Ritrovare l’ordineI cavalli sono come Dio e ci sussurrano: «Non sei solo». Lo stesso fanno i libri

«Non ho politiche da suggerire per scongiurare l’apocalisse climatica, ma ho fiducia in quel qualcosa di ineffabile che capita tra un essere umano e un equino misterioso quando si incontrano»

di Joseph Daniel, da Unsplash

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Versione 1: la fine dell’Olocene. La Terra si ribella al suo super-predatore, le ziggurat industriali collassano su di noi e ci seppelliscono fra tsunami, incendi inestinguibili e notevoli quantitativi di zolfo. Uscita di scena dell’Homo sapiens.

Versione 2: In un sussulto di ottimismo tecnocratico merkeliano il Nord globale inizia a correggere la propria rotta e, attraverso sforzi internazionali giustamente calibrati in base alle risorse, si tenta di raggiungere la carbon neutrality, si rattoppano i buchi nell’ozono e le acque vengono ripulite da plastica e pesticidi, mentre la savana colpita dalla siccità torna fertile e verdeggiante. Le nostre case alimentate a energia solare-idro-eolica ci abbracciano, sorridendo.

Versione 3: un misto delle due versioni precedenti. Sacche di sostenibilità – di recupero ecologico – lottano per sopravvivere al crescente collasso macroecologico. Sono delle isole di speranza che fanno del loro meglio per evitare di inabissarsi.

Queste versioni sembrano dei futuri possibili. Ma non abbiamo bisogno di strizzare gli occhi per individuare in tali descrizioni le nostre attuali realtà, anzi, la nostra attuale realtà (tranne, forse, per quello che riguarda la Versione 2).

In riferimento al mio romanzo Goliath, a volte mi viene chiesto: «Perché i cavalli?». La domanda allude a una sottotrama del libro, che è ambientato all’indomani di un collasso climatico e di un disastro nucleare. A New Haven un gruppo di impilatori di mattoni, neri o con la pelle scura, deve fare i conti con dei gentrificatori venuti dallo spazio. Durante una missione di rifornimento a Fairfield, nel Connecticut, dove gli impilatori di mattoni possono cambiare dei voucher con del cibo, una di loro conduce il suo compagno su un sentiero attraverso la foresta radioattiva per mostrargli un piccolo branco di cavalli che ha scoperto qualche tempo prima. Ed ecco che inizia la giostra. Da dove vengono i cavalli? Come sono arrivati lì? Entrambe le domande sono senza risposta, e forse una risposta non ci può essere. Ma eccoli lì, i cavalli, un miracolo della vita in mezzo a cose morte e morenti.

Ma, quindi, perché i cavalli?

In passato ho risposto: «Magia». E talvolta ho fatto riferimento a quel qualcosa di ineffabile che capita tra una persona e un equino misterioso quando si incontrano. Ma la risposta, la vera risposta, potrebbe essere qualcosa che si avvicina a «Dio».

Per quanto riguarda l’idea di realtà, se si invoca Dio è spesso come una patina stesa sulla condizione umana, sul paradosso del disastro che coesiste con il sublime. Dio come spiegazione. Dio come veicolo di consegna dell’assonanza cognitiva. Non mi riferisco alla “religione”, sebbene possa esserci qualcosa di salvifico nel rituale e nella comunità. Mi riferisco a un qualcosa di più tranquillo, a un qualcosa che va più creduto che fatto.

Va bene, ma quindi che cosa c’entra Dio con i cavalli?

L’uno e gli altri hanno un’assoluta impenetrabilità, una infinita incomprensibilità – quale che sia la prossimità spiritual-cognitiva che possiamo affermare di avere. Ma c’è una cosa che succede quando una persona incontra l’uno o gli altri: la sensazione di solitudine, anche se soltanto per un momento, si alleggerisce.

