’obiettivo di qualche provvedimento così urgente da essere posto come ultimatum a un governo? Non è accaduto, così come non è accaduto che fosse il tasso d’occupazione, più che il reddito, lo scopo delle politiche proposte.
Occupazione, integrazione, istruzione, competenze, formazione, capitale umano, tutti fattori che determinano un impatto a monte. Molto efficace, ma solo nel lungo periodo. Per chi ha bisogno di consenso le prossime settimane, i prossimi mesi, sono temi assolutamente inutili, lo sappiamo.