La furbata televisivaL’Italia politica non è divisa in due, qualcuno avverta la coppia Letta-Meloni (e la Rai)

Nonostante i due leader abbiano impostato la campagna come un confronto a due, l’attuale quadro politico-elettorale italiano è quadripolare. E non è possibile, soprattutto per il servizio pubblico, escludere Calenda e Conte

Frank Okay, Unsplash

Forse galvanizzato dall’ottima performance contro Marine Le Pen del 3 marzo scorso, Enrico Letta ritiene di poter bissare la prova con la versione italiana della leader della destra francese Giorgia Meloni. Il segretario basa la sua pretesa con l’argomento che «si delinea uno schema bipolare»: e dove sta scritto? Può benissimo darsi che questo sarà l’esito del voto, ma può anche darsi di no: le regole non possono certo basarsi sulle previsioni dei sondaggisti o sui desiderata di questo o di quello ma tenendo conto della situazione reale.

Malgrado Letta faccia finta di non capirlo, l’attuale quadro politico-elettorale italiano è quadripolare ed è dunque a questo che il servizio pubblico deve riferirsi più che al modello francese, che sta solo nei suoi sogni. Il problema è che il leader dem aveva ab origine impostato la sua campagna sulla sfida tra lui e la Meloni, ed ecco perché per lui sarebbe coerente se il duello televisivo finale del 23 settembre, che in una campagna elettorale così breve si annuncia come ancor più decisivo, fosse tra i capi di Pd e Fratelli d’Italia.

Molto probabilmente la Meloni, alla quale stava a cuore soprattutto la certezza di poter rappresentare, lei, la destra, lo schema “Sandra e Raimondo”, è d’accordo e dunque i due hanno stretto un (forse) implicito patto teso ad evitare il confronto con Carlo Calenda, considerato da entrambi (certamente da Letta) un pericolosissimo granello nell’ingranaggio “francese” basato sulla competizione secca e novecentesca tra destra e sinistra.

Ma è evidente che non c’è nessun motivo oggettivo a supporto di questa teoria, che agli occhi del leader del Terzo Polo appare come uno sbrego democratico, mentre di Giuseppe Conte si narra di una sua peraltro comprensibile ansia nell’affrontare in diretta i suoi colleghi: ma com’è chiaro ha anch’egli tutto il diritto a partecipare al confronto finale.

La questione sta investendo la Rai in faccia come un’onda del mare agitato colpisce il bagnante sprovveduto, essendo di tutta evidenza che il servizio pubblico non può seguire le teorie di uno dei leader in campo: da noi il bipolarismo non c’è, punto, e non c’è più nemmeno il bipopulismo dell’era Conte-Salvini, ma quattro soggetti più forti degli altri che hanno pari dignità.

A quanto pare a viale Mazzini non hanno ancora le idee chiare sul da farsi, si è subito prenotato il lesto Bruno Vespa per un duello tra i segretari di Pd-FdI, ma la situazione è in evoluzione. C’era una proposta di due serate speciali (“Il confronto”) organizzate dal Tg1 e dalla Direzione Approfondimento, basate su precise regole d’ingaggio sottoscritte dai leader dei partiti che potrebbe consentire un vero dibattito tra i leader – molto meglio delle singole interviste a ciascuno di loro: insomma, Letta, Calenda, Conte e Meloni intorno a un bel tavolo quadrato.

Chi pensa a un vero confronto a quattro è SkyTg24, che lo ha messo in cantiere da fine luglio (e d’altra parte Sky ha una ormai lunga esperienza in fatto di confronti televisivi) senza scartare nemmeno l’ipotesi di più confronti incrociati. Anche Enrico Mentana, e ci mancherebbe, si è fatto sotto. Ma i privati non hanno obblighi particolari, se non quelli della correttezza e della deontologia.

Il vero punto politico riguarda il dovere del servizio pubblico di mettere gli elettori nella miglior condizione di “conoscere per deliberare”. Dunque, en attendent Mamma Rai: che su una questione così rilevante non può sbagliare.

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