Da Erdoğan brutte notizie per Putin. Oggetto della vicenda: la Crimea. Due giorni fa il presidente turco è intervenuto con un videomessaggio alla Crimea Platform, un’iniziativa diplomatica del Presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, avente lo scopo di concentrare e mantenere alta l’attenzione della comunità internazionale sull’annessione illegale della Crimea da parte della Russia.
Erdoğan ha dichiarato che «il ritorno della Crimea all’Ucraina, di cui è una parte inseparabile, è essenzialmente un requisito del diritto internazionale». Ha poi aggiunto che «la Turchia non riconosce l’annessione della Crimea e ha affermato apertamente sin dal primo giorno che questo passo è illegittimo e illegale. Questa è una posizione di principio che ha basi non solo legali ma anche morali».
Parole come macigni, che di fatto sconfessano per intero la politica neo imperialista del Cremlino, sempre più chiaramente orientata a recuperare le ex repubbliche sovietiche, divenute indipendenti dopo la fine della Guerra fredda e il crollo del comunismo. Una posizione che sulla carta risulta perfino più intransigente di quella di alcuni governi europei (uno su tutti, quello tedesco) ai quali solo l’efficacia dei lanciarazzi americani Himars sembra aver dato davvero la sveglia. Il discorso di Erdoğan, dunque, riporta tutto non solo a prima del 24 febbraio di quest’anno, data dell’invasione russa dell’Ucraina, bensì a otto anni fa, quando la Russia strappò illegalmente con la forza la Crimea alla sovrana Ucraina. Un’autentica doccia fredda per Mosca, che fin dall’inizio dell’invasione aveva puntato molto sull’ondivago presidente turco quale sponda “amica”, o almeno non ostile, all’interno dell’Alleanza Atlantica.
In effetti, Erdoğan si è industriato da subito per ritagliarsi un ruolo di grande mediatore, di ponte tra Occidente e Oriente. Ma non si è trattato solo di una ghiotta opportunità di promozione della propria leadership sullo scenario internazionale. La pesante crisi economica che attanaglia la Turchia ha imposto al presidente turco la ricerca di un successo politico immediato e sufficientemente “fragoroso”, che sarebbe potuto arrivare solo dall’esterno del paese. E con la guerra in Ucraina, e in particolare con la gravissima crisi alimentare dovuta al blocco delle esportazioni di grano, la politica estera è diventata l’arena nella quale giocarsi il tutto per tutto.
E così è stato. Dopo una serie di tentativi che si sono rivelati assai più ardui del previsto, la mediazione della Turchia ha contribuito a sbloccare la situazione. È infatti a Istanbul che circa un mese fa è stato siglato l’accordo tra Ucraina e Russia per il ripristino delle esportazioni. Il tutto sotto l’egida dell’Onu e lo sguardo comprensibilmente soddisfatto del “padrone di casa”, regista e gran cerimoniere del raggiunto accordo. Ma la strategia di Erdoğan è andata ben oltre l’aspetto umanitario. Il presidente turco ha puntato infatti a conquistare la fiducia di entrambe le parti in causa, attirandosi addosso in questo modo non poche accuse di doppiogiochismo.
Da un lato ha intensificato i rapporti commerciali con la Russia, ponendosi quindi come ancora di salvezza verso Mosca, messa seriamente alle strette dalle durissime sanzioni comminate dai paesi occidentali. A luglio 2022, le esportazioni turche verso la Russia sono arrivate a 730 milioni di dollari. Nel luglio 2021 erano 417,3 milioni. Le importazioni sono invece passate dai 2,5 miliardi di dollari del luglio 2021 ai 4,4 miliardi del luglio di quest’anno. Numeri che hanno fatto diventare la Russia il maggiore importatore dalla Turchia, superando in questo modo la Cina.
