La pace tra Cina ed Unione europea sembra essere durata appena pochi giorni. A fine luglio il premier cinese Li Keqiang aveva dichiarato che «la Cina e l’Ue sono forze politiche importanti nel mondo e nelle principali economie e la loro cooperazione non solo contribuirà alla loro crescita, ma anche allo sviluppo e al progresso dell’umanità» mentre oggi, dopo la visita della speaker americana Nancy Pelosi a Taiwan, la storia sembra essere differente. L’Alto Rappresentante per gli Affari esteri Ue Josep Borrell ha condannato l’escalation militare della Repubblica Popolare e, in tutta risposta, Pechino ha convocato gli ambasciatori europei, compreso quello italiano, per esprimere il proprio disappunto sul comunicato di biasimo proveniente da Bruxelles. Eppure, fino a pochi giorni fa la storia sembrava decisamente differente.
Pechino e il ponte in Croazia
Il punto d’unione che fino a pochissimo tempo fa sembrava tenere insieme Europa e Cina si svolge a oltre 7700 chilometri da Pechino, sulla penisola di Sabbioncello, in Croazia. Qui, a fine luglio è stato inaugurato il ponte di Peljesac, lungo 2 chilometri, che collega i poco più di 4 mila abitanti della zona con la terraferma, evitando i passaggi alla frontiera con la Bosnia.
«Solo ora stiamo entrando a far parte della Croazia, perché le persone qui erano semplicemente isolate ed erano costrette a viaggiare attraverso due valichi di frontiera per raggiungere il resto del Paese», ha dichiarato un allevatore di molluschi in un’intervista a Euronews. Per loro questa costruzione, sicuramente la più importante dell’intera regione balcanica negli ultimi anni, significa molto. «Non dovremo più fare affidamento sul traghetto, non dovremo aspettare a due valichi di frontiera. Questa attesa in fila alla frontiera poteva durare da cinque minuti a due ore e mezza. È stato davvero estenuante e ha creato una sorta di amarezza tra le persone che vivono qui», ha dichiarato un’imprenditrice.
Il punto però è come siamo arrivati alla costruzione di quest’opera, dal valore di 525 milioni di euro. Infatti, il finanziamento a fondo perduto dell’Unione europea, dal valore di 357 milioni di euro, è finito alla China Bridge and Road Corporation, ente deputato alla costruzione di strade e ponti che fino a poco tempo fa era uno dei bracci armati della nuova “Via delle Seta”, il progetto vagheggiato da Pechino di collegare l’estremo Oriente con la Russia e l’Europa. La guerra in Ucraina però ha scombussolato i piani. «Per ora la guerra in Ucraina ha completamente esaurito il fenomeno degli express ferroviari Cina-Europa», ha dichiarato Jacob Mordell, analista presso il Mercator Institute for China Studies, in un’intervista al quotidiano brussellese “Politico”.
Non è un caso infatti se i collegamenti, cresciuti di oltre il 20% all’anno, siano rallentati nella prima metà del 2022, aumentando “soltanto” del 2,6%. La ragione, infatti, è chiara: molti commercianti non vogliono che le merci transino sulle ferrovie russe, che sono attualmente sulla blacklist di Usa e Unione europea. Come possa andare avanti il progetto sognato dal governo della Repubblica Popolare, anche alla luce delle tensioni tra Cina e Stati Uniti su Taiwan e dato il perdurare della situazione di guerra tra Russia e Ucraina, è difficile da capire ma per il momento Pechino resta un interlocutore privilegiato per l’area.
La Cina nei Balcani
A dimostrarlo ci sono gli investimenti che la Cina da tempo compie nei Paesi dell’area balcanica, soprattutto nell’area occidentale, dove ci sono Stati da tempo in lista di attesa per entrare nell’Unione ma che ogni volta sembrano essere puntualmente respinti. Tra i Paesi che hanno certamente stretto il rapporto più stretto con la Repubblica Popolare ci sono Serbia e Montenegro. La prima sicuramente per ragioni politiche: l’epidemia di Covid ha legato ancora di più il presidente Aleksandar Vucic con Xi Jinping, come dimostrano i calorosi ringraziamenti serbi per i vaccini, il bacio della bandiera cinese da parte del politico di Belgrado che ha poi definito il suo omologo cinese “fratello” della Serbia.
Un legame rinsaldato anche sul piano militare: la recente crisi in Kosovo ha visto Pechino schierarsi dal lato di Vucic, al quale ha anche inviato un sistema di missili terra-aria HQ-22, molto simili ai Patriot americani, che però hanno una gittata inferiore: 170 chilometri per un’altitudine di 27.
«Non permetteremo più di essere un sacco da boxe per nessuno», ha dichiarato Vucic, dopo averli esibiti lo scorso maggio. Ancora più dipendente è il rapporto che c’è tra Pechino e Podgorica: lo scorso anno, infatti, il Montenegro ha iniziato a pagare, grazie al sostegno occidentale, l’ingente debito accumulato con la Export-Import (Exim) Bank of China di 809 milioni di euro, pari a un quinto del debito pubblico complessivo di 4,33 miliardi. Una cifra legata alla costruzione, iniziata sette anni fa, del primo tratto dell’autostrada che collegherà il porto montenegrino di Antivari a Boljare, un progetto di circa 160 chilometri che collegherà il Mar Adriatico con le città al confine con la Serbia.
I primi 41 chilometri in costruzione a nord di Podgorica sono stati uno dei tratti autostradali più costosi al mondo: oltre 20 milioni di euro ogni mille metri, più di dieci volte il costo medio europeo. Aprirli lo scorso luglio è costato al Montenegro una promessa importante: se infatti il governo di Podgorica non fosse riuscito a pagare, la Cina avrebbe avuto la possibilità di acquisire una parte del territorio nazionale, verosimilmente uno sbocco sul Mediterraneo. Adesso però il Montenegro cerca finanziatori per il secondo tratto, lungo 122 chilometri, possibilmente tra le imprese occidentali, visto che sul piccolo Paese balcanico sono puntati i fari dell’Unione europea, preoccupata che lo Stato più avanti nel processo di adesione possa legarsi a potenze straniere avversarie.
Il discorso va però ampliato anche gli altri Paesi dell’area, che guardano a Pechino come alleato e partner, soprattutto a livello economico: per esempio, l’Albania ha ricevuto ad ottobre 2021 il ministro degli Esteri Wang a Tirana, con il premier Edi Rama che ha dichiarato «di vedere con più favore gli investimenti cinesi. Sono d’accordo con Pechino per quanto riguarda Taiwan».
Ancora più stretto il rapporto tra Cina e Bosnia-Erzegovina: Sarajevo ha ampliato la cooperazione con Pechino dal punto di vista militare, politico e culturale ma, ancora una volta, è l’economia a giocare il ruolo più importante. I 350 milioni di euro con i quali l’azienda cinese Dongfang Electric Corp ha costruito la centrale a carbone di Stanari vengono dalla China Development Bank. Analoga provenienza avranno anche i 335 milioni di euro con i quali verrà costruita un’autostrada di 33 km nella Republika Srpska, la piccola Repubblica filoserba presente nello Stato bosniaco. Il progetto cinese, perciò, è chiaro: aiutare finanziariamente i Paesi balcanici, affamati di infrastrutture e modernità, cercando di ricavarne il massimo possibile. Per questo il processo di adesione all’Unione dovrebbe essere la priorità, mai come stavolta.