Il lungo crolloPerché le sanzioni più efficaci contro la Russia sono quelle di cui si è parlato di meno

Come scrive anche l’Economist, più che il congelamento delle ricchezze all’estero degli oligarchi o l’estromissione del settore finanziario dalla rete Swift, le vere picconate arrivano dal settore industriale, sul lato import, che il Cremlino non aveva messo in sicurezza

Todd Quackenbush, Unsplash

«Le sanzioni occidentali alla fine danneggeranno l’economia russa. Ma le più efficaci sono quelle di cui si parla di meno». Così l’ultimo numero dell’Economist interviene nel dibattito, nel momento in cui anche in Italia i rincari annunciati del gas scuotono la campagna elettorale, e c’è gente che si chiede se al contraccolpo della guerra economica che accompagna la guerra sul campo cederà prima la Russia o le opinioni pubbliche occidentali.

I media, osserva l’Economist, si sono concentrati sui punti appunto più mediatici. Dalle ricchezze all’estero degli oligarchi che sono state congelate o sequestrate, e che è stato definito «vecchie tattiche su una nuova scala», a un settore finanziario che è stato spinto fuori dai settori internazionali attraverso «nuovi bazooka» tipo l’esclusione delle banche commerciali dalla rete di messaggistica Swift alla immobilizzazione di 300 miliardi di riserve di dollari della banca centrale.

Ma in realtà, osserva la testata, Putin si era preparato da tempo a una guerra finanziaria, e aveva lavorato per isolare il sistema finanziario russo. C’è stato indubbiamente un certo panico, ma anche appoggiandosi a partner come la Cina, la Turchia o l’Iran le banche hanno ammortizzato il colpo. La Russia è comunque un paese con un basso debito estero e molte riserve in valuta estera, e l’Economist osserva che «anche quando le sanzioni hanno più successo, come quando hanno costretto la Libia ad abbandonare le armi di distruzione di massa nel 2003, per regimi passati hanno impiegato anni per produrre effetti». Una ricerca della Bundesbank mostra che tra il 1 febbraio e 30 aprile c’è stato un crollo quasi totale dei trasferimenti di denaro tra le banche russe escluse e la filiale tedesca di Target 2, il sistema per la compensazione dei pagamenti tra banche della zona euro.

«Le alternative allo Swift, come il Telex, sono goffe e lente. Anche i divieti sulle banche di corrispondenza sono potenti. Non solo il dollaro viene utilizzato direttamente per regolare circa il 40% del commercio transfrontaliero, ma funge anche da tappa intermedia in molte transazioni che coinvolgono valute di secondo livello. Ora la Russia deve talvolta ricorrere al baratto, opzione ingombrante e rischiosa». Ma le banche per cui passano gli ancora forti acquisti di carburante russo da parte dell’Europa, in particolare Gazprombank, sono ancora autorizzate a utilizzare Swift. Gran parte del resto viene convogliato, legalmente, attraverso banche più piccole che rimangono collegate alla rete. Fare a meno dei dollari è più complicato. L’India, che sta consumando petrolio russo da febbraio, sta ancora cercando un modo praticabile per pagarlo in rupie. Ma i volumi di scambio yuan-rublo alla borsa di Mosca hanno raggiunto livelli record.

Anche il congelamento delle riserve detenute dalla Banca centrale russa in Occidente, pari a circa la metà della sua scorta totale, ha avuto risultati contrastanti. All’inizio il rublo è crollato del 30%, spingendo la Russia in recessione. A giugno la Russia è stata costretta alla sua prima grave inadempienza del debito estero dopo oltre un secolo, per 100 milioni di dollari. Ma dopo poche settimane il rublo si è ripreso, consentendo di ridurre i tassi. I controlli sui capitali imposti dal governo russo come risposta sono ancora in vigore, ma il gigantesco export di gas e petrolio permette di compensare con nuovi dollari e euro quelli rimasti congelati in Occidente.

Quanto agli oligarchi, a 1.455 di loro è stato vietato di viaggiare in alcuni o tutti i paesi occidentali, o di accedere ai loro beni lì, o entrambi. Tra le attività congelate ci sono depositi bancari e titoli di mercato, ma anche case di campagna, squadre di calcio, gioielli e yacht. E la Russia può fare poco come ritorsione, dal momento che i magnati occidentali in Russia possiedono poco, e molte aziende americane ed europee hanno già cancellato i loro investimenti russi.

Il Dipartimento alla Giustizia Usa vuole ora usare le leggi antimafia per liquidare i beni sequestrati e dare il ricavato all’Ucraina e l’Ue propone di rendere la violazione delle sanzioni un crimine. Ma si stima che solo 50 dei 400 miliardi di dollari di attività offshore bloccate sulla carta siano stati finora effettivamente congelati. Un gran parte del resto è stato nascosto attraverso una quantità di società di comodo costituite in una quantità di paradisi fiscali, dalle Cayman e Jersey. Altri sono passati a parenti e prestanome. e molte sanzioni sono demandate a privati che spesso non hanno né mezzi né voglia per andare a fondo.

Osserva inoltre l’Economist che non è chiaro se davvero il congelamento dei beni produrrà gravi danni all’economia russa. «La maggior parte degli oligarchi ha poca influenza politica. Un ex-boss dell’energia ucraino ritiene che Vladimir Putin, il presidente della Russia, sia abbastanza felice di vederli ridimensionati». Non lo dice l’Economist, ma viene ipotizzato da alcuni commentatori dentro a cose russe – in condizioni di anonimato – che appunto il malcontento di oligarchi e settori dei Servizi per una guerra che crea problemi potrebbe essere all’origine dell’attentato contro Darya Dugina. Insomma, un avvertimento allo zar, attraverso un personaggio che in realtà contava poco se non nulla, ma aveva una certa risonanza internazionale. Ma è evidentemente uno scenario ancora molto confuso.

