Il 23 aprile 1984 Margaret Heckler, l’allora segretario della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, annunciò in un’affollata conferenza stampa che gli scienziati avevano scoperto il virus che causava l’Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita). Si trattava dell’Hiv, un agente patogeno che ancora oggi infetta più di un milione di persone nel mondo ogni anno (tra cui 100mila bambini) e che viene trasmesso attraverso rapporti sessuali non protetti, contatto di sangue, trasferimento da madre a bambino durante la gravidanza, parto e allattamento al seno. Sul finire della conferenza, Heckler si disse fiduciosa che un vaccino sarebbe stato sviluppato entro 24 mesi. Per quasi quarant’anni però, non se n’è vista neanche l’ombra.
Nel tempo, i ricercatori hanno sviluppato molti farmaci antiretrovirali per combattere l’Hiv, compresi quelli in grado di sopprimere il virus e tenere sotto controllo il sopraggiungere dell’Aids. Alcuni di questi farmaci possono prevenire l’infezione e possono essere somministrati sotto forma di pillole o di iniezioni di lunga durata; tuttavia, mai nessun vaccino è stato prodotto. Eppure, negli ultimi due anni, mentre l’intero pianeta è stato alle prese con un altro nemico invisibile e ha affrontato una pandemia di portata storica, la ricerca medica in questo ambito ha subito una sterzata improvvisa.
Le ragioni di questo lungo impasse medico, ad ogni modo, erano molteplici. Innanzitutto, il virus è una delle forme di vita più volubili sulla Terra. Mentre un individuo con Covid, per esempio, può produrre una o due varianti del coronavirus nei 10-15 giorni in cui è infetto, un individuo colpito da Hiv vedrà comparire circa cento nuove varianti al giorno (per un periodo che può durare decenni). Per questo, può apparire molto diverso da persona a persona in tutto il mondo.
Inoltre, il nostro sistema immunitario non può fermare l’Hiv, almeno non da solo. Se per quanto riguarda il Covid i ricercatori hanno osservato – a inizio pandemia – che quando le persone si infettano la stragrande maggioranza di loro ha una risposta immunitaria al virus e guarisce, con l’Hiv le cose funzionano diversamente: una volta che il virus entra nel nostro corpo, ci rimane per tutta la vita. Quindi un vaccino non può fornire solo una certa immunità. A differenza del vaccino contro il Covid, che può aiutare a proteggere da malattie gravi in caso di infezione conclamata, quello contro l’Hiv deve fornire uno scudo immunitario totale. Un obiettivo decisamente più complesso da raggiungere.
Tuttavia, dopo decenni di tentativi e di fallimenti, la comunità scientifica dei ricercatori sembra aver finalmente individuato e testato lo strumento giusto per combattere il virus: rari e potenti anticorpi neutralizzanti noti come bnAb. In questo senso, si iniziano a vedere risultati promettenti e si sta lavorando per dare vita a vaccini in grado di indurre il nostro sistema immunitario a produrli autonomamente.
I bnAb che bloccano l’infezione funzionano in questo modo: quando un virus entra nel corpo lo riconoscono e si attaccano alle proteine presenti sulla superficie dei virus (come adesivi), impedendo a questi agenti patogeni di entrare nelle nostre cellule e proteggendoci dalla malattia. Poiché l’Hiv – come spiegato prima – muta con gran facilitù, la superficie del virus può avere un aspetto molto diverso da una variante all’altra, rendendo difficile per gli anticorpi tenere il passo. Tuttavia, ci sono alcune parti del virus che non cambiano molto tra le varianti, le pareti cosiddette “talloni d’Achille”. Ebbene, i bnAb hanno la capacità di “applicarsi” a questi punti.
All’inizio del 2021 i ricercatori dell’Hiv Vaccine Trials Network (organizzazione senza scopo di lucro finanziata dai National Institutes of Health del Maryland) hanno pubblicato i risultati di due studi che hanno messo alla prova i bnAb. A più di 4.600 partecipanti in Nord e Sud America, Europa e Africa sub-sahariana sono state somministrate dieci infusioni di uno speciale anticorpo prodotto in laboratorio per 20 mesi. Sebbene nessuno dei partecipanti abbia ricevuto una protezione completa e definitiva contro l’Hiv, i ricercatori hanno osservato che i bnAb possono proteggere da alcuni ceppi del virus, dimostrando per la prima volta nell’uomo che sono in grado di prevenire l’infezione patogena: una «prova concettuale» della loro efficacia, hanno scritto gli autori dello studio. Il dottor Larry Corey, ricercatore principale dell’Hiv Vaccine Trials Network, ha descritto questa ricerca come «un’autostrada verso il successo».
Ad ogni modo, nella sperimentazione sono state testate infusioni di anticorpi, non vaccini. Il prossimo passo sarà quello di creare un vaccino che spinga il corpo umano a produrre in autonomia questa speciale famiglia di anticorpi.
La scienza ci sta già lavorando: l’anno scorso, i ricercatori dello Scripps Research in California hanno annunciato di aver creato un vaccino che potrebbe dare il via al processo di produzione di bnAb. Al momento della somministrazione del siero, il 97% dei partecipanti ha prodotto cellule immunitarie in grado di produrre versioni “primordiali” di questi anticorpi. Si tratta di uno studio clinico preliminare, ma i risultati sono a dir poco promettenti.