Se c’è un carattere distintivo che distingue un’auto da un’altra è proprio la sua voce. «In un mondo che sarà presto dominato dal silenzio della mobilità elettrica, il suono continuerà a essere un tratto capace di fare la differenza».
Parola di Renzo Vitale, sound designer e personaggio visionario che da più di cinque anni crea il giusto sound per il gruppo Bmw. Arrivato in quel di Monaco da New York, oggi, anziché rendere le auto più silenziose, dà loro voce: sotto la barriera dei 30 km/h emettono già così poco rumore che le legislazioni richiedono che venga inserito un suono per richiamare l’attenzione.
Il suono è anche informazione, non solo rumore: la sfida è che si inserisca in maniera discreta nell’ambiente, come ci racconta Renzo Vitale, Bmw sound designer.
Sei pianista, compositore, sound designer, ingegnere acustico: sotto quali aspetti, in base alle tue esperienze anche precedenti a Bmw, arte e scienza riescono a toccarsi per poi fondersi?
Come Direttore creativo del suono del gruppo Bmw ho la responsabilità di definire il linguaggio sonoro con cui i veicoli si presentano al pubblico. Se da pianista ero abituato a un’audience di 500 persone a serata, quando penso che le nostre auto arrivano a milioni di utenti mi rendo conto anche della responsabilità che ha il mio mestiere. Sono entrato in Bmw come ingegnere acustico e mi occupavo della fisica dei rumori di “disturbo” all’interno dell’automotive. Dovevo individuare la catena causa-effetto per poter annullare questi fenomeni. Tra suoni e rumori c’è un confine labile.
La sfida è stata grande, ma l’approccio vincente è stato considerare il suono del motore elettrico come fosse un’installazione d’arte, dove il guidatore è il performer, l’interprete. Questo ha cambiato prospettiva e creazione. Sono passati cinque anni da quando abbiamo iniziato nel 2017 e oggi abbiamo portato su strada i primi suoni che sono un vero e proprio linguaggio sonoro innovativo per il mondo automotive. Scienza e musica sono due lati della stessa medaglia per me. Vengo dalla terra di Leonardo e quindi tra un elicottero e una Gioconda è sempre la creatività che guida la mano e la mente.
Come si costruisce il sound di un motore che suono non ha? Associamo l’accelerazione di un’automobile tradizionale alla potenza, al brivido: è lo stesso per le auto elettriche o la loro “anima green” impone una sensibilità diversa?
La ricerca dei suoni arriva sempre alla fine del processo di creazione. Parto dall’astrazione e mi chiedo: cosa mi vuole dire l’auto? Per me sono come delle creature che “parlano”. Cerco la loro voce interiore. Al tempo stesso non faccio altro che riportare alla luce i ricordi dei bambini di domani. Immagino che il suono della macchina sia l’annuncio dell’arrivo a casa del papà o della mamma. Un suono inconfondibile. Per farlo uso una sorta di vocabolario sonoro e identitario. Definisco delle sensazioni e poi le trasformo in sound.
Non escludo nessun suono, dagli elementi della natura agli algoritmi digitali, fino agli strumenti di una vera orchestra. Poi tutti questi “ingredienti” vengono montati insieme tenendo sempre presente l’elemento umano. A volte registriamo proprio la voce umana e la trasformiamo in una traccia: conversazioni di donne, per esempio, che poi campionate diventano un accordo per una sovrapposizione di layer sonori. Dalle basse frequenze alle alte frequenze ho imparato a incorporare tanti elementi differenti che creano quello che alla fine del processo chiamiamo sound e che non è altro che l’insieme di tanti livelli di significante. Usare le voci di donne per interpretare il rombo di un motore elettrico è una bella sfida, anche dal punto di vista dell’inclusione e della diversità. Implica ragionare sull’accoglienza, sull’abbraccio che divengono una linea guida.
Cos’è per te il silenzio?
Ci consente di ascoltarci e di scoprire noi stessi e gli altri. Cerchiamo sempre di evadere dal silenzio, ma è una risorsa oltre che un rifugio. Nei nostri veicoli c’è una sola regola: che il silenzio sia accessibile in qualsiasi condizione.
Pensando al tuo passato artistico, quando a New York immaginavi mondi onirici di suoni e visioni, come «la piramide frammentata, con progettazione di musica algoritmica», dove facevi una performance completamente nudo, dipinto di nero e immerso in un fluido non newtoniano… Ecco, cosa ti manca di quel periodo sperimentale e che cosa hai portato nel tuo lavoro quotidiano di tutto ciò?
Ho portato con me la capacità di osservare il suono da diverse prospettive. Amo chi è capace di andare oltre la singola disciplina come Iannis Xenakis, architetto e ingegnere, ma anche compositore. La musica è solo una parte dell’ispirazione, e questo mi è stato chiaro anche quando ho lavorato con il premio Oscar e compositore Hans Zimmer dove abbiamo utilizzato diverse opere, per esempio quelle di Olafur Eliasson o James Turrell, artista della luce per antonomasia. E comunque a fine giugno presento a Monaco una mia opera audiovisiva a cui ho lavorato per 7 anni!