Nuove dimensioni ha assunto anche il “terzo tipo” di sanzioni, con divieti di esportazione globali che in precedenza avevano preso di mira singole imprese. Non un intero paese. Ma l’Ue ha approvato il suo settimo pacchetto a luglio, e non solo la fortezza Russia regge, ma intanto crescono appunto i prezzi del gas e i costi politici. Usa e Ue stanno acquistano meno petrolio, compensato però dagli acquisti di India e Cina. Sul gas non c’è embargo, e anzi è Putin che lo taglia per fare pressione. C’è comunque una previsione che la Russia per fine 2022 dovrà tagliare la produzione di petrolio di 1,1 milioni di barili, equivalente a circa il 14% delle esportazioni dell’anno scorso. Ma potrebbe saltare, se l’inverno è rigido.

Insomma, per l’Economist a colpire non sono tanto le sanzioni sull’import dalla Russia, ma sull’export in Russia. In particolare sul sistema industriale, per cui Putin non aveva avuto tempo o forse voglia di fare un lavoro di diversificazione analogo. Su questo punto, l’Economist inizia dal trasporto aereo, di cui si è già occupata anche Linkiesta e che attira di più l’attenzione proprio perché riguarda il più diffuso approccio tra russi e occidentali. Come già avevamo ricordato, poiché i tre quarti della flotta commerciale del Paese proviene dall’America, dall’Europa o dal Canada e le parti sono necessarie per le riparazioni, per evitare il collasso che veniva pronosticato prima dell’estate le compagnie aeree russe sono state costrette a cannibalizzare gli aerei, togliendo ad alcuni le parti necessarie per far volare altre. Qui i danni sono già fatti, anche se secondo questa analisi «ci vorrà del tempo prima che si concretizzino».

Ma ancora più indicativo è per l’Economist il settore industriale, di cui pure Linkiesta si era occupata per via della comparsa di vari rapporti. Qui si parla di un calo del 7% dell’industria manifatturiera tra dicembre e giugno, proprio per mancanza di componenti. «A salve successive da febbraio, i governi occidentali hanno reso obbligatorio per una serie di industrie nazionali richiedere licenze prima di vendere in Russia, e raramente queste vengono concesse. Le restrizioni vanno ben oltre i prodotti “a doppio uso” – quelli con applicazioni sia militari che commerciali, come droni e laser – per coprire kit avanzati come chip, computer, software e apparecchiature energetiche. Mirano anche a beni a bassa tecnologia, come prodotti chimici e materie prime, che di solito sono soggetti a restrizioni solo se fissati per l’Iran o la Corea del Nord».

Le esportazioni globali di chip in Russia sono diminuite del 90% rispetto allo scorso anno. Come ricordato da Linkiesta, a un certo punto i russi hanno iniziato a mettere chip di frigoriferi e lavastoviglie nei carri armati. Anche altri settori, dall’estrazione mineraria ai trasporti, richiedono componenti e competenze straniere per eseguire la manutenzione. «Un fornitore tedesco della metropolitana di Mosca stima che, se interrompesse la manutenzione, la rete subirebbe interruzioni entro un mese e sarebbe paralizzata dopo tre». La Russia ha anche bisogno di software e hardware per sviluppare nuovi prodotti, dall’elettronica di consumo alle auto elettriche.

Come ricordato anche da Linkiesta, il crollo della produzione manifatturiera è stata trainata dalle automobili: -90%. Ma c’è anche un -25% della farmaceutica e un -15% per le apparecchiature elettriche. A maggio la Russia ha allentato gli standard di sicurezza per consentire la produzione di auto senza airbag e freni antibloccaggio. La mancanza di kit high-tech ha ostacolato il lancio del 5G in Russia. I campioni del cloud computing sono in crisi. La carenza di chip sta ostacolando l’emissione di nuove carte di plastica su Mir, il sistema di pagamento nazionale. La mancanza di navi specializzate potrebbe ostacolare i piani di perforazione artica della Russia; una carenza di tecnologia e know-how stranieri potrebbe persino rallentare il petrolio e il gas della vecchia scuola. Anche le industrie di base, come l’estrazione e la raffinazione dei metalli, sono crollate.

La Russia ha cercato di compensare ricorrendo al mercato nero in Africa e Asia, e a giugno è stato consentendo alle aziende russe di importare merci come server e telefoni senza il consenso del titolare del marchio. Ci sono perfino tour operator che organizzano tour ad acquistare carte Visa in Uzbekistan. Ma le aziende cinesi, che di solito forniscono un quarto delle importazioni russe, non collaborano, per timore di essere a loro volta private dell’accesso a componenti occidentali essenziali. Col tempo sarà dunque inevitabile un grave deterioramento dell’apparato produttivo.

Anche l’Economist cita i rapporti sulla fuga di imprese occidentali e cervelli, che accentueranno i problemi. E l’Fmi prevede per il 2025-26 un tassi di crescita dimezzato. Insomma, «finché l’America e i suoi alleati manterranno le loro sanzioni, la spina dorsale industriale, la forza intellettuale e i legami internazionali della Russia svaniranno e il suo futuro sarà caratterizzato da produttività in calo, poca innovazione e inflazione strutturale. Gli economisti hanno sbagliato a prevedere un crollo istantaneo. Quello che sta ottenendo la Russia, invece, è un biglietto di sola andata verso il nulla».

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