23 aprile 1944
Chi sa a che punto ci ridurranno la miseria e le ristrettezze economiche! Né riesco a figurarmi fino a che punto i popoli si lasceranno drogare dalla propaganda dei taumaturghi universali, dagli oratori elettorali e piazzaioli che ci promettono l’abbondanza e i piaceri purché si chiudano gli occhi e – a tutti fuorché a loro – anche gli orecchi, e ci si lasci condurre a quella mangiatoia, a quel porcile, a quel cinema o a quel circo equestre di cui sogniamo come di un paradiso in terra. Ma, dato che la storia debba svilupparsi a spirale, può darsi che a questa guerra faccia seguito un generale disgusto per l’entusiasmo, come prevalse nella prima metà del Settecento.
La traduzione moderna del concetto di “entusiasmo” è stata per l’Italia il termine “idealità”, per il Reich, più sinceramente cannibalesco, “la più grande Germania”: entrambe queste espressioni hanno portato a guerre altrettanto infami, abbiette e sanguinose quanto le guerre religiose che precedettero la pace di Westfalia.
Non mi attendo che l’entusiasmo sparisca del tutto. In parte esso andrà certamente a beneficio di quell’ultimo rifugio degli spiriti deboli che è la chiesa di Roma. E alcune sue gocce irrigheranno forse la sterile landa della religiosità protestante. A parte rare eccezioni, i rappresentanti delle classi influenti si volgeranno a modi più razionali di concepire la società e i suoi problemi, cercheranno di sopperire ai suoi più urgenti bisogni, tentando di rendere razionalmente intelligibili i problemi politici a tutti i membri della comunità e d’indicare loro le soluzioni più favorevoli.
Il razionalismo in etica e in politica è necessariamente ottimista perché crede nell’utilità di uno sforzo per produrre il miglioramento. Esso tende a fissare istintivamente la sua attenzione sugli elementi di bontà permanenti in esseri malvagi quali ci ha resi il peccato originale. La nuovissima scoperta di tanta gentilezza, umanità e tanto buon senso nella gente del popolo, fino allora oggetto soltanto di avversione e disgusto, condusse al sentimentalismo che si espresse attraverso la voce del suo gran banditore Rousseau. Sentimentalismo che nella sua marea ascendente riporti le classi dirigenti a quell’entusiasmo che si manifesta nella Rivoluzione francese, tosto seguita dalle guerre napoleoniche.
A quegli anni – un quarto di secolo appena – ne succedettero altrettanti in cui le opinioni furono molto divise: le classi dirigenti, che trovarono i loro tipici rappresentanti in Metternich, Carlo X, il Vaticano, si irrigidirono in una concezione fredda e arida della società e della politica, mentre contro a essa insorgevano indignati gl’intellettuali romantici e creavano il liberalismo della metà del secolo scorso.
Possiamo sperare che al periodo di politica razionale prevedibile dopo questa guerra non seguirà un’ondata di sentimentalismo destinata poi a sfociare in un’altra marea di entusiasmo?
28 aprile 1944
I nazionalisti seguitano a dire che se le truppe italiane si sono rifiutate di collaborare con i tedeschi e se ci sono reclute che si danno alla macchia per non seguire le insegne repubblicane questo avviene non già perché preferiscono gli Alleati all’Asse, ma perché ne hanno già abbastanza di combattere.
I nazionalisti italiani hanno incominciato a parlare in tono sprezzante degli italiani come militari fin dal tempo della sconfitta in Grecia, e siccome gli Alleati non si muovevano e i sovietici sembravano apparentemente ritirarsi, questi stessi nazionalisti italiani sono giunti alla conclusione che i tedeschi sono una razza superiore, invincibile, una razza di eroi, di super uomini. Le vittorie naziste li confermavano sempre più in tale opinione finché non divenne una convinzione vera e propria, anzi una fede che non hanno ancora perduta e forse non perderanno mai.
Come mai questi nazionalisti, sempre intenti a sognare la gloria di Roma e la riconquista del suo antico impero, non si accorgono finalmente che con del materiale così poco guerriero come sarebbe, almeno a sentir loro, il popolo italiano, non c’è neppure da parlare di gloria militare e di conquiste, che i loro calcoli erano sbagliati e che anziché allo splendore e allo sfruttamento del mondo intero hanno condotto il paese alla più spaventosa sconfitta? Anni prima di quell’impresa da filibustieri che fu la campagna d’Abissinia, si dice che Mussolini esclamasse: “Questo paese non produrrà mai dei buoni soldati.” Se era persuaso di questo, com’è che ha iniziato una serie di guerre intese a trasformare il Mediterraneo in un lago italiano, attaccando gl’inglesi, bloccando i francesi, e magari respingendoli fin nel hinterland della Provenza dopo averli espulsi dall’Africa?
Ha davvero ragione Renan quando nel Prêtre de Nemi, che ho già avuto occasione di citare, dice che i peggiori nemici di un popolo sono coloro che lo incoraggiano nei suoi sogni di gloria e di magnificenza. Nulla di più pericoloso della fiducia nei duci, nei Führer, nei messia, a meno che, come gli ebrei ortodossi, si escluda qualsiasi intervento umano e si lasci fare a Dio.
Nonostante tutte le prove della futilità suicida di tale politica, gli annessionisti di ogni paese del continente europeo seguiteranno a spronare i loro connazionali a organizzarsi per la conquista e per l’oppressione dei loro vicini.
La stampa tedesca si sofferma principalmente e diffusamente sui disagi passati e presenti sofferti dalle nazioni alleate; sulla loro sfiducia nei rispettivi governi; sui soldati che non sanno per quale causa combattono; sulla completa subordinazione dell’Inghilterra all’America e di entrambe alla Russia. Ogni giorno viene dedicato un certo spazio agli ebrei, alla loro onnipresenza e onnipotenza e a sottolineare come soltanto nei paesi controllati dal nazismo vengano efficacemente combattute le loro attività velenose e distruttive. Infine, le sofferenze cagionate nei paesi alleati dai bombardamenti tedeschi, dalle restrizioni del vitto, del carbone e della benzina, hanno raggiunto un limite estremo e destano compassione nei loro peggiori nemici. Soltanto sotto la legge nazista ci può essere qualche speranza, soltanto per chi crede nel nuovo Mosè, nel recentissimo messia, nel messo del Valhalla Adolf Hitler, ci può essere sicurezza. Per questi ultimi ci saranno alcuni momenti brutti da passare ma soltanto transitori e presto tutto sarà finito. “Forza ai remi, la terra è in vista!”
Qui a Firenze l’umore di alcuni, se non di tutti i tedeschi, non è tanto allegro. Ufficiali che provengono dal Sud raccontano che gli Alleati stanno deliberatamente marcando il passo senza procedere: talvolta combattono accanitamente per conquistare una posizione e l’abbandonano poche ore dopo.
I soldati semplici, nei lori Soldatenheime, parlano di decapitare Hitler e di fucilare Mussolini.
I tedeschi cominciano ad avere seriamente paura delle bande che occupano tutte le alture circostanti. Sono bene organizzate e bene armate, a quel che si dice. Le truppe tedesche non tengono affatto a misurarsi con esse, e corre voce che le ubriachino prima di mandarcele incontro.
da “Voci e riflessioni 1941-1944”, di Bernard Berenson (traduzione di Guglielmo Alberti), La Nave di Teseo, pagine 640, euro 26