In Germania è da poco terminata la sperimentazione del biglietto unico a 9 euro: un test dall’esito positivo che si stima abbia comportato un risparmio di 1,8 milioni di tonnellate di CO2 in tre mesi, riaccendendo i riflettori sul ruolo che il trasporto pubblico potrebbe avere nell’abbattere le emissioni e contrastare la crisi climatica.
L’iniziativa tedesca, durata da giugno ad agosto, prevedeva un unico ticket mensile dal costo popolare (9 euro, appunto) valido in tutto il Paese su bus, tram, metro e treni regionali: hanno sfruttato questa opportunità 38 milioni di persone, di cui un quinto erano passeggeri che non usavano abitualmente i mezzi pubblici, per un totale di 52 milioni di biglietti.
La misura era stata accolta positivamente dalla maggior parte dei tedeschi. Le poche critiche riguardavano il rischio di sovraffollare i mezzi e la necessità di proposte più efficaci a lungo termine per sostenere economicamente i cittadini. Alcuni, invece, hanno fatto notare che la gratuità o il prezzo agevolato dei mezzi pubblici in sé – proposte già attuate altrove in Europa – non si traducono automaticamente in strade meno congestionate dalle auto; inoltre, ci sono delle differenze di risultato dettate dal contesto urbano e dall’estensione del territorio. Nel caso della sperimentazione tedesca, però, i risultati sembrano incoraggianti. E aprono a una domanda che sorge spontanea: perché, in Italia, non abbiamo ancora fatto una cosa del genere?
I risultati della sperimentazione tedesca
Sebbene il ministro federale per i Trasporti, Volker Wissing, abbia dichiarato che un’analisi estensiva dell’impatto del biglietto a 9 euro sarà pronta a inizio novembre, altri studi hanno già fornito un’idea dei risultati. L’Ufficio federale di statistica, basandosi sui dati anonimi di telefonia mobile, a giugno 2022 ha registrato, rispetto a giugno 2019, un aumento dell’83 per cento dei viaggi in treno nei fine settimana e del 42 per cento dei viaggi in treno sopra i 30 km.
Secondo una ricerca di mercato dell’Associazione tedesca dei trasporti, realizzata tramite 78mila interviste, il 20 per cento di chi ha acquistato il ticket a 9 euro prima non usava il trasporto pubblico, il 27 per cento lo usava meno di una volta al mese e il 43 per cento ha aderito all’iniziativa per evitare l’auto. Il 69 per cento, infine, è stato convinto dal prezzo economico del biglietto.
È sempre la stessa Associazione a stimare l’impatto ambientale della sperimentazione. Tenendo conto che circa il 10 per cento degli spostamenti con il biglietto unico a 9 euro sarebbero altrimenti avvenuti in auto, sono state risparmiate 600mila tonnellate di CO2 al mese, per un totale di 1,8 milioni di tonnellate di CO2 da giugno ad agosto: una quantità pari alle emissioni prodotte in un anno da 391mila macchine.
Le proposte (simili) nei programmi elettorali italiani
Arriviamo alla fatidica domanda anticipata in precedenza. Un’iniziativa simile potrebbe essere replicata in Italia e portare gli stessi vantaggi? Il programma elettorale del Partito democratico propone effettivamente il «trasporto pubblico locale gratuito per giovani e anziani» e per studenti con redditi medio-bassi, «schemi di sconto sul prezzo del servizio di trasporto sostenibile» per le altre categorie e la «piena gratuità del trasporto pubblico locale per le famiglie a reddito medio e basso» nel tragitto casa-scuola. Sia il Pd sia il Movimento 5 stelle parlano inoltre di un biglietto unico integrato per tratte che prevedono più mezzi; mentre la Lega propone di portare al 50 per cento l’aliquota di detrazione per le spese dell’abbonamento ai mezzi pubblici locali, regionali e interregionali.