Ma se tutto questo ha irritato moltissimo Kyjiv e fatto gridare al tradimento molti governi occidentali, ben felici dell’operato di Erdoğan in ambito militare sono stati tanto il presidente ucraino Zelens’kyj l’America e l’Unione Europea. È infatti turca la società che fornisce all’Ucraina i micidiali droni Bayraktar, cruciali nell’azione di difesa e contrattacco delle forze armate di Kyjiv. Erdoğan è garante di questa fondamentale fornitura militare, come leader del Paese e, cosa non secondaria, come suocero del presidente della società fornitrice. Inoltre, il presidente turco ha anche impedito ai rinforzi navali russi l’accesso al Mar Nero attraverso il Bosforo.
Lo stesso copione Erdoğan lo ha recitato su quello che è ad oggi il più importante evento geopolitico prodotto dalla guerra di Putin, nonché il maggiore fallimento dello stesso presidente russo: l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica. La motivazione del veto minacciato da Erdoğan sull’ingresso nella Nato dei due Paesi scandinavi riguardava la presenza nei rispettivi territori di esponenti del <>Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) e delle <>Unità di Protezione Popolare (YPG), due formazioni curde che Ankara considera terroristiche. Il vertice della Nqto di Madrid, tenutosi nei giorni 28-30 giugno scorsi, ha risolto questo problema. Il presidente turco, sfruttando il forte interesse dell’Occidente di rafforzare l’Alleanza nel nord Europa, ha ottenuto molto.
L’accordo sottoscritto parla chiaro. Al punto 3 leggiamo che «uno degli elementi chiave dell’Alleanza è la ferma solidarietà e cooperazione nella lotta al terrorismo, in tutte le sue forme e manifestazioni, che costituisce una minaccia diretta alla sicurezza nazionale degli Alleati e della pace e della sicurezza internazionali». Al punto 4 è specificato che «nella prospettiva dell’Alleanza Nato, Finlandia e Svezia estendono il loro pieno supporto alla Turchia contro le minacce alla sua sicurezza nazionale. A questo scopo, Finlandia e Svezia non forniranno supporto a YPG/PYD all’organizzazione nota come FETO in Turchia. La Turchia allo stesso modo estende il suo pieno supporto a Finlandia e Svezia contro le minacce alla sua sicurezza nazionale. Finlandia e Svezia ripudiano e condannano il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, senza mezzi termini. Finlandia e Svezia condannano senza alcuna ambiguità tutte le organizzazioni terroristiche che perpetrano attacchi contro la Turchia ed esprimono la loro più profonda solidarietà alla Turchia e alle famiglie delle vittime».
Erdoğan è stato così rassicurato e il veto è caduto. Finlandia e Svezia abbandonano la loro tradizionale neutralità, secolare nel caso della Svezia, e si apprestano a entrare nell’Alleanza Atlantica, che quindi si ingrandisce estendendosi a nord dell’Europa. Esattamente quello che Putin non voleva.
Le parole di queste ore del presidente turco sulla Crimea chiudono il cerchio. La Turchia, nel suo tentativo di accreditarsi in modo definitivo come potenza regionale euroasiatica, non smetterà di giocare su più fronti, con la sua ormai proverbiale doppiezza. Ma c’è dossier e dossier.
Sull’Ucraina, alla fine, anche da Ankara è arrivata una sconfessione netta delle aspirazioni della Russia di Putin e del suo sempre più nervoso entourage. Erdoğan ha dimostrato di avere un ottimo fiuto. E ora lo ribadisce, sentendo precocemente come addirittura l’ipotesi della liberazione della Crimea dall’occupazione russa si stia trasformando da tabù a obiettivo palesato anche fuori dall’Ucraina. Vede come l’esercito russo sia di fatto in stallo e come le sanzioni stiano duramente minando l’economia di quella che ormai è al massimo una potenza regionale, prossima a diventare uno stato vassallo della Cina. E allora, da scaltro giocatore, agisce di conseguenza, arrivando a sorpassare molti alleati Nato nell’ammonire il Cremlino.