Questione di standingI politici non dovrebbero stare sui social, ma se ci stanno perché trascurano TikTok?

Enrico Letta, Carlo Calenda e Matteo Renzi sono dei maratoneti di Twitter, ma trascurano il posto dove ci sono i diciottenni e i sedicenni (e con loro Meloni e Salvini)

Florian Schmetz Unsplash

Partiamo dalla fine (decidete voi la fine di cosa), ovvero da: se le tue proposte elettorali sono dare soldi ai diciottenni e il voto ai sedicenni, dove le comunichi? Nel posto più frequentato da sedicenni e diciottenni, che (purtroppo) non è più l’oratorio e (per fortuna) non è mai stato Twitter.

Il posto più frequentato dai ragazzini (ma anche dagli adulti attenti ai fenomeni in ascesa) è TikTok. Enrico Letta non ha un account su TikTok, e questo sarebbe quasi tutto quel che ho da dire su questa campagna elettorale. Poiché Linkiesta pretende che scriva più di cinque righe, aggiungerò un paio di dettagli.

Il primo è che su TikTok non ci sono neanche Matteo Renzi e Carlo Calenda. Il secondo è che la ragione per cui me ne sono accorta è che volevo che questo articolo parlasse del fatto che i politici italiani passano troppo tempo sui social.

Perlopiù male, convinti di dover fare gli influencer ma senza essere capaci di farlo (Renzi che s’instagramma mentre corre dicendo quanti chili vuole perdere), o col lascito di qualche social media manager scarso che ha detto loro di mettere degli hashtag (cancelletti presenti in tweet recenti di Enrico Letta: #pandemia, #giovani, #fakenews, #solidarietà, #lorodue; quest’ultimo è sotto una foto di Letta e Prodi, cliccandoci sopra vengono fuori foto di coppie assortite, J Ax e Fedez, Buffon e Del Piero).

Che sia coi cancelletti a caso di Letta o con l’isteria a caso di Calenda – che sembra non aver capito che l’internet non è una cena tra amici e devi dare l’impressione d’avere doti di leadership e di forza tranquilla, non quella d’essere al baretto sotto casa a cercare la rissa – i politici italiani vivono sui social. La mia istanza è che non ci debbano stare, che chiunque non abbia i social ha garantito il mio voto, che niente di buono e molto di ridicolo venga da quelle piattaforme. Tuttavia, se invece la scelta è quella di presidiare il territorio, com’è possibile che questi disgraziati in cerca di voti non stiano sul social più in ascesa, più frequentato, più indispensabile per chi voglia stare nel mondo di oggi?

Lo dico, ribadisco, da tifosa della capanna di Unabomber e dell’azzeramento del digitale; lo dico però ritenendo che, se una cosa la fai, devi farla bene: passi le giornate su Twitter, dove ci sono solo giornalisti di giornali che nessuno legge e polemisti egemoni del loro pianerottolo, e non stai dove ci sono gli elettori di domani ma pure quelli di oggi?

Sedicenni cui vuoi dare il voto e diciottenni cui vuoi dare la paghetta di cittadinanza a parte, su TikTok ci sono tutti, che sia il social dei ragazzini ha smesso d’essere vero da un bel pezzo. Su TikTok ci sono tutti e, quando chiedo all’algoritmo di propormi dei video, non potendo propormi né quelli di Renzi né quelli di Calenda né quelli di Letta, mi proporrà quelli di Meloni e Salvini. Si può obiettare che, se sei sensibile alle tematiche di Meloni, Renzi non l’avresti votato comunque, ma con questo criterio allora ho ragione io: la campagna elettorale non serve a niente, i social non servono a niente, andate tutti a chiudervi in separate capanne di Unabomber e ognuno voti come ha già deciso di votare.

Parlando con gente che maneggia i social per lavoro, le ipotesi sono varie: che i politici scelgano i social sui quali si sentono più a loro agio (e quindi: chi se ne importa se il pubblico sta su TikTok, chi mi ama mi segua su Twitter); che TikTok sia reputato il social dei balletti; che essi politici (scriverei «leader», ma mi viene da ridere) facciano da sé e nessun professionista del settore abbia detto loro che il posto dove devi essere nel 2022 è TikTok.

Alessio De Giorgi, responsabile della comunicazione digitale di Matteo Renzi, quando gli dico che su TikTok ci sono i politici di destra e non quelli di sinistra, obietta: «Beh, c’è Conte». Le battute io e voi le facciamo dopo, ora non vorrei interrompere De Giorgi mentre articola quella che secondo lui non è una distinzione tra destra e sinistra ma tra populisti e non populisti. Ma si può fare una comunicazione non populista sui social? In che modo una piattaforma di video sarebbe più populista di una con penzierini di massimo 280 battute di testo?

De Giorgi dice che su TikTok è più difficile mantenere uno standing (dice molte volte «standing»), e che si rischia di abbassare troppo il livello e che Renzi mica può mettersi a mangiare i panini con la cioccolata su TikTok (non gli rispondo quel che sto pensando dell’interessante schizofrenia rappresentata da un universo ideale in cui Renzi scrive «obiettivo 85 kg» nelle storie di Instagram e mangia i panini al cioccolato su TikTok: sarebbe vieppiù immedesimabile, chi di noi non ha schizofrenie dietistiche scagli la prima Dukan).

Poi dice che lui aveva un progetto in cui Renzi spiegava un tema del giorno ogni giorno ai giovani (De Giorgi è convinto che su TikTok ci siano solo elettori sotto i 25 anni: si vede che uso un buon antirughe), ma che la cosa sarebbe stata troppo impegnativa in termini produttivi e di tempo – TikTok richiede video specifici, non puoi sbatterci una foto o due frasi come fai sugli altri social – e insomma alla fine non s’è fatta. E Renzi, come tutti, è rimasto su Twitter. Il luogo del bisticcio isterico, ideale per la vocazione caratteriale di Carlo Calenda, e frequentato solo da gente che preferirebbe farsi impiccare piuttosto che cambiare idea su qualcosa. L’ultimo posto al mondo dove sia immaginabile spostare un voto. Però che standing. 

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