Mancano ormai pochi giorni alle elezioni e secondo il report di ricerca Swg per Italian Tech, il 52% dei giovani sostiene di provare, nei confronti della politica, un totale disinteresse. Il 43% ritiene peraltro che il voto sia certamente un dovere civico, ma che serva a poco e a niente: i politici raramente rispettano il loro mandato, una volta eletti. Da mesi si discute dello spettro dell’astensionismo, soprattutto dal momento che recenti previsioni attestano che circa il 48% non si recherà alle urne – meno di 1 giovane su 2.
I giovani rappresentano la categoria che ha perso maggiore motivazione nei confronti della politica, accanto a quella dei ceti sociali più vulnerabili. È colpa della classe dirigente? Delle proposte e dei programmi partitici, che raramente attribuscono priorità alle questioni che stanno più a cuore alle nuove generazioni? Ma anche qui: siamo sicuri che i giovani siano concordi su ciò che è essenziale e urgente per il loro futuro?
Siamo abituati a pensare che tra i desideri più comuni e più forti in seno agli under-35 non possano mancare forti virate verso la transizione ecologica, fondi diretti alla scuola e all’istruzione, e una maggiore inclusione – che copra certamente l’ingresso nel mondo del lavoro, ma in generale possibilità formative trasversali, comprese le esperienze all’estero, gli erasmus e gli exchange, i quali presuppongono un’Europa unita e sintonica.
Insomma, i giovani sono considerati uno stuolo pressoché unitario dagli ideali progressisti. Invece, non è proprio così. Parlando direttamente con loro si scopre che, dopo la crisi economica del 2008, decine di governi che si sono succeduti senza successo e ricorsi quasi sempre a soluzioni “tecniche” come cura palliativa per un Parlamento altrimenti in preda allo scompiglio, la pandemia da covid19, e aliti di emergenze che provengono da tutte le latitudini del pianeta, le prospettive si sono estremamente ridotte e inaridite. Vogliono pragmaticità, soluzioni a stretto giro. Aspirano a una concretezza di pensiero e di parola che cozza con le fiumane di studenti che abbiamo visto riversarsi nelle piazze appena prima del 2020 durante le manifestazioni dei Fridays for future.
La giustizia climatica e sociale sono battaglie ideologiche, giuste sì, ne riconoscono l’ovvia importanza, ma non hanno la precedenza.
Federica, 22 anni, milanese e laureanda in Lettere, dichiara: «Voterò il gruppo di Azione e Italia Viva. È assolutamente necessario portare avanti l’agenda Draghi. A mio avviso è l’unico ad avere le competenze adatte ad affrontare la complessità dei problemi in cui ci troviamo oggi. Il principale è il tema energetico. Bisogna decisamente diventare indipendenti dalla Russia. Poi, il tema dell’inflazione e quello del PNRR. Non bisogna neanche dimenticarsi dell’Ucraina. Parliamo di problemi pratici». E aggiunge: «Mi ritengo liberale, sicuramente non di destra. I programmi politici italiani servono solo per fare campagna elettorale, il partito Azione-Italiaviva si avvicina di più alle necessità del Paese».
Lorenzo, un altro milanese che frequenta il terzo anno di Economia all’Università Cattolica di Milano, ribadisce: «Voterò Azione perché è l’unico partito che ha incentrato la sua campagna elettorale su istruzione e sanità, e non sulle pensioni e su riduzioni di tasse infattibili. Calenda è l’unico leader politico che ha esperienze e competenza, gli altri non saprebbero neanche gestire un bar. Penso che in Italia bisognerebbe mettere da parte lo scontro ideologico tra destra e sinistra».
Quando domando se secondo loro l’appartenenza a un centro cittadino economicamente così florido influenza in qualche modo la ricostruzione narrativa intorno alle reali impellenze della nazione, Federica mi risponde, esitante: «È probabile che il giovane di periferia abbia più rabbia, mentre quello dell‘area ZTL risulta maggiormente arrogante e spocchioso».
