Per la serie quiz enigmistici da ombrellone, gli ultimi due anni saranno ricordati come quelli del “trova le differenze” e fanne un cavallo di battaglia. Le diversità di etnia e genere vengono esaltate in ogni forma e, guardando all’Italia e alle tendenze del panorama musicale attraverso il filtro delle diverse radici culturali, siamo a una svolta che non si vedeva da tempo. Oltre a fenomeni mediatici come Mahmood, Ghali o Elodie, tutti venuti su in Italia con un background straniero, la novità è che sta prendendo forma una scena di artisti italiani che si fanno strada nella diaspora musicale in Europa, storicamente più nutrita e attiva della nostra.
La musica made in Italy in realtà ha preso la tangente internazionale da qualche anno. Ne è un esempio il lavoro che dal 2017 fa l’ufficio Italia Music Export, creato dalla Siae per promuovere i musicisti italiani all’estero (alla guida del quale c’è l’italopalestinese Nur Al Habash, affiancata da uno staff al femminile). E le canzoni italiane di oggi raccontano che l’influenza dell’intercultura ormai è innegabile. Anzi, c’è chi sostiene che non ha neanche più senso sottolinearlo, perché questo intreccio di origini è già parte del tessuto sociale. Ma cosa ne pensano i diretti interessati?
8blevrai
«Essere un immigrato è un vanto» secondo il rapper italomarocchino 8blevrai, nato in provincia di Bergamo. Al suo primo ep pubblicato lo scorso luglio dalla Sony Music Italy, sogna di collaborare con il rapper spagnolo Morad o il francese Maes, anche loro di origine marocchina. «Io non ho solo una cultura ma ne ho ben due» afferma fieramente. Il padre è di Rabat e la madre di Casablanca, sono arrivati in Italia negli anni Ottanta ma hanno tenuto saldo il filo con il loro paese di origine, racconta Otmen: «Sono cresciuto all’italiana con una forte tradizione marocchina. Mio padre faceva sacrifici tutto l’anno per portare me e i miei fratelli in Marocco ogni estate».
Immigrato, l’ep uscito sotto l’ala protettrice del producer Big Fish, è un concept che ha preso forma dopo un viaggio in Marocco durante il Ramadan. È accompagnato da un documentario, diretto da Fabrizio Conte, a testimonianza di quell’esperienza, al centro si raccontano gli harraga, i migranti nordafricani che scappano alla ricerca di un futuro migliore. «Tutti siamo stati immigrati almeno una volta, come gli italiani in Svizzera o negli Stati Uniti. Essere immigrati vuol dire essere figli del mondo» dice il rapper. E aggiunge che «questa cosa dell’essere considerati “diversi” io l’ho già superata. Non ne sento gli svantaggi, anzi, credo di avere qualcosa in più rispetto ad altri». Di diverso, sicuramente 8blevrai ha il fatto di essere tra i pochi della sua generazione a conoscere L’odio, il film del 1995 diretto da Mathieu Kassovitz, che ha omaggiato con la canzone La Haine. L’ha scritta dopo essere uscito pulito da una faccenda di illegalità. «Come il film, volevo dire che alla fine tutto passa, anche una brutta strada, e il bene ripaga sempre».
Kharfi
8blevrai si è formato nella scuderia dell’etichetta Yalla Movement, fondata dai producer e dj Big Fish e Jake La Furia, una fucina di talenti discussi come Neima Ezza (finito ai domiciliari nella sua casa di San Siro con l’accusa di rapina) o la trapper torinese Chadia Rodriguez. Sono entrambi di origini marocchine, come Kharfi, anche lui orbitato dalle parti di Yalla. Nato a Sesto San Giovanni, Davide Kharfi è tra i pochissimi producer e dj a fare l’edm (electronic dance music) made in Italy. Ha appena dato alle stampe il suo primo album, Aquarium. Ma già da un paio di anni si è fatto notare aprendo i live di Skrillex e Steve Aoki.
«Faccio un tipo di musica decisamente internazionale» ci racconta al telefono mentre corre dalla stazione Termini di Roma a un terminal di pullman, in giro per l’Italia tra mille impegni con l’energia dei suoi 25 anni. «Mi sono appassionato all’elettronica da piccolo guardando Youtube. Per ora lavoro di più qui ma non vedo l’ora di andare all’estero, dove la musica elettronica funziona molto meglio». Spiega che il suo album è da indipendente perché in Italia non esiste un contesto adatto alla sua musica e il successo di un artista non dipende solo dalla bravura dell’etichetta che gli sta dietro ma anche dagli algoritmi di piattaforme alla Spotify. «Poi, tante collaborazioni nascono su Instagram» ci dice il dj, «oggi puoi comunicare con chiunque, ovunque, senza intermediari. Però vorrei trovare la label giusta per lanciarmi sulla scena internazionale». Il primo obiettivo è la Germania, dove Kharfi conta il doppio degli ascolti rispetto all’Italia. Ma sta prendendo forma l’idea di allargarsi al mondo magrebino. «Voglio approfondire il discorso delle radici nella mia musica. Ho visto un live di Dj Snake a Parigi, lui è di origini algerine e ha invitato Cheb Khaled sul palco. Il pubblico era impazzito. Sono convinto che si possa raccontare davvero qualcosa con le sonorità dell’elettronica».
Arya
Delle nostre artiste, Arya Delgado è tra le più promettenti per esportare la musica italiana. Italovenezuelana nata a Milano 27 anni fa, figlia di un musicista di salsa, è cresciuta a soul, r&b e jazz, e da qualche anno accompagna in tour il cantante Venerus. Finora ha cantato soprattutto in inglese ma l’ondata recente di attivismo sociale l’ha travolta, risvegliando il suo orgoglio latin. Il risultato è il singolo in spagnolo del 2022, Por amor de mi vida, in cui la riscoperta artistica delle origini si intreccia alle rivendicazioni di genere. Da qualche anno Arya, infatti, è in prima fila nel sostenere i pari diritti nell’industria musicale, collaborando con la community Equaly. «Continuo a vedere casi di pink washing» ci ha raccontato, stufa della situazione. «Ho partecipato a una pubblicità che simulava una realtà inesistente: una bella ragazza nei panni di tecnica del suono a un concerto, con un outfit improbabile per fare quel lavoro. La rappresentazione dovrebbe rispecchiare ciò che accade veramente. Ma nell’industria musicale, come in tanti campi, c’è ancora ancora un gap incredibile».
Arya sta per cominciare il programma europeo di formazione ed empowerment Key Change che ingaggia artisti da Europa e Canada, focalizzandosi sulla rappresentazione delle minoranze di genere. Le line up dei festival organizzati da Keychange hanno regole precise sulle percentuali delle quote dei partecipanti, rigorosamente inclusive. «Al primo incontro a Londra, lo scorso giugno, ho avuto l’impressione che in Italia siamo ancora indietro» spiega Arya. «Ma vedo che stiamo recuperando e realtà come Equaly, Italia Music Export e Italia Music Lab stanno lavorando in direzione dell’inclusività, in linea con ciò che accade nel resto del mondo».