«Da tutta la vita mi sveglio, prendo il caffè e ammiro la mia terra, la Sicilia, saluto l’Etna e guardo il mare». Inizia così a raccontare il suo amore per la sua regione meravigliosa Massimo Mantarro, chef del ristorante Il Principe Cerami, chicca gourmet del San Domenico Palace di Taormina, un Four Seasons Hotel. L’abbondanza delle materie prime passa attraverso la fantasia e la storia dello chef, e le sue preziose rivisitazioni sono intense e cariche di storia.
Nelle sue ricette ritroviamo tutte le identità che caratterizzano l’isola e la rendono uno straordinario concentrato di biodiversità, di natura prorompente e di bellezza: «Se oggi vai sul vulcano mangi funghi, finocchietto selvatico, ricotta e pomodoro. E sono questi gli ingredienti che ho scelto per creare lo spaghetto al Cerami e portare anche i colori del vulcano in tavola. Ho utilizzato solo grani autoctoni e una tipologia di pasta che qui in Sicilia si mangia spesso; ho inserito il pane, fatto con la cenere, per ricordarmi il giorno in cui a casa mia madre lo preparava» spiega lo chef. Ma come nascono queste suggestioni che uniscono ricordi e memorie, ingredienti e cucina di casa? È sempre Mantarri a spiegarcelo: «Ricordo chiaramente che da noi il pane si faceva il martedì, perché il lievito madre si passava di casa in casa e da noi arrivava quel giorno. Correvo da mia madre per avere una fetta di pane caldo, anche se poi l’avrei mangiato per tutta la settimana, nella sua evoluzione. Più i giorni trascorrevano e più il pane prendeva forme diverse, dal pane con lo zucchero a merenda, al pane secco nelle zuppe a cena, alla “scarpetta” che facevo nel sugo che si preparava in casa per i maccheroni, mentre aspettavo il pranzo. Così quando preparo gli spaghettoni mi ricordo proprio quei martedì. La maggior parte dei piatti li cucino nella mia testa, mentre guido o ascolto i produttori, prima ancora che ai fornelli. Rivivo le emozioni della mia crescita e mi ricordo le tradizioni di quest’isola e di come ogni elemento, anche banale, diventasse eccezionale – è questo che ogni volta cerco di creare nei miei piatti».
Sembra di ascoltare storie di un tempo antico, e invece siamo a poche decine di anni fa, un tempo ovattato e diverso, che rivive grazie alle suggestioni nel piatto che questo brillante interprete della cucina italiana sta costruendo per i suoi commensali. Che ricorda anche quanto la nostra ossessione reducetariana sia semplicemente l’aver dato un nome più cool a una pratica di povertà e moderazione che era semplicemente parte della vita contadina: «La Sicilia è un’isola che da sempre vive di mare e di agricoltura, la carne si mangiava solo una volta a settimana. Credo che ciò che oggi pensiamo sia una moda, la scelta del vegetale, sia in realtà un fortissimo richiamo al nostro passato. Nel mio menu il vegetale è molto presente. Arcimboldo, che propongo come antipasto, ne è l’emblema e ho deciso di crearlo perché mi sono ricordato della cicerchia, un legume che mia madre mi obbligava a mangiare da bambino e come tutti i bambini, non volevo farlo. Oggi la cicerchia è protagonista alla mia tavola».
Questo ritorno al passato, con la mediazione del contemporaneo, è una scelta che passa anche dai viaggi che lo chef ha fatto nella sua carriera: «Ho viaggiato e cucinato in giro per Italia e in Francia, prima di tornare qui, dove ho potuto continuare a sviluppare nuove opportunità di crescita anche in altre realtà, pur lavorando al San Domenico. Ho vissuto in prima persona le cucine di diversi chef pluripremiati, grazie all’investimento di una proprietà di questo storico hotel, che aveva il desiderio di aprire un ristorante gastronomico al suo interno. È nelle cucine di questi grandi chef che ho compreso la loro filosofia e, studiando, ho rielaborato e creato la mia personale visione».
Ma a sorpresa, non è siciliano il piatto che questo chef così legato alla sua terra ama di più cucinare, anche se della sua Sicilia prende i sapori più identitari: «Cucino da 33 anni e oggi il piatto che più mi rappresenta è il risotto. A 19 anni ho imparato a vivere il riso, a cuocerlo, a sentirlo suonare in casseruola e vederne le elaborazioni dei diversi cuochi, finché ho pensato di creare il mio, interpretandolo come elogio alla Sicilia, dove le sarde sono protagoniste: il “Carnaroli, alicette, finocchietto, pistacchio di Bronte“ è nato così, dal sapore intenso delle alici, dal pistacchio e finocchietto dell’isola e dal ragusano, che è per noi il parmigiano. Questo piatto, con un elemento così semplice, ma nobile, l’ho sviluppato nei miei spostamenti fin da ragazzo e oggi è uno dei più amati del mio menu al Principe Cerami».