Le arancine di CervantesIl nuovo Don Chisciotte si trova in Sicilia e pensa di essere Montalbano

Nel romanzo di Mandracchia (pubblicato da Minimum Fax) torna, sotto altre vesti, il personaggio del celebre scrittore spagnolo. Ma non sono più i libri cavallereschi a fargli nascere la follia, bensì i gialli, da cui deriva la passione per le indagini e per la giustizia

di Antonino Cicero, da Unsplash

All’inizio Geraci, mentre lo tirava su privo di sensi e lo portava alla macchina, vedendo la camicia tutta strappata sul petto e sentendogli nella bocca il forte odore d’alcol, pensò si fosse inciuccato ben bene. Ma il suo amico era uno che beveva solo acqua e limone, limone e acqua, manco il caffè con loro si pigliava.

«Povero Vasile», pensò sistemandolo sul sedile accanto al suo, «non si è più ripreso dalla morte della moglie. Veniamo al mondo soli e soli ce ne dobbiamo tornare».
«Mimì».

La voce improvvisa lo fece sobbalzare e gli scappò pure una mezza bestemmia.
«Mimì», faceva Vasile, «oh, Mimì… dobbiamo intervenire… bisogna spiegarsi» Geraci non capì bene quello che l’amico gli stava dicendo. Vasile lo chiamava Mimì e lo insultava. Lo esortava a intervenire, a tornare con lui e a fare quello che andava fatto. Intanto gli indicava le terre dei Mulè. Nel vedere dove puntava il dito di Vasile, l’amico impazzì.
«Da cu? Da ’ddri cagnola?! Ma mancu pi ’sta minchia! Chiddri ’un sunnu cristiana, sunnu fitinzie!»
«Nun ci su cittadina di serie A e cittadina di serie B, Mimì. Arricordatillu».
«Sono Geraci. Non Mimì».
«No, tu sì Mimì Augello, lu me vice».
«Vice?»

Ma l’altro svenne di nuovo e così poté portarlo in tutta tranquillità a casa, dove trovò la domestica preoccupata dalla sua assenza.

«Mariamaria, che gli capitò?»
«Chi sacciu. Delira. Straparla».
«Adelina. Adelina mia, chi guai, chi guai, fammi la pasta ’ncasciata», mormorò Vasile vedendo la sua domestica, e le fece una carezza lieve sulla guancia prima che il braccio gli cascasse di nuovo penzoloni. Sembrava fosse ormai diventato di pezza.

La donna gelò: a turbarla non era stato tanto il sentirsi chiamata con un nome sbagliato ma il gesto affettuoso da parte di quella vecchia cariatide inacidita dalla vita. Lanciò un’occhiata spaventata a Geraci che le fece segno di non dire niente, di non commentare, e piuttosto di aiutarlo a portare l’uomo nella stanza da letto. Lo misero sotto le lenzuola e Vasile dormì fino all’indomani mattina.

Sulla terrazza della casa di Vasile, mentre si sentiva il suo russare dalla portafinestra aperta, si tenne una riunione straordinaria.

A Geraci, che in macchina aveva pensato e ripensato a dove aveva sentito prima quel Mimì Augello, quando Vasile aveva detto Adelina gli si era riempita la testa di una luce potente, il bagliore emesso da un televisore acceso. Così aveva chiamato l’amico Ninfarosa e gli aveva detto di raggiungerlo lì dove si trovava.
«Sono con Mimmo e Anna», lo informò Ninfarosa. «E portati pure a loro. Meglio se ci siamo tutti».
«Vasile murì?»
«Peggio».
Quando arrivarono, la domestica andò a preparare il caffè e Geraci aspettò che tornasse con il vassoio pieno e che finissero tutti di bere prima di spiegare quello che aveva capito riguardo a Vasile.

«Si crede Montalbano», disse scandendo ogni parola.
«Ma chi?», chiese Ninfarosa. «Quello che vende mobili e sta a Funnacazzo?»
«No, babbu. Il commissario Montalbano, quello della televisione».
«Minchia. E perché?»
«Mariamaria», si lamentò la domestica.

Mimmo non disse nulla, sbavò soltanto sulle mattonelle della terrazza. «Si vede un po’ di mare da qui», disse Anna con lo sguardo perso oltre la ringhiera. «I libri», intervenne la domestica, «quei maledetti libri. Ci sta sempre appresso. Lo sapevo io che lo rimbambivano tutto, glielo dicevo pure, glielo dicevo ogni volta. Ma quello mulo è e mulo rimane».
«Cos’è mulo?», chiese Anna, ma nessuno la degnò di una risposta.
«Bisogna fare qualcosa», disse Ninfarosa, «dobbiamo aiutarlo».
«Siamo qui per questo», disse secco Geraci.

I quattro lasciarono Mimmo sulla sua carrozzella, si spostarono nel salotto e si piantarono davanti alla libreria a osservare quei maledetti libri. Decisero di non dargli fuoco: di leggerli non li avrebbero letti, ma c’era comunque del rispetto. Iniziarono così la spartizione.

I trentadue libri con Montalbano e i venticinque con Maigret se li prese Geraci, gli altri venti con Maigret e i nove con Sherlock Holmes li prese Ninfarosa, quello con Dupin e i dodici con Poirot li prese Anna, anche se non sapeva bene che farne.

Sugli scaffali spogli lasciarono soltanto i tascabili rosa un tempo appartenuti alla signora Benedetta e un grosso manuale sul giardinaggio ancora avvolto nel cellophane. Era rimasto un saggio sulla storia della mafia e dopo una veloce consultazione decisero di far sparire anche quello, pure se era stato scritto da un inglese, e che ne doveva capire un inglese, via pure quello, non si sa mai, lo prese la domestica di Vasile che prima, vedendo gli scaffali vuoti, era scoppiata a piangere e aveva tentato di spiegare tra i singhiozzi che non ci poteva fare niente, pareva proprio una cosa di morte. Allora riempirono di nuovo la libreria con quello che trovarono: fascicoli della settimana enigmistica e riviste scientifiche. Nella peggiore delle ipotesi, sarebbe andato in giro dicendo di essere Galileo Galilei

Soltanto a Geraci, una volta salutati gli altri e rientrato nel suo villino, lo colse un pensiero: ma non è che solo solo perché me li tengo a casa poi mi parte il cervello pure a me?

Scese di nuovo giù in strada e li gettò nel primo cassonetto a disposizione, spaventando due gatti che vi rovistavano dentro. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da Don Chisciotte in Sicilia, di Roberto Mandracchia, Minimum Fax, 218 pagine, 15 euro

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