Paese che si fonda sul mattone, ma non sulla sostenibilità. Tra lavori di facciata e riqualificazioni approssimative, il Superbonus 110% non ha sortito gli effetti che il governo Draghi sperava. A confermarlo è lo stesso presidente del Consiglio che, nei giorni scorsi, ha quantificato insieme al ministro dell’Economia, Daniele Franco, al direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, e al comandante generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana, un ammontare di frodi fiscali di 5,6 miliardi di euro.
Non stupisce perciò il tiro alla fune di questi giorni tra governo e forze di maggioranza sulle proroghe di luglio. Così come non stupisce che la commissione banche stia avviando un’indagine sulla cessione dei crediti che avrebbe intaccato in questi anni il settore edilizio.
Con la conversione in legge del decreto aiuti, approvata alla Camera il 7 luglio, si mette mano ancora una volta alle modalità di cessione del credito del Superbonus: se il testo passasse al Senato entro il 16 luglio, anche i titolari di Partite Iva e di Pmi potrebbero accedere alle risorse del Superbonus. E il termine ultimo per farlo sarà (al posto del 30 giugno 2022) il 30 settembre 2022 per le unifamiliari. Per quanto riguarda lo sblocco di crediti aggiuntivi, il Mef non ha lasciato dubbi: il Superbonus non verrà rinnovato fino al 2030.
Se si parla di una sfida disattesa dall’Italia, però, ci riferiamo soprattutto a quella che riguarda l’innovazione sostenibile dell’edilizia italiana, traguardo a cui la misura puntava intervenendo soprattutto su condomini e complessi residenziali, tra le principali fonti di inquinamento atmosferico secondo l’ultimo report dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) e principali destinatari delle risorse del Superbonus 110% (la maggior parte delle quali vanificate). E la sostenibilità architettonica, così, rimane ancora un miraggio.
La sostenibilità dell’edilizia residenziale in Italia
Oggi in Italia si contano circa un milione di edifici condominiali, di cui la metà è dotata di impianti di riscaldamento centralizzato, il 70% di questi in classe F–G, mentre il 64% degli edifici è stato costruito prima del 1971. Basandoci sui dati di Green building council Italia, la più importante associazione dell’edilizia sostenibile, la misura del Superbonus 110% si è inserita in questo panorama edilizio più come palliativo che come approccio risolutivo a un problema sistemico.
«Dobbiamo partire dai condomini se vogliamo parlare di sostenibilità, perché è un microcosmo edilizio che rispecchia la società in cui viviamo», ci spiega Lorenzo Balsamelli, che da oltre 20 anni porta avanti temi sulla rigenerazione sostenibile dell’edilizia i protocolli messi a punto da Gbc. «Oggi, per come è stato realizzato, il Superbonus copre solo il 50% del fabbisogno di sostenibilità».
Come un’energivora, il settore edilizio oggi si nutre soprattutto di riqualificazioni condominiali. Stando all’ultimo studio di Enea, al 31 maggio in Italia risultavano in corso 172.450 interventi edilizi incentivati. Tra questi sono 26.663 i lavori condominiali avviati (65,4% già ultimati) – che rappresentano il 48,9% del totale degli investimenti – mentre i lavori negli edifici unifamiliari e nelle unità immobiliari funzionalmente indipendenti sono rispettivamente 91.444 (73,8% già realizzati, che rappresentano il 33,8% del totale degli investimenti) e 54.338 (76,5% realizzati, che rappresentano il 17,3% degli investimenti).
Gran parte dei lavori su cui è stato applicato il Superbonus coinvolge perciò soprattutto famiglie e privati, gli stessi che nei prossimi mesi si confronteranno con l’incremento dei costi in bolletta e che tentano, ora, di fare economia sul risparmio energetico spesso con soluzioni frettolose, che sacrificano la qualità in nome del portafogli.
