Alzi la mano chi non ha almeno un ricordo felice in cui non fosse presente un dolce: la torta di compleanno, il budino della nonna, i cornetti appena sfornati delle colazioni in vacanza. Il motivo per cui amiamo i dolci sta (quasi) tutto nella capacità di rievocare quei momenti e indurre un abbandono che ci riporti indietro nel tempo (anche quando il loro aspetto e il loro sapore sono completamente diversi da quelli scolpiti nella nostra memoria).
La pasticceria contemporanea ne è consapevole e punta a creare suggestioni lavorando sempre più per sottrazione: pochi ingredienti (ma buoni), meno zucchero, decorazione essenziale, niente funambolismi culinari. Più rigore, più ordine ma anche più leggerezza (soprattutto spirituale), più voglia di far sognare… anche a Milano!
Dolci pretesti per rallentare (con gioia)
Nel capoluogo meneghino si corre. Sempre. Anche quando non si ha fretta di andare in alcun luogo preciso. Spesso si fugge, altre volte ci si dimentica che il “qui e ora” è davvero “solo qui” e “solo ora” e forse meriterebbe un po’ di attenzione in più. I due anni trascorsi ci hanno costretti a un’inerzia coatta, che non ha fatto altro se non indurci a recuperare il tempo perso, spingendo ancor più sull’acceleratore. Per trovare spazio in questa dinamica il dolce si trasforma in un “tentativo”, un invito a fermarsi, salutarsi come si deve, vivere un momento intimo insieme. La pasticceria Pavé (milanese nell’ubicazione ma non nello spirito) ne ha fatto un manifesto, e tramite i suoi post sui social invita i cittadini a ritrovarsi, godersi l’attimo in reciproca compagnia, davanti a un dolce che vuole essere un pretesto, in cui si incontrano l’ispirazione del pasticcere nel creare e quello di chi si siede per celebrare un momento felice.
La riscoperta della semplicità: il ritorno al futuro è hi-tech
Planetarie e temperatrici del cioccolato, termocamere, sonde lambda, atmosfera in sovrapressione, termosaldatrici per il sottovuoto, stampanti 3D e persino macchine che misurano l’acqua libera negli alimenti. Ormai entrando in un laboratorio di pasticceria 4.0 ci si ritrova in un ambiente fantascientifico, a metà tra una sala operatoria all’avanguardia e una navicella spaziale, in cui tecnologia e innovazione si integrano perfettamente con le modalità produttive e l’approccio artigianale, garantendo un maggiore controllo dei processi di lavorazione e una migliore riuscita del risultato finale.
Lo sanno bene i protagonisti dell’attuale panorama della pasticceria milanese e lombarda che, dai panettoni (di Iginio Massari e della pasticceria Martesana) al cioccolato (del maître chocolatier Ernst Knam), fino ai classici rivisitati in versione in chiave nuova ed esteticamente più accattivante (di Alessandro Servida), hanno aggiornato la loro arte rendendola sempre più hi-tech tramite sistemi di controllo informatici e sensoristici e a strumenti che consentono di lavorare con costanza e qualità, compiendo in maniera precisa e continua operazioni che l’uomo non riuscirebbe a svolgere a mano.
Con in più un’attenzione rivolta alla sostenibilità: dal momento che migliorare la strumentazione significa ridurre gli sprechi e sostenere produzioni elevate riducendo i costi economici e ambientali, legati per esempio alle emissioni di Co2 prodotte dal comparto di refrigerazione.
La rivincita del laboratorio: innamorarsi del “dietro le quinte”
Tradizionalmente considerato un “backstage” da tenere segreto per non distogliere l’attenzione dalla vetrina, oggi il laboratorio è uno spazio sempre più i pasticceri vivono ed esibiscono con orgoglio, in quanto cuore di un progetto, riflesso di un modo di intendere la propria arte e spazio per accogliere e sviluppare nuove idee e nuovi talenti.
