Partiamo dai tettiIl verde pensile non può più essere ignorato dalle istituzioni

Questi interventi garantiscono un migliore isolamento termico e un risparmio sulle spese, recuperano l’acqua piovana, prevengono gli allagamenti, riducono le emissioni e “puliscono” l’aria. Tuttavia, rimangono una prerogativa dei privati e non hanno i finanziamenti che meriterebbero

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Abbandonando la sua funzione esclusivamente ornamentale, la vegetazione urbana diventa una componente capace di restituire enormi benefici alle persone e all’ecosistema: è questo il cuore della cultura del verde pensile. Pensando a esempi italiani di questa tecnologia, probabilmente la maggior parte delle persone indicherebbe il Bosco Verticale, i due iconici palazzi inaugurati nel quartiere milanese di Porta Nuova nel 2014. 

Effettivamente queste strutture sono un caso emblematico di “verde verticale”, ossia una ramificazione del verde pensile che, nella definizione formulata dall’Ispra, indica in generale tutti gli impianti vegetali «su uno strato di supporto strutturale impermeabile» senza che «vi sia una continuità ecologica tra il verde e il sottosuolo fino alla roccia madre». Ben venga il Bosco Verticale di Boeri, quindi, ma non solo. È da un paio di decenni che nei centri abitati il “verde orizzontale” sta discretamente conquistando piccoli e medi spazi urbani: ci sono “tetti verdi” (come vengono impropriamente chiamati) su stabilimenti industriali, aziende, garage, sedi comunali, scuole, supermercati, palazzi residenziali.

Gli effetti positivi vanno a vantaggio di chi abita nell’edificio e anche di chi vive nel resto della città: grazie al verde pensile si ottiene un migliore isolamento termico, con un eventuale risparmio sulle spese; si recupera l’acqua piovana; si prevengono gli allagamenti improvvisi; si riducono le emissioni di anidride carbonica; si filtra l’aria dalle polveri inquinanti. Non male, in tempi di crisi climatica e crisi idrica. Ultimo, ma non meno importante: si rende la città più vivibile e aumenta il valore dell’immobile, dato che si recupera una superficie altrimenti inutilizzata. Eppure, nonostante tutto, il verde pensile è ancora un fenomeno giovane, dai contorni fino a pochi anni fa incerti. 

Esiste una norma di riferimento
«La tecnologia del verde pensile ha sofferto di una sorta di pregiudizio, che forse ora stiamo superando», commenta Elena Giacomello, architetta, dottoressa di ricerca in Tecnologia dell’architettura e segretaria di Aivep, l’Associazione italiana verde pensile che dal 1997 riunisce i professionisti che operano nel settore con l’obiettivo di promuovere la cultura e la buona pratica del verde pensile. 

«Fino ad alcuni anni fa queste coperture erano spesso fatte male, con problemi a livello funzionale: per questo c’erano poi infestanti, infiltrazioni. Anche adesso, nonostante siamo ormai lontani anni luce da quel passato, alcuni privati hanno paura delle coperture a verde». Cosa è cambiato? Mentre prima ogni azienda faceva a modo suo, con risultati discutibili, oggi esiste una collaudata prassi di riferimento, la norma “UNI 11235”, redatta proprio grazie ad Aivep. Pubblicata nel 2007 e più volte rivista (il prossimo aggiornamento sarà nel 2023), indica come progettare, realizzare e manutenere il verde pensile in modo tale che sia fruibile, bello, funzionale e in grado di restituire un valore ecologico. 

«Alcune norme, come quelle americane, sono prescrittive: dicono chiaramente di mettere o non mettere l’edera, di fare un parapetto alto 60 o 20 centimetri e via dicendo», prosegue Giacomello. «La norma italiana, invece, indica quali sono le prestazioni da raggiungere in termini termici, idrologici e di sicurezza. Per farlo ci sono più modalità: non è quindi specificato un elenco di specie vegetali che possono essere usate o meno, perché evidentemente un conto è progettare in Sicilia e un conto sugli Appennini. La norma deve essere interpretata dal progettista competente in base al contesto». 

La norma UNI non ha però valenza di legge – in teoria nulla vieta a un privato di affidarsi a un giardiniere improvvisato – ma resta il riferimento tecnico per realizzare verde pensile a regola d’arte in Italia, oltre che il riferimento giuridico in caso di controversie. 