«I cappotti termici, che sono uno degli interventi più richiesti col Superbonus, hanno una durata media di 20-25 anni quando fatti a regola d’arte, mentre secondo lo scienziato svedese Johan Rockström, che ha ideato la Global carbon law, ogni sistema, azienda, famiglia per rientrare nell’accordo di Parigi dovrebbe dimezzare le proprie emissioni ogni 10 anni», dice Thomas Miorin, Ceo di Edera, il primo centro italiano dedicato all’innovazione sostenibile nel settore delle costruzioni.
«La necessità di effettuare interventi in gran fretta sta causando invece il ricorso a manodopera impreparata, a scelte tecnologiche approssimative e condizionate dai materiali disponibili: in molti casi avremo cappotti che, se va bene, dureranno al massimo 10-15 anni. Un investimento economico e carbonico che non ripaga con efficienza energetica. Bisogna ripensare allora il processo di riqualificazione architettonica, rendendolo più efficiente, economico e scalabile, soprattutto per rigenerare le nostre periferie», ha aggiunto l’esperto.
Se la misura puntava alla circolarità e a una riduzione dell’ ambientale delle abitazioni, di fatto ha creato un circolo vizioso sul lato meno “piacevole” del Paese. «Il vero problema del Superbonus è che ha messo in evidenza quanto l’Italia pecchi di competenze: per questo non riusciamo a innovare nell’edilizia con soluzioni sostenibili», sostiene Anna Moreno, ex dipendente Enea e oggi presidente di Ibimi (Istituto per il BiM Italia). «Non tutte le ditte che stanno operando hanno le competenze necessarie per proporre delle soluzioni ottimali, non tutti i proprietari sono in grado di comprendere le conseguenze delle soluzioni proposte”.
In assenza di un’analisi approfondita, le ditte offrono ai loro clienti ciò che è più conveniente o – più banalmente – propongono ciò che sanno fare: «Se parliamo di un cappotto applicato a un edificio in zona a rischio sismico, potrebbe indebolire ancora di più la struttura portante o nascondere eventuali crepe causate da piccoli movimenti tellurici», precisa Moreno, «molte risorse economiche vengono utilizzare per fare cappotti e cambiare gli infissi, senza una reale valutazione dei costi-benefici che hanno questi interventi. Un cappotto termico in una casa del Sud, per esempio, se non integrato con altri interventi sugli impianti, rischia di peggiorare la situazione: è vero che l’aria esterna non entra, ma è anche vero che quella interna non esce, creando quindi problemi di umidità ristagnante o anche mancanza di ricambi d’aria sufficienti».
Eppure la misura di incentivazione fiscale – introdotta dal Governo nel 2020 con il decreto rilancio per aiutare economicamente le imprese nel post-covid – doveva accompagnare una consapevolezza su quanto oggi l’edilizia italiana sia arretrata, con ripercussioni sul valore degli immobili, sul mercato delle costruzioni ma – prima di tutto – sulla qualità di vita delle persone che in quegli spazi (tuttora non a norma e con un livello di efficientamento energetico ai limiti della vivibilità) ci vivono.
Ai limiti dell’invivibilità: la corsa alla sostenibilità è un percorso a ostacoli
Il Superbonus 110%, disciplinato dall’articolo 119 del decreto legge n. 34/2020, ha rappresentato insieme all’Ecobonus e al Sismabonus un “piatto ricco mi ci ficco” per le ditte di costruzioni. Oggi la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna) lamenta che per i problemi inerenti alla cessione del credito, 33.000 imprese sono finite in un pantano fiscale per il blocco dovuto al susseguirsi di interventi anti-frode che la misura ha esasperato.
I presupposti del Superbonus, però, erano virtuosi. Tra gli obiettivi di sostenibilità (non solo ambientale), figurano non solo la riduzione dei consumi e delle emissioni di carbonio, ma anche la riqualificazione dei quartieri più poveri e un’urbanizzazione inclusiva e integrata. Target forse troppo elevati per un Paese dove, secondo l’ultima “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributi”, tra il 2016 e il 2018 lo Stato ha incassato in media oltre 94 miliardi di euro di imposte in meno ogni anno rispetto a quelle stimate.