Così, sono sempre di più gli interpreti della dolcezza milanesi che scelgono di abbattere i confini tra area produttiva e banco, alcuni (come Iginio Massari) mettendo il laboratorio in mostra e trasformandolo nel palcoscenico di uno showcooking continuo, altri (come Gianluca Fusto) portando il cliente direttamente dietro le quinte, alla scoperta di un luogo in cui nulla è lasciato al caso (dal design, all’arredamento, dall’illuminazione alla disposizione dei macchinari), ma è pensato e studiato per agevolare il lavoro, favorire la creatività, garantire qualità e sicurezza, stupire gli occhi e sedurre il palato con eventi e degustazioni direttamente in loco.
Tra lusso modaiolo e crostata democratica
Attenzione ai particolari, scelta accurata delle materie prime, precisione e ricerca dell’eccellenza. Sono questi gli elementi essenziali che contraddistinguono la pasticceria di lusso contemporanea. E se c’è chi (come Roberto Rinaldini) ha scelto di declinarli in versione più “elitaria”, e per distinguersi ha ceduto al fascino della moda milanese, trasformandosi in uno “stilista del dolce” e cercando di realizzare opere, altri hanno scelto di puntare su un altro stile comunicativo, più democratico ma non meno significativo. Anzi.
Gianluca Fusto rifiuta di definirsi pastry chef (un anglicismo che non ha alcuna corrispondenza in italiano) o artista (troppo aulico e pretenzioso), ritenendosi semplicemente un interprete di tre ingredienti fondamentali della pasticceria: testa, cuore e gesto. Ovvero: emozione, conoscenza e ragionamento e creazione tecnica di qualcosa che non è essenziale (diciamocelo, i dolci sono un extra senza il quale, in teoria, potremmo benissimo sopravvivere), ma che proprio per la sua inutilità, «se deve essere, deve essere commovente».
Ecco allora che la scelta di dedicare un intero libro alle crostate, uno dei dolci più antichi della tradizione italiana diventa una dichiarazione di intenti che ha un che di rassicurante: l’idea che l’alta pasticceria non sia una dimensione autoreferenziale bensì qualcosa di replicabile a casa e capace di riportare davvero alle origini.
Equilibrio e geometrie, ma no agli eccessi
Secondo Fusto, emozione e pensiero, nel dolce, vanno di pari passo. Ciò significa che anche il gusto deve essere studiato, progettato e costruito attraverso una serie di scelte che riguardano gli ingredienti, le tecniche, gli strumenti e la forma finale (che è al tempo stesso estetica e funzionale).
Per realizzare il dolce “perfetto” servono conoscenze che spaziano dall’ambito chimico-fisico a quello anatomico-sensoriale, per poter giocare su consistenze e abbinamenti. E anche l’aspetto esteriore vuole la sua parte, ma senza lasciarsi prendere la mano con il rischio di esagerare e snaturare l’identità di realizzazioni radicate nella cultura dei consumatori.
Secondo Alessandro Servida, che ha fatto della reinterpretazione dei dolci tradizionali uno dei suoi marchi distintivi, esasperare il cambiamento e stravolgere il modello rischia di essere controproducente, poiché rovina il passato senza creare nulla di significativamente nuovo.
Il rischio di eccedere è dietro l’angolo
Per quanto sempre più tecnologica e innovativa, la pasticceria italiana sta tornando alla concretezza dei sapori autentici e degli ingredienti di qualità e di stagione. Eppure deve fare i conti con alcuni fenomeni avanguardistici che si affacciano all’orizzonte come provocazioni fantascientifiche. Un esempio proveniente da Oltralpe è rappresentato dalla robotica commestibile (o a “realtà aumentata”), ovvero dessert interattivi che si muovono, fanno rumore, rifrangono la luce e possono essere personalizzati per soddisfare i gusti di ogni commensale.
Restando in patria, è invece il tiramisù a creare scompiglio, presentandosi alla Tiramisù World Cup 2022 di Treviso in versione stampata in 3D. L’obiettivo dichiarato? Permettere a tutti, anche chi non sa cucinare, di preparare rapidamente piatti buoni con un aspetto originale e accattivante. La realtà? Rischiamo di perderci il piacere di “mettere le mani in pasta”, di assistere al miracolo della panna che monta, e di attendere con trepidazione l’uscita dal forno dei biscotti “fatti in casa”, immancabilmente sbilenchi. Insomma rischiamo di perderci il senso dei dolci: l’emozione e i ricordi.