Tra i motivi per cui gli italiani temono più di altre popolazioni i rialzi delle bollette del gas e dell’elettricità vi è sicuramente il fatto che dipendono, più di altri da forniture estere costose. Si aggiunga poi la fragilità economica di un Paese che non è ancora tornato ai livelli di reddito precedente la crisi finanziaria del 2008/09.
Ma vi è anche altro: siamo già tra i più tartassati dalle imposte sull’energia. O, se vogliamo vederla da un altro lato, lo Stato italiano è tra quelli che si affidano di più al prelievo fiscale sui consumi energetici per fare cassa.
A conti fatti si tratta del 2,4% del PIL, cui si aggiunge uno 0,6% di tassazione sui trasporti (pedaggi autostradali o per l’ingresso nelle ZTL, imposte sulla registrazione delle auto acquistate, balzelli sui biglietti aerei). Gran parte del gettito di questo tipo viene dunque dalle accise sulla benzina, da quelle sull’uso dell’elettricità o del riscaldamento nelle case private e nelle imprese. E da questi calcoli è esclusa l’IVA.
Dati Eurostat, percentuale
Siamo in linea con Paesi come Grecia, Lettonia, Croazia, considerando che altri, soprattutto nel Nord Europa, pur con alta tassazione, si affidano maggiormente a imposte anti-inquinamento, sulle emissioni nocive, o a quelle sull’utilizzo dell’auto e di altri mezzi di trasporto. È il caso della Danimarca, per esempio, che ricava da queste ultime l’equivalente dell’1,4% del PIL, o dei Paesi Bassi.
In valore assoluto le casse italiane sono quelle in cui entra più denaro dalle tasse sull’energia, quasi 47 miliardi, escludendo quelle, marginali, che provengono dai consumi dei non residenti. Superiamo la Francia e la Germania, che pure hanno un’economia più grande. In questi due Paesi infatti l’incidenza di queste imposte sul PIL è minore, rispettivamente dell’1,8 e dell’1,4%, come in Spagna, del resto.
Dati Eurostat, 2019, milioni di euro
Se il termine di paragone sono le entrate dello Stato, il divario è ancora maggiore. Secondo i numeri del 2020 dalle tasse sull’energia viene il 5,7% del gettito, ma si tratta di dati che scontano la pandemia. Nel 2019 la porzione era il 6,2%, ed è sempre stata superiore al 6% dal 2012 in poi, circa due punti in più della media europea. Non era stato sempre così. Fino alla crisi del 2008-09 vi era stato un graduale calo dell’incidenza di queste imposte, che erano arrivate a pesare non molto di più che negli altri principali Paesi.
La recessione di quegli anni e la successiva crisi dell’euro hanno portato a un incremento dell’impatto delle tasse sia per la riduzione generale dell’economia sia per gli aumenti diretti di queste. Per esempio, tra il 2009 e il 2012 furono rese più salate le accise sulla benzina per fare fronte al deterioramento dei conti pubblici e a disastri naturali.
Dati Eurostat, percentuale
Come si sa, le accise intervengono sul consumo e non sul reddito, perché il primo, soprattutto per i beni energetici, è molto rigido e non cala più di tanto anche in presenza di una recessione. Anche chi ha perso il lavoro, insomma, deve riscaldarsi e deve usare l’elettricità, e i margini di risparmio sono limitati.
Questo vale anche per le imprese: a meno di tagliare la produzione in modo significativo, anche se i debiti aumentano e i profitti calano, l’uso di energia nel breve periodo è all’incirca sempre lo stesso. Ed è sulle aziende che la tassazione è cresciuta maggiormente negli anni di quella crisi.
Il gettito derivante dalle imposte energetiche aveva raggiunto nel 2014 quella che pesava sulle famiglie, per poi rimanere costante a un livello superiore a quello precedente. Un andamento simile vi è stato in Francia, ma come si è visto il peso sul PIL era comunque inferiore. E in Germania, invece, si era assistito a un calo.
Dati Eurostat, in milioni di euro
Così ci siamo trovati nella situazione di avere, alla vigilia del Covid, il maggiore rapporto tra gettito delle imposte sull’energia e consumo, 377,2 euro per tonnellata di petrolio equivalente. In sostanza lo Stato italiano è quello che preleva di più dai propri cittadini in proporzione a quanto greggio o gas viene utilizzato. Dopo di noi a breve distanza i greci e poi i danesi. Il divario dalla media europea, 245,3, è di più del 50%!
Dati Eurostat, in euro
A fare comprendere quanto sia il peso di questa tassazione sul tessuto economico e quanto contribuisca a una minore competitività vi sono i dati sul gettito assoluto di tali imposte per settore.
L’andamento di quello che grava sul comparto alloggio e ristorazione, per esempio, è molto eloquente.
Per quanto l’utilizzo di energia in generale sia sicuramente inferiore di quello che interessa la manifattura, quello che conta è il confronto con il resto d’Europa. In tempi normali (ovvero pre-Covid) ristoranti, bar e hotel pagano più di 1 miliardo di euro di tasse collegate all’energia in Italia, contro i 300-350 pagati in Germania e Spagna. Certamente conta il fatto che nell’ultimo decennio questo settore è cresciuto molto nel nostro Paese (quante librerie sostituite da paninoteche gourmet abbiamo visto!). Tuttavia come i dati dimostrano è evidente che le tasse schiacciano questo comparto, che già combatte con bassi margini, più che altrove.
Dati Eurostat, in milioni di euro
Come uscirne? Tocca alla politica dirlo, ma le soluzioni anche in questo caso molto probabilmente non potranno essere molto diverse da quelle che valgono nel complesso dell’economia.
Deve aumentare il denominatore, ovvero il reddito su cui una tassazione sul consumo incide, così come la produttività: un litro di petrolio o un metro cubo di gas devono generare più valore di quanto facciano adesso.
Questo dovrebbe valere a prescindere dal costo che le fonti di energia hanno, che è il problema a monte, e che come tanti altri, però, non potrà essere risolto all’interno dei confini nazionali.