Tuttavia, Lucian, 21 anni, di Corsico, un comune dell‘hinterland milanese, non pare avere alcuna divergenza rispetto ai suoi coetanei dell‘interno dei bastioni: «Il 25 settembre voterò Azione-Italia Viva. Mi sono trovato a fare una scelta obbligata dato che non voterei mai nessuno degli altri grandi partiti candidati. Mi trovo in completo accordo con il programma elettorale presentato e ritengo Calenda un buon politico. Ho dei dubbi sull’alleanza con Italia Viva, ma spero di sbagliarmi. Al momento penso che l’obiettivo principale debba essere il raggiungimento dell’indipendenza energetica». Anche se poi dice: «In quanto giovane, non ritengo di essere sufficientemente rappresentato dai programmi elettorali. Nei punti in cui si parla delle nuove generazioni non trovo mai nulla di concreto o di effettivamente utile. Penso che questo sia un problema generale della politica, si parla più ai nostri genitori che a noi».
Lo stesso tipo di disallineamento – se così si può chiamare – tra dai problemi che sollevano, peraltro sacrosanti, e la percezione rassegnata di chi si considera automaticamente già perdente, scartato, invisibile rispetto al corpo sociale, è evidente anche in provincia. Alessandro, 24 anni, Torricella, in provincia di Taranto: «Voterò Azione perché mi sembra una proposta abbastanza soddisfacente rispetto a quelle delle altre forze politiche, nonostante su alcuni temi storca un po’ il naso. L’ndipendenza energetica, il conflitto tra Ucraina e Russia e il cambiamento climatico sono le bandiere di oggi. I giovani sono assolutamente poco rappresentati. Basti pensare che i fuorisede riescono a malapena a votare». Una ragazza che preferisce restare anonima, 19 anni, di Potenza: « Voterò Più Europa o Azione. Guardo sia la credibilità della persona che l’attenzione ai giovani e alle tematiche sociali. Mi piacerebbe che ci fosse un partito che aggiungesse questo alla mia visione su economia e politica estera, ma tant’è…». Tommaso, 26 anni, della periferia di Cesena: «Voterò il cosiddetto Terzo polo perché è l’unica formazione con proposte e persone competenti e preparate. L’urgenza principale è il caro bollette. È necessario dunque lavorare su interventi tempestivi a tampone e riforme strutturali su energia, infrastrutture, istituzioni e formazione. La politica si rivolge alle masse per acchiappare voti, quindi ha inevitabilmente altre mire rispetto a gente come me, che crede nella scienza e nella veridicità delle fonti». Luca, 19 anni, Cernusco sul Naviglio: «Io voterò il Terzo Polo poiché ritengo che l’approccio pragmatico e non ideologico sia la strada migliore da seguire se si vuole davvero migliorare qualcosa. Inoltre, da puro liberale non posso che sostenere l’unica formazione politica che ha, tra gli obiettivi, il contenimento della spesa pubblica. Gli studenti come me, al termine del proprio percorso liceale o già all’università, non solo sono sottorappresentati. Non vengono proprio ascoltati».
La forbice si assottiglia tra il nord e il sud Italia, tra le grandi città e i piccoli centri. Il coro di voci è unanime, coeso, inquietantemente d’accordo. Nessuno si sente rappresentato, eppure nessuno mette se stesso tra le priorità dell’agenda politica nazionale, nemmeno tra quelle del partito che nello specifico ci si accinge a votare.
L’atmosfera che si respira tra le frange della destra più convintamente autocompiaciuta, non è tanto diversa. Luca, 20 anni, Bollate (MI): «Voterò Fratelli d’Italia, anche se non è il primo partito che ho votato, né il primo che avrei scelto. Penso rappresenti al meglio la mia volontà, anche se i punti di scarto sono tanti e non tutto mi convince. L’urgenza principale oggi è il ritorno a una vita politica ordinaria. Sembra che ci sia sempre bisogno di un governo di larghe intese perché ogni anno spunta una nuova emergenza da affrontare. Mi risulta difficile collocarmi e accostarmi a una categoria di persone piuttosto che a un’altra. Non mi considero neppure di destra. Non mi ritengo proprio parte di un procedimento che divide la società tradizionale tra destra e sinistra». Giuseppe, 26 anni, Cosenza: «Voterò per la coalizione presentata da Giorgia Meloni. Le emergenze nazionali principali sono rappresentate dal caro bollette e dall’inquinamento. Putin va senz’altro punito, ma noi italiani e gli europei in generale non possono farne le spese». Quando gli faccio notare che le destre hanno un programma di soluzioni al cambiamento climatico tra i più carenti, mi risponde che lo sa. Anzi, rincara: «La destra non fa proprio nulla per l’ambiente. Ma i punti che mi avvicinano a loro sono di più rispetto a quelli che mi avvicinano alla sinistra. Perciò…».
