A PolignanoPino Pascali come non l’avete mai visto, davanti all’obiettivo di Ugo Mulas

Una mostra con più di 40 immagini in bianco e nero, semi-sconosciute o mai esposte per intero, in grado di tracciare un inedito ritratto dell’artista pugliese. Un viaggio tra arte, moda, editoria e rappresentazione della mascolinità

Pino Pascali, Venezia, Biennale 1968_Fotografie Ugo Mulas © Eredi Ugo Mulas. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia

Il suo ritratto più famoso, scattato da uno dei grandi obiettivi del secolo scorso, dietro la commissione – stupore in sala – di un giornale di moda: Pino Pascali (1935-1968), uno dei più alti esponenti dell’arte povera italiana, guarda nell’obiettivo di Ugo Mulas (1928-1973), interagendo con una delle sue opere, Cavalletto, in un fotogramma che poi è diventato il principale riferimento fotografico, quando si parla dell’artista nato a Polignano a Mare. 

Una serie che nessuno aveva mai visto nella sua totalità, o ne sapesse per intero la storia. Un mistero raccontato da “Dialoghi: Pino Pascali e Ugo Mulas”, mostra curata da Alessio de’ Navasques, in collaborazione con l’Archivio Ugo Mulas, visitabile fino al 2 ottobre 2022 proprio alla Fondazione Museo Pino Pascali, nella città pugliese sul mare dove l’artista nacque. 

Un percorso che risulta interessante non solo dal mero punto di vista della memoria storica, sulla quale – complici i social – siamo sempre più deboli, ma anche da quello della rappresentazione della mascolinità. A commissionare quelle foto a Mulas fu l’allora direttore de L’Uomo Vogue, Flavio Lucchini, grande rimosso collettivo nella storia dell’editoria italiana. 

Pino Pascali e Michelle Coudray Roma 1968_Fotografie Ugo Mulas © Eredi Ugo Mulas. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano_Napoli

Quest’ultimo, nelle sue parole ad Artribune nel 2017, raccontava come la rivista non fosse nata «per dare consigli agli uomini su come vestirsi alla moda, come succede per le donne, ma voleva ribellarsi al modo di vestire tradizionale e borghese dei nostri genitori, sia dei ceti ricchi che poveri. In Italia L’Uomo Vogue fu la bandiera del cambiamento. Divenne il portavoce dei nuovi stilisti che fecero scomparire il sarto su misura. Contribuì alla scoperta e all’adozione dello stile militare (l’eschimo divenne il padre di tante versioni sportswear) tanto che Giorgio Armani realizzò su mia richiesta un’intera collezione per la nostra testata».  

Comprensibile, quindi, perché una visione editoriale così iconoclasta mettesse al centro del discorso non tendenze sulfuree indossate da modelli professionisti – che ancora, formalmente, non esistevano – ma artisti, letterati, imprenditori, uomini attivi protagonisti del proprio tempo, che si facevano testimonianza vivente di uno stile che stava, letteralmente, cambiando pelle. 

Di quel servizio intero scattato a Pascali, nei quali l’artista e performer indossava la sua uniforme – con i vestiti sempre uguali, acquistati tra i mercatini di Porta Portese, forse per sfuggire alla seduzione massificante della moda – una sola fotografia venne poi pubblicata, postuma, nel 1969, anche se Mulas ritrasse Pascali in altre occasioni. 

Pino Pascali, Roma 1968 _Fotografie Ugo Mulas © Eredi Ugo Mulas. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, MilanoNapoli.jpg

All’interno del percorso espositivo sono visibili alcuni tra gli scatti più famosi che il fotografo milanese – resident guest del Bar Jamaica, come molti dei suoi colleghi e letterati di stanza a Milano – eseguì. Compresi quelli a Roma, dove Pascali è ritratto sul lungo Tevere, in commoventi momenti di quotidiano romanticismo con la sua compagna, Michelle Coudray. Immagini che hanno consegnato all’eternità un’idea di giovinezza in controluce, tenera e ribelle al tempo stesso. 

La mostra è però anche occasione più ampia per raccontare come la rivista del portfolio Condé Nast sia stata capace, alle sue origini – nacque nel 1967 – di essere tramite documentaristico di un preciso momento storico, più che mero raccoglitore di tendenze e oggetti. Al suo interno spicca infatti anche l’intero servizio Sette più sette artisti d’oggi, le opere e i loro abiti, che nel 1969 mette di fronte all’obiettivo altrettanti esponenti della scena culturale dell’epoca, con il loro eclettico guardaroba. 

Fa parte di questa serie uno dei più famosi ritratti di Giangiacomo Feltrinelli, in pelliccia di lontra di Jole Veneziani, e colbacco, volutamente simile ad uno dei personaggi dei romanzi di Boris Pasternak, autore di cui, per primo, in Italia, intravide l’immenso talento, e ne pubblicò le opere. 

Exhibition view (Courtesy of Archivio Ugo Mulas)

Tra gli altri spiccano Alighiero Boetti, Lucio Fontana, Ettore Sottsass, Aldo Mondino e Getulio Alviani, vestiti in outfit che probabilmente hanno ispirato diverse collezioni di Prada, come nel caso di Alighiero Boetti, bardato in un cappotto di pelle con pelliccia, similissimo agli Adrien Brody ai Tim Roth e ai Gary Oldman che hanno sfilato in cappotti regimental, dal sapore militare, nella fall winter 2012-2013, così come ai Kyle McLachlan e Jeff Goldblum dell’autunno-inverno 2022, chiamati a fare da modelli in una sfilata che si è fatta elegia della quotidianità, e delle uniformi che gli uomini di oggi usano, nel loro vivere comune, lontano dagli eventi e dalle occasioni formali.

Foto, quelle della mostra, da guardare e riguardare, per rendersi conto non solo di quanto nel recente passato gli uomini italiani siano stati molto più “coraggiosi” ed eclettici con il loro stile personale di quanto lo siano oggi (nonostante una nuova consapevolezza sociale che dovrebbe averci liberato di una serie di polverosi dogmi, anche stilistici), ma anche di quanto le riviste di moda – da sempre considerate materiale futile, carta rubata al cesto dei rifiuti – possano e debbano raccontare lo sviluppo della società attraverso lo sviluppo del costume. Una missione della quale, purtroppo, in molti si sono dimenticati.

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