Le liste elettorali dei partiti suggeriscono l’idea di una chiusura alla società, di un irrigidimento della politica rispetto all’Italia “vera”. Questa opinione – va subito chiarito – non discende affatto da quella visione mitica della società “buona” contrapposta alla politica “cattiva”, che è il nucleo della ideologia populista che ha infestato e infesta il Paese: piuttosto il problema che si pone è quello di una sempre minore compenetrazione tra la professione politica e le altre, il che determina non solo un crescente scadimento “tecnico” dei partiti ma soprattutto una preoccupante lontananza dalla società civile, intesa con Marx come «il vero focolare, il teatro di ogni storia». In altre parole, i canali di scorrimento tra politica e società appaiono sempre più ostruiti da una colata fatta di cooptazione, familismo, opportunismo. Tanto che alla fine il distacco tra gli onorevoli e i cittadini comuni si allarga sempre più.
È l’effetto, anche, dello sciagurato taglio casuale del numero dei parlamentari, voluto dai populisti di Conte e Di Maio e improvvidamente appoggiato dal Pd a direzione Zingaretti: meno parlamentari ci sono, meno possibilità per i non professionisti del Palazzo di accedere alle Camere.
C’era da aspettarselo. Ma le cose sono andate anche peggio delle previsioni. Oltre all’autodifesa dei gruppi dirigenti, si assiste ad un grande ritorno di vecchie glorie, personaggi che si credeva superati dalla inesorabilità del tempo e anche dalla loro progressiva marginalità e che invece, a sorpresa, riemergono alla faccia del rinnovamento (categoria a sua volta da maneggiare con cura, qualcuno lo spieghi a Enrico Letta che ha tirato fuori diversi gggiovani da mandare a un corso biennale alle Frattocchie, se ci fossero ancora). Dove sono dunque i giovani del volontariato, i docenti universitari, gli esperti di clima, tecnologie, medicina, mass media, politica internazionale? Dove sono i ricercatori del mondo della scienza, le persone di cultura, i famosi intellettuali?
I peggiori ci paiono i gran favoriti (vedremo) di Fratelli d’Italia che hanno incrociato l’ascissa dell’apparato, molto mediocre, con l’ordinata del vecchio personale di governo di 20 anni fa, dal redivivo Giulio Tremonti – il ministro del quasi-default – all’anziano filosofo Marcello Pera, già presidente del Senato decenni fa, a Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri che si dimise per la vicenda dei marò in India senza averne informato l’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che giustamente andò su tutte le furie.
Giorgia Meloni, che già inciampa vergognosamente – la pubblicazione del filmato dello stupro di una donna a Piacenza, il monito contro «le devianze» riferite a cose diversissime tra loro, mischiando vizi e malattie – non avendo una classe dirigente degna di questo nome, pensa di risolvere il problema tirando fuori dalla naftalina alcuni governanti dell’altroieri già poco credibili all’epoca. È il vecchio che avanza, altro che la retorica sulla giovane leader tanto abile e tanto poliglotta, è un mix di improvvisazione e vecchi merletti preoccupante per le sorti di un Paese che dovrà proseguire sulla strada delle riforme del Pnrr se vorrà continuare ad ottenere i fondi della perfida Europa.
Del Pd si è detto e scritto tantissimo, delle sue magagne, contraddizioni e gaffe, e della volontà epuratrice dell’area riformista, corretta da Letta in zona Cesarini dopo le rimostranze non solo su Twitter, come i puristi della politica vogliono far credere. Ma nel complesso un Cottarelli non fa primavera, specie se a cospetto dei “volti nuovi” di Furlan e Camusso. E c’è da dire che anche le liste del Terzo polo non scaldano il cuore.
Pur comprendendo che la truppa parlamentare non sarà enorme e che dunque bisogna garantire i big di due partiti c’è da chiedersi quale fosse il “colpo grosso” che veniva attribuito a Renzi; e come mai la novità-Calenda non abbia suscitato attrattive presso quei mondi produttivi e moderni cui quest’ultimo fa affidamento per una buon esordio della compagine.
Poca roba per quanto riguarda l’avvocato Conte: almeno è riuscito a arruolare Federico Cafiero De Raho, che molto difficilmente riuscirà a fare peggio di altri illustri magistrati, da Antonio Ingroia a Pietro Grasso, ma per il resto zero: com’è sempre stato per i populisti-mozzorecchi del M5s e tanto più oggi in pieno declino.
Fa eccezione il partito di Nicola Fratoianni che ha indicato, nelle liste del Pd, il sindacalista Aboubakar Soumahoro e Ilaria Cucchi.
Insomma prosegue e si accentua il fenomeno in atto da anni di un ceto politico che punta a perpetuare se stesso più che porsi il problema di portare in Parlamento e caso mai al governo la parte migliore del Paese, quella più colta, esperta, consapevole, rappresentativa. Anche per questo non è improbabile che, stando così le cose, per il governo si dovrà ricorrere ancora agli “adulti” che non siederanno in un Parlamento che già si preannuncia – chiunque vinca – al di sotto delle speranze e delle necessità.