Parla Alex MajoliIl vero ruolo della fotografia è un enigma, anche per i professionisti più navigati

«Le foto ci sono, ma perché ci devono essere?», si chiede il romagnolo classe 1971, membro della Magnum Photos e direttore artistico della nuova edizione del SI Fest. Ha raccontato gli scontri nell’ex Jugoslavia e guardato negli occhi i talebani, ma non ha dubbi: «Consiglierei ai fotoreporter in erba di non mettere piede in nessuna guerra, perché c’è sempre di meglio da fare»

Courtesy of SI Fest

A nemmeno vent’anni ha catturato attimi eterni della guerra dell’ex Jugoslavia. Ha portato a termine reportage sull’America Latina, l’Iraq, il Ruanda. Ha fotografato i talebani in Afghanistan. Eppure, casa è sempre casa. E per Alex Majoli, fotografo classe 1971 membro della prestigiosa agenzia Magnum Photos (di cui è stato presidente dal 2011 al 2014), quel concetto è racchiuso nella Romagna. È proprio lì, più precisamente a Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena), che tornerà a breve in qualità di direttore artistico della trentunesima edizione di uno dei festival della fotografia più importanti d’Europa. 

Stiamo parlando del SI Fest, che sarà spalmato su tre appuntamenti diversi: dal 9 all’11 settembre, dal 17 al 18 settembre, dall’1 al 2 ottobre. Una rassegna di 20 mostre internazionali sparse per i luoghi (come ad esempio le scuole) di una città divenuta celebre grazie a questo evento nato nel 1992. 

Foto dal SI Fest: Michele Sibiloni, Nsenene (Courtesy of SI Fest)

In molti sono passati da Savignano prima di cominciare una carriera di altissimo livello. Tra di loro c’è anche Majoli, che vent’anni fa mise in bacheca il Premio Marco Pesaresi, un concorso fotografico per giovani promesse organizzato dal SI Fest. Una sorta di cerchio che si chiude per il fotoreporter di Ravenna (residente a New York), alla sua prima esperienza in assoluto come direttore artistico. Schietto, pragmatico e con le scene cruente della guerra ancora negli occhi, Majoli è pronto ad ammirare gli effetti concreti di un lavoro lungo, pensato anche (e soprattutto) per le nuove leve desiderose di imparare il mestiere dai migliori. 

Perché SI Fest è anche un laboratorio culturale, capace analizzare il mondo della fotografia dalle angolazioni più remote. Ma non per questo meno rilevanti. In vista dell’inizio del festival, Linkiesta Eccetera ha scambiato qualche battuta con Alex Majoli, un professionista che sa andare dritto al punto senza troppi fronzoli. Non solo con la sua macchina fotografica. 

Qual è il fil rouge che unisce le mostre del SI Fest? 
«Se mai ci sia veramente, consiste nel fornire strumenti alternativi ai docenti di Savignano per le loro lezioni e, allo stesso tempo, far fare un ripassino a noi fotografi di professione». 

Foto dal SI Fest: Ilaria Sagaria, Piena di grazia (Courtesy of SI Fest)

Sei un fotografo in piena attività che ha in mano la direzione artistica di un festival di questo calibro. È un po’ come uscire dalla comfort zone? Qual è la sfida principale di questa avventura?
«La sfida è fare un festival con pochissimo budget, sperando che siano le idee a dar forza al festival più che i ghirigori e gli autoelogi. Non è facile portare nell’agorà del 2022 temi fotografici che non siano già esauriti nel momento stesso in cui si posta su Instagram. A proposito della comfort zone, io personalmente mi sento molto meno confortevole come fotografo che art director. Semplicemente, cerco di “tirare giù” le mie idee su come utilizzare i pochi soldi a disposizione al meglio, senza buttarli. E poi amen, come fotografo i problemi da risolvere sono molto più contorti». 

Uno scatto di Alex Majoli durante la guerra in Ucraina (courtesy of Alex Majoli)

Per te è un ritorno a casa: 20 anni fa hai vinto il Premio Marco Pesaresi, concorso del SI FEST, grazie a “Hotel Marinum”, reportage in cui hai fotografato diverse città portuali in giro per il mondo. Cosa rappresenta per te quel lavoro?
«Rappresenta un labirinto senza fine, come molti dei miei progetti. Le foto ci sono, ma perché ci devono essere? Questo è un po’ il pensiero che mi assale quando penso a lunghi progetti come quello». 

Com’è cambiato il fotogiornalismo di guerra negli ultimi 20 anni?
«Solo nella tecnologia, esattamente come la guerra, il resto rimane lo stesso». 

Una foto scattata da Majoli a Seriate (BG), durante la fase acuta della pandemia da Coronavirus (courtesy of Alex Majoli)

Cosa consiglieresti a un adolescente che sogna di diventare un fotoreporter?
«Di non mettere piede in nessuna guerra: c’è sempre di meglio da fare». 

Per chiudere, una domanda che sembra banale ma che, in realtà, è l’essenza di tutto: cos’è per te la fotografia?
«Per me la fotografia rappresenta 12 ore al giorno per almeno 35 anni della mia vita: abbastanza preoccupante».

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