Kitchen RhapsodyQuando il cibo si trasforma in musica

Cucinare è un’arte che coinvolge anche l’udito come dimostra “Flux Gourmet”, il lungometraggio presentato all’ultima Berlinale, e alcuni esperimenti curiosi che utilizzano le verdure come strumenti musicali

Che il cibo e i suoi riti abbiano stimolato e ispirato da sempre artisti di ogni genere non è un segreto. Soprattutto alcuni maestri indiscussi della Settima Arte hanno realizzato i loro capolavori, tra lungometraggi, corti, docufilm proprio scegliendo come tema da sviluppare cibo&dintorni. Da “Big Night” a “Ratatouille”, da “Il Pranzo di Babette” a “La Grande Abbuffata”, da “Chocolat” a “La cuoca del Presidente” (l’elenco è vistosamente incompleto!) è stato tutto un susseguirsi di zoomate e campi lunghi su contorni e zuppe, dolcetti e arrosti.

Cosa ha di nuovo, allora, questo “Flux Gourmet” presentato nella sezione Encounters alla Berlinale 2022? Prima di tutto è l’ultima fatica di Peter Strickland, regista di culto e di nicchia diventato famoso per avere proposto una sinfonia visivo-sonora facendo pugnalare cavolfiori e cocomeri a un personaggio del suo film “Berberian Sound Studio”.

In questo suo ultimo lungometraggio continua la sua indagine sui suoni prodotti da vari oggetti commestibili e sul concetto di cucina sonica: «Nel 1996 – racconta Strickland – ero in una band chiamata The Sonic Catering Band. Abbiamo registrato mentre cucinavamo, amplificato e manipolato il suono. Lo abbiamo fatto per diversi anni, poi abbiamo smesso. Ho usato un po’ della mia esperienza in Berberian Sound Studio e ora in questo film».

Flux Gourmet racconta, con inquadrature e piani sequenza in bilico tra horror, noir e B-movie, le vicende di un ensemble musical-culinario interamente dedicato a utilizzare vivande e materie prime come strumenti musicali e all’esplorazione dei suoni prodotti in una cucina mentre si preparano pranzi e cene. Idea nuova? Non proprio: la storia (musicale e gastronomica) degli ultimi decenni racconta ben altro. I “pianoforti preparati” di John Cage, per esempio, che già negli anni ’40 del secolo scorso inseriva oggetti di vario genere (anche cibo) sulle corde di un pianoforte per ottenere sonorità nuove e imprevedibili; il brano Roastbeef che il tastierista degli Area, Patrizio Fariselli, registrò (correva l’anno 1977) adoperando armonici di chitarra a dodici corde e un “pianoforte preparato” con una bistecca di manzo appoggiata sopra alcune corde. O, ancora, Experimentum mundi (1981) opera di musica immaginistica di Giorgio Battistelli per un attore, cinque voci femminili, un percussionista e sedici artigiani tra cui pasticcieri che preparavano una torta in diretta, con tanto di suoni (dal vivo e amplificati da microfoni) di uova sgusciate, farina amalgamata, sfrigolii di burro in fusione.

Anche Bottura che si è esibito in un assolo per il T magazine (la rivista di lifestyle, moda e design del New York Times ) cuocendo in un ambiente insonorizzato delle “lasagne” croccantissime e sgranocchiandole vicino alle orecchie di un cliente-robot (per i Bottura addict esiste anche un video, The sounds of Massimo Bottura’s lasagna). Insomma nihil novi con tutto ciò che ne consegue.

C’è da dire che con sapori, profumi, consistenze, colori, la cucina ha sempre parlato un linguaggio plurisensoriale ed è (quasi) naturale che l’esperienza gastronomica diventi completamente sinestetica, includendo anche l’udito. Lo scoppiettio di una chip mordicchiata, il gorgoglio delle bollicine in un calice, il crepitio di una crudité addentata, lo sfrigolio di un soffritto in una padella sono tutti suoni piacevoli che accompagnano quotidianamente il rito del cibo.

Nessuna sorpresa, quindi che ci sia chi, come i Food Ensemble, ha fatto diventare il mangiare un atto totale, mixando l’arte della cucina con la musica elettronica, intrecciando suoni, profumi e sapori per creare un’esperienza unica. Band atipica, tutta italiana (i suoi componenti sono Francesco Sarcone, Andrea Reverberi e Marco Chiussi) i FE cucinano dal vivo, proprio come in uno show cooking, e contemporaneamente campionano i rumori della cucina, che diventano musica come in un concerto live e accompagnano la degustazione.

E all’estero? Non si scherza nemmeno fuori dai confini del Bel Paese: dall’Austria arriva The First Vienna Vegetable Orchestra (sono più conosciuti come The Vegetable Orchestra), composta da membri provenienti da vari ambiti artistici (musicisti, artisti visivi, designer, scrittori…). Particolarità della formazione è quella di usare esclusivamente verdure come strumenti musicali, particolarità che rende il loro stile difficilmente descrivibile: un po’ free jazz, un po’ dub, un tocco di elettronica sperimentale, beat q.b.

Fra gli strumenti musicali inventati o semplicemente usati dalla Vegetable Orchestra ci sono zucche usate come percussioni, carote trasformate in flauti dolci, melanzane che diventano nacchere e i cucumberphones, insoliti strumenti a fiato ricavati da zucchine, cetrioli, peperoni. Cosa succeda agli “strumenti” al termine del concerto è prevedibile: i vegeorchestrali li affettano, li triturano e li sminuzzano per preparare una gustosa suppe che viene servita al pubblico.

Ma anche al di là dell’Oceano non stanno a guardare: a New York (sull’onda della Vegetable Orchestra) nasce la Long Island Vegetable Orchestra. Anche in questa caso, cucurbitacee e tuberi, bacche e brassicacee diventano flauti e clarinetti, maracas, tamburi e oboe per performance musicali green e veg di partiture che vanno dal jazz alla classica.

Do it yourself? Sì, grazie. Per i patiti di musica (e di cibo) che vogliono crearsi una loro personalissima (e gustosa) colonna musicale c’è Ototo (già diventato una delle attrazioni del MoMa), un marchingegno che permette di creare strumenti musicali da oggetti di tutti i tipi. Compreso il cibo, ovviamente.

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