Fatti contro propagandaLa disinformazione del Cremlino sulle sanzioni smentita punto per punto

Nonostante le fake news diffuse dal Cremlino per indebolire la morsa delle sanzioni, l’economia del Paese è in crisi, le industrie vanno a rilento in mancanza di materiali e di lavoratori specializzati. Anche la vita quotidiana è peggiorata in maniera sensibile

Mikhail Metzel, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP

Non è vero che l’economia russa non risente delle sanzioni. Non è vero nemmeno che riesce a trovare nuovi partner commerciali. E non è vero che la popolazione, nella sua vita di tutti i giorni, non sia stata colpita. Da quando la comunità internazionale ha imposto nuove sanzioni alla Russia in risposta alla sua invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio, il Cremlino ha diffuso false informazioni sulla loro efficacia e ne ha negato o minimizzato gli effetti.

Come spiega questo documento del Dipartimento di Stato americano, i fatti – comprovati da numerosi studi, come questo di Yale – dicono il contrario, smentendo una a una le bugie russe.

Secondo Mosca, l’economia russa è abbastanza forte da resistere all’effetto delle sanzioni. Anzi, a esserne più colpito è l’Occidente stesso.

In realtà le sanzioni funzionano benissimo e lo ammette perfino Elvira Nabiullina, a capo della Banca Centrale russa («L’attività economica è in declino. La cessazione di relazioni economiche di lungo periodo avrà un impatto negativo»). Del resto la Russia non riesce a produrre versioni domestiche dei prodotti che prima comprava da fuori, nemmeno autorizzando il furto di proprietà intellettuale dai cosiddetti “Paesi ostili”. Da tempo i cittadini più qualificati hanno lasciato o stanno lasciando il Paese per prospettive migliori. Mancano ricercatori, esperti tecnici, imprenditori, professori. Se anche riuscisse a ricostruire la propria economia senza affidarsi a materiali provenienti dai Paesi che la hanno sanzionata, non avrebbe una forza lavoro sufficientemente istruita per farla funzionare.

Dire che le sanzioni non incidono perché Mosca può cambiare partner commerciali, rivolgendosi a quelli che non l’hanno sanzionata, è un’altra falsità.

Come dimostrano i dati, la Russia non riesce a trovare acquirenti e venditori nuovi. Le sue importazioni sono crollate del 50% da febbraio. La carenza di prodotti di alta tecnologia si fa sentire (già) sul campo di battaglia, con l’esercito obbligato a togliere i microchip da frigoriferi e lavastoviglie per far funzionare l’equipaggiamento militare. Per quanto riguarda i rapporti privilegiati con la Cina, va notato che la relazione è sbilanciata in favore di Pechino. Nel 2021 la Repubblica Popolare cinese è risultata il primo Paese importatore, mentre la Russia era soltanto l’11 compratore. E da quando è cominciata la guerra, le esportazioni cinesi in Russia sono crollate del 50%. Ridicolo poi affermare, come hanno fatto alcuni funzionari russi, che non c’è problema a spostare le forniture di gas verso Oriente, dal momento che il 90% del gas e del petrolio russo è trasportato via terra lungo pipeline connesse – indovina un po’ – con i mercati e le raffinerie europee. Per cambiare assetto occorrerebbe costruire nuove linee o rafforzare i trasporti marittimi. Tutte cose che richiedono parecchio tempo.

Anche le performance del rublo, che dopo un crollo iniziale è tornato a crescere in poco, hanno dato luogo a narrazioni farlocche. Tuttavia non si tratta di un riflesso delle buone prestazioni dell’economia, ma soltanto del risultato delle misure messe in campo da Putin per tenerlo in piedi in modo artificiale, a discapito della popolazione e delle attività produttive. I cittadini, per legge, non possono più mandare soldi all’estero né le banche vendere dollari, mentre le aziende locali di import-export sono obbligate a cambiare in rubli l’80% dei loro guadagni, quelle straniere a pagare i debiti in rubli. Tutte mosse che hanno drogato il valore del rublo, portandolo a valori irreali.

Tutte queste cose, messe insieme, vanno a colpire la popolazione nella sua quotidianità. La qualità della vita è calata in modo drastico: più di mille società hanno lasciato il Paese, privando i cittadini dei loro beni e servizi (e posti di lavoro). Non solo: l’aumento dei prezzi ha colpito alcuni settori vitali, come la sanità, riducendone i servizi, o ha fatto aumentare il costo delle automobili, provocando un calo delle vendite dell’84% (in generale la produzione domestica risente della difficoltà di trovare airbag o sistemi di freno automatici).

Insomma, il peso delle sanzioni, anche se le autorità russe cerchino di far credere il contrario, è sempre più schiacciante: si fa sentire in tutti gli ambiti e colpisce tutta la popolazione. I danni che provoca sono profondi e avranno effetti di lunga durata. E soprattutto, nonostante la cappa della propaganda, se ne stanno accorgendo tutti

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