Un’impresa, se si considera che per rendere sostenibile il Paese dovremmo procedere alla velocità media di una riqualificazione edilizia al minuto. «Oggi nel Paese contiamo più di 15 milioni di abitazioni da riqualificare per ragioni funzionali, strutturali ed energetiche. Secondo queste stime e considerando l’intervallo di tempo da qui al 2050, significa fare più di una riqualificazione al minuto», ci spiega Thomas Morin di Edera. «Ogni volta che investiamo in una riqualificazione non profonda, Superbonus o meno, ci allontaniamo dall’obiettivo finale».
Per questo, un salto di due classi non è sufficiente a poter parlare di efficientamento energetico in Italia, soprattutto se equipariamo gli obiettivi dell’Agenda 2030 perseguiti dal resto d’Europa ai gap italiani. «In alcuni Stati del mord Europa gli immobili non possono essere immessi sul mercato se non possiedono una classe energetica superiore alla classe D», prosegue Morin.
Fondi a pioggia, competenze a singhiozzo
Molti esperti consigliano di ottimizzare gli strumenti di cui il Paese è già in possesso, soprattutto a livello normativo, piuttosto che introdurre agevolazioni fiscali. “Prendiamo l’esempio di una banale installazione di una sonda geotermica, che può funzionare fino a 80-100 anni: la pompa di calore può avere una vita utile superiore alla tradizionale caldaia, di circa 20 anni. È una tecnologia sicura perché non ci sono processi di combustione e canne fumarie», sottolinea Anna Moreno.
«Può essere installata ovunque perché tutto il terreno è una fonte energetica a temperatura costante. Permette di ottenere un notevole risparmio energetico ed economico: i costi sono inferiori fino a un risparmio del 40% rispetto a un sistema di riscaldamento con caldaia a metano. Per il condizionamento si risparmia fino al 60%. Se si abbina un impianto fotovoltaico, il sistema può divenire quasi autosufficiente», aggiunge l’esperta.
I maggiori ostacoli di questa “innovazione” sono però proprio nella burocrazia italiana e nel “Sistema-Paese”: «Nello specifico, sia nella mancanza di implementazione del decreto nazionale da parte di molte Regioni, che dovrebbero gestire il registro delle sonde geotermiche, sia nella mancanza di competenze in grado di progettare e installare le sonde», dice Moreno.
Perché, quindi, la misura è (in parte) fallita? Mancano competenze a monte, ma anche controlli a valle. Lì dove si progetta il Paese, dove è necessario un programma a lungo termine per la sua ricostruzione senza sperpero di denaro: «Servono strumenti che aiutino a mappare e rendicontare la sostenibilità, per ottimizzare le risorse del Superbonus, anche attraverso uno studio diagnostico che aiuti ad allocare le risorse e massimizzare i risultati», interviene Lorenzo Balsamelli di Gbc Italia, secondo cui «mancano degli strumenti di verifica dei lavori, e in questo modo si danno troppi incentivi per operazioni, come dice il nome, di facciata, portando alla demonizzazione del settore edilizio e al depauperamento delle risorse del Paese».
«È importante capire», aggiunge Balsamelli, «che se c’è un periodo di siccità, la bomba d’acqua non servirà mai: gli incentivi devono essere programmati, devono esserci degli aiuti dello Stato ad acquistare per esempio i materiali edilizi in Italia anziché in Europa. Il Superbonus 110% non prevede invece nessun controllo su come le risorse vengono impiegate in cantiere: in Italia ci sono cantieri inesistenti su condomini per importi da 25.000 euro. Per questo abbiamo chiesto un ragionamento mirato sulle strategie di verifica, di far sì che le verifiche siano a monte soprattutto da parte del committente, visto che lo Stato non ha la possibilità di farle a tappeto. Puntiamo al fatto che con dei protocolli condivisi tutti gli attori coinvolti nei lavori capiscano il valore economico e la qualità degli interventi, non soltanto il professionista, ma soprattutto il committente finale: tutti i cittadini devono essere consapevoli di quello che stanno pagando».