Il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha già detto che voterà per il Partito democratico. «Non credo sia sorprendente, anche se non ho mai avuto la tessera ho sempre votato per il Pd», spiega a Repubblica. «È una questione di valori e di visione della società, ma al di là dei leader, che attraggono molto l’attenzione del cittadino, un sindaco ha il dovere di guardare alla qualità della classe dirigente e Milano ha bisogno di interlocutori giusti in Parlamento. Un bravo parlamentare, capace di presentare emendamenti, di aggiustare un decreto, è spesso più importante di un premier o di un ministro».
Non è tanto una questione di «voto utile». Perché, spiega, «in democrazia ogni voto è utile. Ma la nostra pessima legge elettorale non è un proporzionale corretto, io lo chiamo sproporzionale: è oggettivo che nei collegi uninominali la sfida sia a due, e siccome un terzo del nuovo Parlamento sarà costituito da chi vince nei collegi, se non voti per chi può conquistarli, parte del tuo voto rischia di andare disperso».
E se Goffredo Bettini sogna ancora il dialogo tra i Dem e il Movimento Cinque Stelle, come spiega in un’intervista alla Stampa, il sindaco di Milano dà la sua versione sul flop della coalizione a sinistra. «Dopo la repentina caduta di Draghi, a noi elettori di sinistra pareva evidente che non si potesse stare in alleanza con il M5S che ne è stato il detonatore», dice. «Sulla rottura con Calenda-Renzi, invece, c’è una quota di posizionamento politico e una di personalismo. Il mondo che fa riferimento al Pd ha più difficoltà a digerire un rapporto con Renzi che con Calenda». E aggiunge: «Azzardo che la crisi sia cominciata da lì».
Mentre sul Terzo polo spiega: «Ho conoscenti intenzionati a votarli perché reputano il Pd troppo a sinistra. Ne ho convinto qualcuno che si tratta di una valutazione sbagliata».
E ora, in questi ultimi giorni di campagna elettorale, «bisogna dare più forza ad alcuni temi, come la questione ambientale, che da anni non è più un vezzo, è anche occasione per ricostruire il futuro industriale del Paese». Servono «battaglie precise che vadano al di là della sacrosanta difesa dei diritti civili. I diritti, poi, sono di tutti, dobbiamo per esempio pensare a quelle maggioranze silenziose che chiedono diritto alla sicurezza».
Certo, prosegue, «non credo che ci sia davvero il 40% di indecisi su che partito votare. Piuttosto, mi sembrano in molti che non sanno se si recheranno ai seggi. Penso a loro e so per esperienza che conta ogni singolo voto. Dobbiamo provare a conquistarlo fino all’ultimo giorno di campagna».
Sala però è scettico sui toni della campagna del Pd: «Da profondo antifascista, dico sarei stato meno insistente sul rischio di un ritorno al Ventennio. Della destra mi fa molto più paura che Fratelli d’Italia abbia chiamato la sua convention programmatica a Milano “Appunti per un programma conservatore”. Davvero qualcuno pensa che in un mondo così in cambiamento la conservazione sia un punto di forza? No, è debolezza. Questo mi fa paura».
Così come è scettico sulla presunta svolta moderata di Meloni: «La vedo ondivaga, in certi momenti cerca di presentarsi come moderata, in altri alza i toni». Ed è una «follia» dire di voler rinegoziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza: «Già ho seri dubbi che saremo in grado di appaltare tutti i progetti entro il 2023, come chiede l’Europa. Se ci mettiamo anche a ridiscutere non so cosa potrà accadere». Non solo. Sulla collocazione internazionale del Paese, Meloni ha preso una posizione molto diversa da Salvini «e infatti la politica estera è uno dei temi su cui il governo di destra, se dovesse vedere la luce, potrebbe inciampare».
In ogni caso, aggiunge, «il risultato della Lega è uno di quelli che attendo con più curiosità e che avrà un peso notevole nella lettura delle elezioni. Parlo spesso con politici leghisti e privatamente non esprimono giudizi lusinghieri su Salvini. Il suo potere nella Lega è ancora forte, ma di fronte a un risultato molto negativo della Lega non mi stupirebbe un ribaltone al vertice del partito».
E su Forza Italia «mi aspetto un tracollo, sul territorio non ha più figure attrattive».