Nell’ambiente lo chiamano “The Nose”, non un naso qualunque ma IL naso per eccellenza, capace di creare composizioni olfattive che sfidano i luoghi comuni e che farebbero inorridire chi, sotto il naso – come dice l’espressione popolare – ha la puzza: profumi come “Stercus” e “Seminalia” sono un affronto ai moralismi e ai formalismi della profumeria sin dall’onomastica.
Lontano dai palazzi dorati che odorano di benessere, Alessandro Gualtieri ha lavorato nella macelleria familiare «come disossatore» ci tiene a precisare, per poi passare in un’azienda farmaceutica, la Bayer, dove, maneggiando provette e un’intera libreria di bottiglie da gestire, scopre la sua vocazione: la creazione delle fragranze. Un percorso che sa di romanzo con torbido finale, come quel “Profumo – Storia di un assassino”, libro di Patrick Süskind, nel quale il protagonista, Jean-Baptiste, nato tra i banchi di un mercato del pesce, cresce dotato di un olfatto assoluto, e si ossessiona alla ricerca delle essenze perfette, per ricreare l’odore di una venditrice di prugne incontrata per caso a Parigi.
Il libro ispirò Kurt Cobain, portandolo a scrivere la canzone “Scentless Apprentice”, ma si ha quasi timore di portare il parallelismo letterario all’attenzione di Gualtieri, creativo vulcanico che rifugge con decisione le banalità e le soluzioni facili, seppur comode, nello stesso modo nel quale ha rifuggito i mandati e gli obblighi delle grandi maison per le quali ha pure lavorato, fin quando non se n’è stancato. In seguito sono venuti non uno ma due brand: Nasomatto e Orto Parisi, quest’ultimo regno del naturale, in quanto dedicato agli odori che sentiva nell’orto del nonno Vincenzo.
Odori – non profumi, perché le fragranze non si compongono solo di essenze piacevoli all’olfatto – che hanno probabilmente contribuito alla sua formazione, così come gli aromi penetranti che si percepivano all’interno della macelleria di famiglia. Un creativo con laboratorio e residenza ad Amsterdam, dall’aspetto di un avventore che beve un whisky a un tavolo di uno scalcinato bar americano, in un film di Tim Burton, Gualtieri sarà lo special guest di Pitti Fragranze, in scena alla Stazione Leopolda di Firenze fino al 18 settembre.
Con un’edizione che festeggia un anniversario importante (il 20esimo) dedicata ai 5 sensi, l’idea del creativo è stata all’altezza della sua fama: il muro Alchemico, installazione interattiva alla quale gli ospiti sono invitati a prender parte: «Sto cercando di costruire la mia macchina alchemica per produrre la mia versione della famosa “sostanza”: l’obiettivo è quello di raccogliere i liquidi trasmutati dalla psiche degli esseri umani», spiega a Linkiesta Eccetera Gualtieri, con la naturalezza eclettica di chi considera ordinaria amministrazione un approccio assolutamente innovativo all’arte della distillazione.
«Quest’atto è costruito su una metodologia catartica – prosegue – e volevo creare uno spazio per liberare le nostre emozioni represse, facendo condensare i brutti ricordi in modo che possano finalmente evaporare e liberarci. Per me il muro è il luogo in cui posso osservare come si sta evolvendo il processo di trasformazione alchemica: ciò che inizia come un gesto forte di liberazione finisce in un muro di idee svanite e sfocate che non hanno più alcun corpo, alcuna presenza. I problemi non sono più rilevanti».
Un’idea destinata, nelle parole di Gualtieri, a essere riproposta in futuro, anche per regalare nuovo sfogo a una personalità che gli anglofili definirebbero “larger than life” e che sembra sempre sull’orlo di traboccare fuori dalla confezione di un profumo. «Ero stanco di stare dentro una bottiglia e mi sono chiesto come uscirne. Trovo importante lo sfogo come fonte di energia: con questa installazione/performance inizio una strada nuova. Mi piacerebbe proporre in spazi pubblici o privati dei lavori olfattivi “aperti” non racchiusi in una confezione. Spero ovviamente di trovare partner nel mondo che siano interessati a questo tipo di approccio». Un muro, il suo, contro il quale si andranno a infrangere frustrazioni e dolori dei visitatori, e che però è impregnato anche di alcuni dei suoi sbagli.