Nel fare le ricerche per scrivere un romanzo sul collasso climatico e sul Dopo, la mia fiducia nella nostra capacità di invertire la corsa verso la nostra stessa estinzione ha vacillato enormemente. E continua a farlo. Certi giorni ho pensato che il nostro destino imminente fosse dello stesso genere di quello che si abbatté sugli egiziani dopo che il faraone si era rifiutato di liberare gli ebrei. E certi giorni ho custodito la speranza che, quando l’attuale generazione di leader politici e aziendali di tutto il mondo sarà tramontata, quelli che verranno dopo il cambio della guardia possano comportarsi come un deus ex machina e possano condurci verso una via d’uscita dalla (pre)apocalisse. Ma ora mi sono fermato da qualche parte nel mezzo o, meglio, al di fuori di questa dicotomia. Immaginare un’altra realtà e affidarla alla pagina scritta talvolta ti fa questo.

Forse quello che è cambiato in me è la riscoperta di uno spiccato interesse nel Locale. Non so niente riguardo al ritiro dei ghiacciai, ma so degli allevatori armati fulani che sconfinano dove abita mio zio a Jos, in Nigeria. Non so niente riguardo allo stadio isotopico marino, ma so quello che un mio cugino pompiere mi racconta su ciò che è cambiato nel suo lavoro. Non so niente riguardo al mondo, ma so molte cose sul centro di New Haven.

È già capitato che alcune persone chiedessero a me – proprio a me che sono uno che qualche anno fa ha giocherellato così a lungo con il telecomando della tv da perdersi i minuti iniziali del Super Bowl – se conosco qualche soluzione per i problemi climatici. No, non ho politiche da suggerire e tantomeno ho fiducia nella loro realizzazione, ma ho fiducia nei cavalli. O, meglio, in qualcosa che i cavalli talvolta possono fare a noi, per noi. Ho fiducia nei libri, nelle storie, in quell’alchemico modo di comunicare a qualcuno «Non sei solo».

Una quindicina di anni fa, ho lavorato in una libreria universitaria Barnes & Noble e uno dei miei colleghi aveva appena finito di leggere La strada di Cormac McCarthy. Dopo aver premesso di non essere un grande lettore, mi disse che aveva appena avuto un figlio e che la lettura di quel libro aveva cambiato il modo in cui guardava il mondo intorno a lui, il modo in cui guardava suo figlio appena nato, il modo in cui considerava quale fosse il posto della sua famiglia in tutto questo. Mi piace pensare che questo fosse avvenuto perché aveva visto qualcosa di sé nei personaggi. Un futuro possibile che fosse metafora della difficoltà di prendersi cura dei propri figli? Una mimesi del suo rapporto con il proprio padre? Qualcos’altro? Non lo so, ma, qualunque cosa fosse ciò che quel libro gli aveva comunicato, il fatto stesso che si fosse verificata quella comunicazione aveva fatto sì che per tutta la durata di quella lettura lui non fosse stato solo.

Mi ero ripromesso di non scrivere qualcosa di sdolcinato in risposta alla domanda “Che cos’è la realtà?” e quindi dirò che penso che – quale che sia il nostro futuro – la sofferenza sia inevitabile. Per quello che riguarda il clima, un futuro distopico è già un presente nel Pacifico, nel Sahel, nell’Europa centrale, sulle coste orientali e occidentali del Nord America, ovunque, e ciò è percepito di più dagli ultimi tra noi, quelli che vengono sempre abbandonati a loro stessi. Se questa considerazione esaurisse l’intera visione che ho della realtà, all’ordine del giorno ci sarebbe la disperazione. Ma ritorno a Dio, non come patina ma come substrato. Torno all’idea che ci sia un ordine, un Autore di tutto questo, e che ci siano i cavalli. C’è una ragione per cui nella post-apocalisse di Goliath i cavalli appaiono tra i più piccoli fra noi, tra quelli che sono sempre abbandonati a loro stessi. Per dire: «Potete aver perso tutto, ma non avete perso me, chiunque o qualunque cosa io sia. C’è qualcosa di magico anche qui, alla fine del mondo».

Io non ho un Dio da darvi e non ho cavalli, ma ho i miei libri, ho le mie storie, ho la promessa che oggi, per la durata del vostro coinvolgimento, non sarete soli, e ho la pazza speranza che tutto questo sarà vero anche domani.

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