Sono due le macro-tipologie di verde pensile esistenti: estensivo, cioè una copertura di spessore contenuto e che non richiede troppa manutenzione, e intensivo, che necessita di maggiore cura ma restituisce uno spazio fruibile nella quotidianità, magari con orti e alberi da frutto. Difficile dire quale tipologia sia maggiormente diffusa, dove, e se si tratti perlopiù di interventi pubblici o privati: non è mai stato fatto un censimento nazionale del verde pensile, anche se esistono dati raccolti a livello locale. 

Nel 2019 l’allora assessore all’Urbanistica di Milano Pierfrancesco Maran, ora alla Casa e al Piano quartieri, aveva dichiarato che in città esistevano già un milione di metri quadri di tetti verdi che, stando alla disponibilità di superfici inutilizzate (soprattutto di edifici privati), sarebbero potuti diventare 12 milioni. 

«Sicuramente il mercato è in crescita, anche perché la sensibilità nei confronti del green urbano è aumentata», commenta Giorgio Strappazzon, architetto, presidente di Aivep e socio fondatore dello studio VSassociati. «Ritengo che a oggi sia più che altro il settore privato a fare questi interventi, anche perché risultano premianti a livello commerciale. L’intervento nel pubblico invece è molto spesso programmatico o delegato alla volontà del progettista. In ogni caso, la nostra attenzione è volta a rendere la tematica del verde pensile non un tentativo di greenwashing, ma un fattore sostanziale: se riusciamo a dare qualità agli interventi, dietro i quali ci sono anni e anni di ricerche, allora c’è una reale trasformazione del tessuto urbano».

Innovazione aziendale ed esempi virtuosi
Tra le aziende italiane leader nel settore non manca la volontà di fare ricerca per proporre “tetti verdi” sempre più sostenibili. La triestina Harpo, che dal 2003 si occupa di verde pensile per i climi mediterranei, ha sviluppato tecnologie innovative che limitano la necessità di irrigazione anche nei periodi di siccità. Grazie a un brevetto di Daku, che ha sede in Veneto e in 25 anni di attività ha installato oltre 1.500.000 metri quadri di coperture a verde, è nato il progetto Blue Green Roof, finanziato dalla Regione Veneto: l’obiettivo è sviluppare un sistema che ottimizzi l’uso delle acque meteoriche e potenzi le prestazioni di isolamento termico.

Parlando di città, un esempio virtuoso è Bolzano, dove dal 2004 c’è la volontà di ridurre l’impatto edilizio delle nuove costruzioni attraverso il verde e nel 2021 è stato promosso un progetto che punta a realizzare verde pensile sui tetti della zona industriale sud. A volte gli interventi avvengono su edifici privati, ma la superficie calpestabile rinverdita diventa uno spazio per tutti: è il caso dell’Environment Park di Torino, ex complesso industriale che dal 2006 è un parco e campus tecnologico. Sempre a Torino c’è Pista 500, grande giardino pensile che ha reso vivibile la superficie superiore dell’ex stabilimento Fiat Lingotto. A Pesaro ha fatto notizia la copertura a verde della scuola media Antonio Brancati, ottimo esempio di bioedilizia premiato ai Green Solution Awards 2021. L’artista Anna Pellizzaro, con il suo progetto Floatin’Flowers applaudito alla Treviso Creativity Week, ha immaginato dei giardini fioriti anche alle fermate e sui tetti dei vaporetti veneziani. 

Le coperture a verde nel contesto urbano piacciono e sembrano destinate a crescere, insomma, specialmente se ci saranno incentivi economici. Un tentativo in questa direzione è già stato fatto, come spiega Strappazzon: «Quando si parlava del Superbonus 110%, noi di Aivep, insieme a un’altra ventina di associazioni, avevamo inviato una lettera al presidente del Consiglio chiedendo che anche il verde fosse considerato un intervento applicabile. Non è stato possibile, sostanzialmente perché su questi interventi non ci sono ancora valori specifici di risultanza in termini prestazionali». 

Vale a dire: sappiamo come progettare e realizzare bene il verde pensile, sappiamo che funziona, ma non sappiamo (ancora) quantificare esattamente la sua prestazione. In effetti c’è un elemento non da poco da considerare: il verde pensile è vivo, varia nel tempo. «L’obiettivo dei prossimi anni sarà misurare con precisione le prestazioni ecosistemiche ed edilizie del verde pensile. Vari studi sono già in corso».

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