Sembra che vada a morire, la campagna elettorale, come alle scuole medie quando suona la campanella: casino, tutti contro tutti, pallette di carta e cerbottane, spintoni, parolacce, strilli. Non un gran finale, sebbene coerente con ciò che l’ha preceduto.
Malgrado siamo nel 2022, a cento anni dalla marcia su Roma e a trentatrè dalla caduta del Muro di Berlino, qui ci si azzuffa tra fascisti e comunisti, per fortuna non si fa più a botte ma il clima sotto questo aspetto è surreale, anzi ridicolo.
Non c’è dubbio che evocare da parte di Giorgia Meloni nientemeno che Nicolae Ceausescu, il Conducator rumeno che oppresse il suo popolo nel nome del comunismo fino a che un giorno un tribunale speciale non lo giustiziò, è ben più grottesco che accusare la stessa Meloni di essere post-fascista come ha detto ieri il presidente della Spd Lars Klingbeil dopo l’incontro a Berlino tra il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ed Enrico Letta, al quale quel termine non è mai sfuggito di bocca e dunque meglio che l’abbia proferito il dirigente socialdemocratico tedesco.
Se non altro, “post-fascista” affibbiato al partito di Meloni e La Russa è un dato di realtà. Ma Ceausescu?
Sembra incredibile eppure l’annunciata prossima presidente del Consiglio ha citato proprio il dittatore di Bucarest: indignata per certe contestazioni ai suoi comizi, ha detto testualmente che «questa gente (ma chi?, ndr) parla di Europa ma il loro modello è il regime di Ceausescu », il quale – ricordiamo per i più giovani – fu il capo di uno dei peggiori Stati di polizia del mondo, governato di fatto dalla famigerata Securitate, un figuro che affamò un Paese già povero mentre lui e la sua famiglia vivevano nel lusso – aveva i rubinetti dei lavandini d’oro – come negli staterelli africani o centroamericani degli anni Settanta.
Ora, cosa c’entri tutto questo con qualche contestazione non è chiaro: pare piuttosto uno dei tanti segni della stanchezza non solo fisica ma anche psicologica della leader di Fratelli d’Italia, un dato che contribuisce ad alimentare un brutto finale di campagna elettorale.
È più realistico rinfacciare la sua vicinanza politica a Viktor Orbàn, che almeno è roba di oggi, indicando il pericolo di un allontanamento dall’Europa nel caso di vittoria della Giorgia filo-ungherese: è un tema politico reale giusto (anche se non sapremmo dire quanto accattivante per gli elettori).
Il “comunismo”, con le virgolette, è davvero ai margini delle elezioni del 24 settembre (Marco Rizzo, Unione popolare, gente così) e anche per questo la narrazione di uno scontro politico tra fascisti contro comunisti non è grave: fa sorridere. Che soffi su questa fiamma, è il caso di dire, chi si candida a guidare l’Italia, è patetico. Ancora quattro giorni di campagna elettorale, ce la possiamo fare.