«Il contenuto stesso del muro alchemico non è nient’altro che la somma a varie intensità di tutto ciò che non ha funzionato nelle mie composizioni olfattive. Tutte le bestemmie tirate perché quello che avevo in testa trasformato in materia non mi creava nessuna domanda e dunque rimaneva “inutilizzato”, si trova lì. Se nella mia vita privata sublimo le ansie e le frustrazioni attraverso esercizi fisici, vocali, di movimento e di respirazione, nel mio mestiere, cerco di “collezionarle”, per poi usarle in altri lavori».
Sì, ma come si creano profumi come “Black Afgano”, bestseller di Nasomatto divenuto noto anche a chi mastica poco la profumeria di nicchia, per via della presenza di piccole quantità di cannabis? A sentire Gualtieri, i miracoli avvengono quasi per sfinimento, quando, sfibrati dal lavoro, ci si lascia andare: «di solito dopo parecchia perseveranza arrivo in una fase esausta e perdo il controllo. In quel momento succede che il lavoro, finalmente, prende corpo».
Un modus operandi quasi animista, non certo guidato da un mero calcolo di opportunità su quale sia la materia prima più giusta da utilizzare, e che può magari intercettare i gusti del pubblico, anche perché Gualtieri non ha mai cercato di compiacere nessuno, per tutta la sua carriera. Chissà che poi non sia rimasto sorpreso e un po’ contrariato del successo pop di alcune sue creature, da Black Afgano a Terroni, che si sono poggiate sui corpi di uomini e donne di nord, sud e centro.
Fa parte di quelle domande che si ha timore di fargli per paura di apparire banali. «All’inizio mi incazzavo per tante cose di questo mercato (quello della profumeria di nicchia, ndr), ora sinceramente non me ne frega più nulla. La cultura olfattiva a livello generale è quella che è: c’è uno con un’idea di successo e gli altri che lo seguono. Sono poche le persone che vanno oltre». E parlando di dov’è andato lui, e dei posti che invece lo hanno stupito, per la varietà olfattiva?
«Socotra, l’isola dello Yemen: 350 piante endemiche. Una ricchezza tale che ci hanno anche realizzato un documentario (“Socotra the hidden land”, del 2014, ndr). Tra i posti nei quali devo ancora andare ci sono ancora diverse località di Africa e Sud America». Ora però si trova ad Amsterdam: «Vivo tra il quartiere a luci rosse e quello cinese, quindi di odori ce ne sono parecchi, ma a me questa tendenza di oggi di creare le acque delle varie città, isole, paesi, ha sempre fatto sorridere. Sai cosa vorrei fare davvero? Un progetto sociale-culturale basato sulle sorgenti, l’acqua che fuoriesce in maniera naturale dal sottosuolo. Quella però è un’altra storia». E forse il segreto di tutta la sua carriera è proprio quello, la sua capacità di raccontare tramite ognuna delle sue fragranze, tutt’altre storie rispetto a quelle che siamo abituati a conoscere.
«Non credo in fondo di infrangere niente», conclude serafico. «Non mi piacciono i cliché, gli stereotipi, le tendenze: per il resto cerco solo di raccontare dal mio punto di vista, creare una nuova storia personale, che poi condivido: trovo che sia un gesto bello, in fondo. Sono ugualmente affezionato a tutti i miei lavori: a volte funzionano, altri no. Anche quando però succede che non funzionano, so di aver mantenuto alto il livello della qualità, della ricerca, di aver prodotto fragranze che non siano solo profumi, ma che siano anche capaci di far scaturire in chi li prova, sensazioni opposte nello stesso momento, attrazione e repulsione, gioia e sofferenza. E credo non ci sia niente di più affascinante». Provate a dargli torto.