Non potendo rivendicare un proprio orizzonte semantico, linguistico e progettuale, i giovani hanno adottato quello delle generazioni precedenti. Parlano dei costi dell’energia, del rincaro delle bollette, del tetto al prezzo del gas e non di sostenibilità, perché mettere in discussione la realtà è ormai considerato un atteggiamento controproducente, disfattista e vuoto. Invece di combattere la marginalità che pure dichiarano di sentire, preferiscono accompagnarla e saltare sul carro della maggioranza, cioè su quello degli adulti, che continuano indisturbati a perpetrare un’idea di mondo in linea con i loro pruriti, le loro preoccupazioni, i loro privilegi.
Anche a sinistra, storicamente più incline a favorire contenuti di matrice egualitaria, rimomba un’eco sorda. Leonardo, 26 anni, Rimini: «Sono un giovane lavoratore del mondo dello spettacolo. Nessuno ha messo in primo piano la mia categoria nei punti del loro programma. Voterò Più Europa perché, oltre a portare avanti i diritti sociali che in Italia faticano a prendere piede, mantengono un occhio attento sul contesto europeo senza cavalcare gli umori dell’elettorato. E poi, ho la sensazione che ci siano meno chanche che venga eletto un disonesto tra le loro fila rispetto ad altri partiti. I problemi sono ormai cronicizzati – scuole arretrate, mondo del lavoro malato, sistema elettorale zoppo». Maria, 28 anni, Tradate (VA): « Voterò Sinistra italiana e Verdi. Anche se forse l’ordine delle priorità è leggermente diverso dal mio… Le problematiche maggiori in questo momento sono rappresentate dall’evasione fiscale, dalla disoccupazione e dalle pensioni. Se guardo tra i miei coetanei, vedo sconforto e disillusione, una sfiducia piuttosto radicata nei confronti delle istituzioni e del futuro».
Non si tratta neanche del voto “alla meno peggio”, che sembra aleggiare tra le fila di ragazzi e ragazze a prescindere dalla classe sociale di appartenenza, dal reddito delle famiglie di origine, o dell’area geografica di riferimento. È più che altro l’apparente, presunta assenza di fiducia e quindi di lucidità rispetto a quelle che sono le storture più evidenti dello stato attuale: pretendere un cambio di passo rispetto alla gestione della catastrofe climatica – il rispetto degli accordi di Parigi e del Green New Deal europeo, la sensibilizzazione nei confronti di campagne che promuovano un sistema di trasporti meno inquinante e un‘alimentazione che non ricorra allo sfruttamento intensivo degli animali e dei territori – e naturalmente uno Stato che ponga fine alle ricorrenti ingiustizie subite da chi si appresta a trovare una casa e un primo lavoro retribuito, significa semplicemente fare gli interessi della propria categoria per garantirsi un futuro quantomeno vivibile.
A questo proposito, Carmelo Traina, ex presidente di Visionary e attivista sul suolo nazionale per i diritti delle nuove generazioni, dice: «All’interno dei programmi politici attuali, in realtà le proposte ci sono. Solo che poi bisogna vedere se si metteranno in pratica. La proposta di Enrico Letta di investire sul futuro dei giovani dando loro 10mila euro al compimento dei diciott’anni, dov’è finita? Questa era un’occasione per dibattere e sollevare le urgenze e i problemi che ci toccano da vicino, perché poi dal 26 settembre governerà chi verrà eletto, e basta. L’astensionismo normalmente non sarebbe una reazione corretta, perché significa per l’appunto astenersi dal gioco. Ma di quale gioco parliamo? Grazie ai sondaggi i partiti sanno già quali saranno i seggi vincitori, costruiscono un Parlamento a scacchiera. Il gioco è inesistente. Non si può più valutare l’astensionismo come una volta, cioè come una forma di rinuncia a una forza di azione. Qual è l’azione e qual è la forza?».
E infine: «La reazione più giusta tra i giovani sarebbe quella di mettersi a fare politica. Provare ad avere un ruolo all’interno di questi partiti, cambiandone le logiche dall’interno. Vista com’è andata la campagna elettorale sembra impossibile, anche per i partiti apparentemente più aperti. I giovani che oggi si impegnano, decidono di fare attivismo, non politica. Non credono più che quella cosa, cioè la politica, abbia ancora potere. Ma così ne resteremo sempre fuori».