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La realtà, per me, è una dimensione fondamentale, oltre a essere il cardine su cui ho fondato tutte le attività del gruppo che ho creato e che dirigo. Parlo di realtà e non di realismo perché nel secondo caso, come spesso accade con gli ismi, vedo spesso un raccontare e un ideologizzare che tendono a snaturare le cose, mentre per me la realtà è qualcosa di tangibile, di solido, di autentico. Soprattutto, cerco di non rendere questo approccio dogmatico o rigido.
Realtà per me significa, in primo luogo, immaginare e produrre abiti destinati alla vita quotidiana. Vuol dire presentarli attraverso sfilate, che sono sessioni di lavoro, piuttosto che esibizioni fini a sé stesse, e attraverso immagini che trasmettano, allo stesso modo, un senso di ispirata autenticità. Rispetto il gusto e le scelte di tutti, ma noi stilisti non siamo artisti e non facciamo spettacolo, sebbene debba constatare che la moda sta diventando sempre più una forma di intrattenimento. Sono convinto che l’attinenza alla realtà di ciò che creiamo sia irrinunciabile. Una concretezza che, nel mio caso, si estende fino a includere arredi, ristorazione, ospitalità, in un progetto estetico e di business che si basa sulla diversificazione, senza mai venir meno a quella coerenza stilistica che è alla base di tutto ciò che faccio.
Considerata la vastità del mio lavoro, mantenere un senso di realtà è necessario, sotto ogni aspetto. Realtà e non realismo, torno a ripetere, perché il realismo oggi è una delle tante sfumature di quello storytelling cui nessuno riesce a rinunciare ma che ha in qualche modo falsato il modo di comunicare con il pubblico. Non parlo solo di moda: ovunque si guardi, il confine tra realtà e fiction si è assottigliato fino a sparire quasi del tutto. Viviamo in una strana epoca nella quale l’annuncio è già il fatto compiuto, “sembrare” equivale a “essere”, raccontare significa aver realizzato. Siamo tutti così distratti dal flusso continuo delle notizie e delle immagini che rischiamo di distorcere ogni nozione di realtà, a favore della mera apparenza e di un incessante parlare. Si parla tanto e non sempre in modo responsabile, ma sono i fatti che contano. Tenerlo a mente è un imperativo, anche morale. Parlo di morale con cognizione di causa. Penso che etica ed estetica siano inscindibilmente legate, perché il bello non può essere disgiunto dal buono, altrimenti è un esercizio fine a sé stesso.
Per un imprenditore e designer come me, il buono deve riguardare l’operato dell’azienda sotto ogni aspetto, dalla filiera produttiva alla scelta dei materiali, dal trattamento delle persone a quello delle risorse del pianeta. Perché tutto è connesso e dovremmo sempre ricordarlo. È per questo motivo che, con la concretezza di cui ho fin qui parlato, ho deciso di dedicare un’intera piattaforma, digitale e accessibile a tutti, al sistema di valori che è alla base del nostro operato aziendale.
Non si tratta dell’ennesima trovata di comunicazione, anche se qualcuno così potrebbe pensare. Sono convinto che la moda possa contribuire al rinnovamento in atto in molti modi, ed è questo il mio impegno attuale, il programma sul quale far sì che il Gruppo Armani proceda e prosperi, ora e in futuro. Le aziende, come gli esseri umani, hanno un Dna costituito dai valori che le guidano ed esporli a chiare lettere, con assoluta trasparenza, per me vuol dire mostrare a tutti come si lavora da Armani, con l’auspicio di offrire un esempio per costruire un sistema più responsabile. La trasparenza è il perno che guida ogni mia scelta, perché si nutre della fiducia del pubblico. I valori su cui mi concentro nascono, ancora una volta, dalla considerazione della realtà.
Cos’è reale per noi tutti oggi? Il pianeta, in primo luogo, e questo naturalmente include le persone che lo abitano. La comunità è importante, perché anche quello umano è un ecosistema nel quale tutti sono legati. Questo vuol dire che tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità, dovremmo contribuire al benessere collettivo, includendo e valorizzando le diversità che arricchiscono, invece di appiattire tutto in un’uniformità innaturale che inaridisce. È su questi valori che ho costruito un codice solido, adottato da tutti quanti operano per conto e per nome della mia società.
Le priorità che guidano in particolare il mio lavoro sono quelle relative al pianeta e alla comunità: due entità interrelate la cui stretta connessione e dipendenza è stata tragicamente evidenziata dai fatti pandemici. Fatti che per me personalmente sono stati un allarme e un richiamo, e che mi hanno convinto a proseguire in questa direzione, verso la quale mi ero già avviato, con incrollabile determinazione. Attenzione al pianeta, naturalmente, non è solo la scelta di una pratica produttiva responsabile a ogni livello della catena del valore, dall’approvvigionamento delle materie prime al loro trattamento, dalla realizzazione dei capi alla loro distribuzione, dall’utilizzo delle risorse nei negozi e nelle sfilate al loro smaltimento: questi sono aspetti che non andrebbero più nemmeno discussi, ma messi costantemente in pratica come dati di fatto imprescindibili, da parte di tutti. L’attenzione rivolta agli stakeholder e alle loro priorità, così come la trasparenza nella comunicazione verso l’esterno, è in questo senso un ulteriore reality check.
Attenzione al pianeta però per me comporta, soprattutto, valorizzazione dell’essere umano, e questo riguarda in particolare la tutela della diversità in ogni suo aspetto, incluso quello culturale. Significa dar vita a un ambiente lavorativo nel quale le peculiarità di ciascuno sono valorizzate e la diversità diventa ricchezza. Si tratta di un programma, mi rendo conto, di complessa ma prioritaria realizzazione, che si prefigge di portare davvero la ricchezza del contemporaneo nel posto di lavoro, e quindi nella vita. Saranno necessari anni per abbattere barriere e pregiudizi, ma è l’unico modo di progredire realmente, e dobbiamo farlo subito.
L’aspetto finale di questo mio impegno, l’affermazione definitiva di realtà è però in quell’ambito dei nostri valori che ho voluto definire prosperità, e che riguarda tutti i progetti, locali e internazionali, a favore della comunità, della valorizzazione del patrimonio culturale, della creazione di valore economico, sociale a ambientale: iniziative benefiche, di sostegno alla ricerca, donazioni, ma anche appoggio alle nuove generazioni di creativi, nella moda e in altri ambiti. Attività che negli anni mi hanno visto in prima linea, e oggi ancor di più, con donazioni e sostegno a enti quali Opera San Francesco, Comunità di Sant’Egidio, Save the Children, Fondazione Umberto Veronesi, Humanitas, Fondazione Teatro alla Scala.
Il punto è uno, ed è chiaro e semplice: per mantenere un senso di realtà bisogna guardare a quel che c’è oltre i propri immediati confini. Il privilegio di chi opera nella moda, a un livello come il mio, è grande; questo deve indurre all’azione. Chi ha molto deve restituire molto alla collettività: è una questione di equilibrio globale. Ecco, per me, la realtà è esattamente questo: tenere a mente, sempre, l’ordine dell’universo, dimenticando il nostro egoismo, e impegnandosi con empatia.