Sono efficaci le sanzioni alla Russia? Otto giorni fa Linkiesta aveva riportato dati secondo cui il loro impatto sarebbe già pesante, e che derivavano sia da dichiarazioni del presidente di Eurasia Group Ian Bremmer, sia da un rapporto della Yale School of Management. Ma sul punto ieri è uscito un rapporto ancora più dettagliato della Kyiv School of Economics in collaborazione con lo Yermak-McFaul Expert Group on Russian Sanctions. Lo studio ha usato fonti come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Agenzia Internazionale per l’Energia e la Banca Centrale Russa. E le conclusioni sono che «le sanzioni occidentali colpiscono nel segno».
Nonostante gli elevati prezzi del petrolio e del gas, infatti, la stessa agenzia statistica russa Rosstat ammette che l’economia russa si è indebolita nel secondo trimestre del 2022, con un calo del 4,9% su base annua. Ciò mentre altri esportatori di petrolio e gas crescevano invece alla grande: l’Arabia Saudita addirittura dell’11,8% (nel secondo trimestre del 2022). Il direttore della Sberbank, una delle principali banche russe, ha dichiarato che potrebbero essere necessari anche dieci anni per riportare il Pil russo al livello del 2021. Ma bisogna contare che nel 2023, con l’attuazione dell’embargo petrolifero europeo, i ricavi da petrolio e gas si ridurranno del 40%: da circa 330 miliardi di dollari nel 2022 a 190 miliardi di dollari, per arrivare a fine anno al ritmo critico di 150 miliardi di dollari. Una risorsa che finora aveva sostenuto quel forte avanzo delle partite correnti indispensabile per stabilizzare il rublo, controllare l’inflazione e consentire alla Banca centrale russa di tagliare i tassi.
La Russia di Putin ha già avuto crisi di bilancio dei pagamenti nel 2008, nel biennio 2014-15 e nel 2020, quando i ricavi del petrolio e del gas diminuirono drasticamente. Con il rublo sotto pressione, la capacità di condurre una guerra contro l’Ucraina si indebolirà. E se l’Europa smetterà di acquistare il gas russo – cosa possibile immediatamente, secondo l’istituto Kse – le entrate l’anno prossimo scenderanno a un livello criticamente basso.
La Banca centrale russa ha riferito che il prezzo medio di vendita del petrolio russo nel secondo trimestre è stato leggermente inferiore agli 80 dollari al barile, quando prima il prezzo medio era di 113 dollari. Si conferma così uno sconto sul prodotto russo di circa 35 dollari al barile, come precedentemente stimato. Ma già ciò implica una perdita di circa 20 miliardi di dollari sui guadagni petroliferi del secondo trimestre.
È la Banca centrale russa stessa, poi, ad ammettere l’esistenza di una corsa agli sportelli bancari nella prima metà del 2022. Presi dal panico, pur di avere contanti sotto mano i cittadini hanno ritirato 21,6 miliardi di dollari di depositi, sottraendo liquidità alle banche.
Per finanziare un aumento di oltre 2,5 volte del budget della difesa, la sostituzione delle importazioni e altre misure per contrastare le sanzioni, il Cremlino ha dovuto inoltre bloccare programmi di bilancio previsti per il 2023-2025 per un valore di 26 miliardi di dollari. Questo va ad aggiungersi ai tagli al bilancio già in atto. Ad aprile, è stata ridotta di quasi un terzo la spesa per i servizi sanitari per la popolazione.
Il Fmi prevede che la disoccupazione nella Federazione Russa raggiungerà il 9,3% nel 2022, il che equivarrebbe a circa 3,8 milioni di disoccupati in più. Secondo le stime del Centro russo per la ricerca strategica, entro la fine del 2022 ci sarà un aumento significativo della disoccupazione nel 63% delle regioni russe; in 16 regioni la disoccupazione aumenterà rispetto al livello medio del periodo gennaio-marzo 2022 di 2 o più volte, in 53 regioni di 1,5 o più. I 5 settori più colpiti sono: trasporti e logistica, automotive, commercio all’ingrosso e e-commerce, industria del legno e prodotti in legno.
Secondo Rosstat, i salari effettivi in Russia a maggio sono scesi del 6,1% su base annua, mentre ad aprile il calo era stato registrato al livello di -7,2%, per la prima volta dall’anno precedente. Il massimo degli ultimi sette anni, anche più del 2015 quando il prezzo del petrolio e le prime sanzioni occidentali, dovute all’annessione della Crimea, avevano innescato una grave crisi, con il crollo del rublo e un aumento dell’inflazione.
Dulcis in fundo, tra gli effetti della decisione di Putin di invadere l’Ucraina c’è anche una “fuga di cervelli” senza precedenti. Il Ministero degli Affari Interni ha dichiarato che, a causa dell’emigrazione, solo l’industria informatica manca di circa 170.000 lavoratori a causa dell’elevato numero di russi competenti che fuggono in Occidente verso posti di lavoro maggiormente retribuiti.
I dati che emergono sono così deprimenti che Putin ha iniziato a censurarli. Ad aprile è stato ordinato alle banche russe di non divulgare i bilanci intermedi e annuali. E il mese scorso, il presidente russo ha anche firmato una legge che consente al Cremlino di nascondere le informazioni relative al valore e alla struttura delle sue riserve internazionali in diminuzione. Ora sono classificati come segreto di Stato.