Il problema di queste proposte (ma non solo di queste: secondo il fact-checking di Pagella Politica, il 96% delle iniziative inserite nei programmi elettorali è senza copertura) è semplice: è davvero possibile finanziarle e, quindi, realizzarle? E l’aspetto economico sarebbe eventualmente l’unico ostacolo da superare nel contesto italiano?
«Credo che, per un periodo temporaneo, si possano pensare delle misure rilevanti di incentivo del trasporto pubblico, soprattutto dopo la riduzione del suo utilizzo in seguito al Covid. Credo anche, però, che rendere strutturali questo tipo di misure sia molto difficile, soprattutto in Italia», commenta Edoardo Croci, economista ambientale e professore all’Università Bocconi, dove è direttore di ricerca allo IEFE, il centro di economia e politica dell’energia e dell’ambiente, direttore del Sustainable Urban Regeneration Lab e coordinatore dell’Osservatorio green economy e dell’Osservatorio smart city.
Gli scogli da superare: l’offerta carente e i costi elevati
Il primo grande scoglio in Italia, prima ancora dei fondi, è l’offerta del trasporto pubblico. «Ci sono dei colli di bottiglia, soprattutto nel trasporto ferroviario regionale», prosegue Croci. «La gratuità del trasporto certamente porterebbe a un aumento della domanda, ma nel giro di anni non ci sarebbe capacità di aumento dell’offerta. Già oggi nelle tratte regionali usate dai pendolari abbiamo forti carenze: la quantità di treni, la frequenza, la regolarità del servizio, il comfort – pensiamo all’aria condizionata rotta in estate…». Come hanno recentemente fatto notare il presidente lombardo Attilio Fontana, e l’economista Carlo Cottarelli, capolista del Pd al Senato per le prossime elezioni politiche, in Lombardia la rete ferroviaria è vecchia e non è mai stata aggiornata. E i treni sono lenti come mezzo secolo fa, a volte persino di più.
C’è poi ovviamente il tema economico, un problema non solo italiano: anche in Germania, ha fatto sapere il Ministero federale delle finanze Christian Lindner, rinnovare la sperimentazione del traporto pubblico «quasi gratuito» sarebbe insostenibile sul lungo periodo, dal momento che costerebbe allo Stato 14 miliardi all’anno. «Misure di questo tipo sono a carico del bilancio pubblico», conferma Croci. «In Italia, in particolare, il finanziamento del trasporto pubblico è coperto in parte dalle tariffe e dal costo del biglietto e in parte dal Fondo nazionale trasporti, che passa poi alle Regioni e viene distribuito ai gestori».
Attualmente, anche se con percentuali diverse, la maggior parte del costo del trasporto pubblico locale italiano è già a carico del bilancio pubblico. «Il caso più “virtuoso” è quello di Milano, dove poco più della metà del costo è coperto dal biglietto. In alcune città del Sud, invece, l’80-90 per cento è coperto dalla finanza pubblica. Ma paradossalmente in questi Comuni – proprio perché le risorse pubbliche scarseggiano – il servizio di trasporti è disastroso e non funziona bene. Il servizio migliore si ha invece dove c’è la maggiore contribuzione da parte dell’utente», spiega Croci. Tra l’altro, proprio dal 1° settembre Trenord, che si occupa del trasporto ferroviario in Lombardia, ha aumentato le tariffe del 3,82 per cento per i titoli ferroviari e dell’1,91 per cento per quelli integrati.
Serve anche un cambio culturale
È difficile ipotizzare quale sarebbe il costo, per l’Italia, di una misura come quella tedesca o simile. In un periodo in cui il debito pubblico è già cresciuto, però, «pensare di addossare in modo strutturale ulteriori costi al bilancio pubblico e non all’utenza, è probabilmente difficilmente sopportabile sul lungo periodo», conclude Croci. Anche quando sono solo alcune fasce della popolazione a ricevere la gratuità sui mezzi pubblici «si crea un buco nel bilancio delle aziende del trasporto, con il rischio di peggiorare ulteriormente il servizio. È ragionevole che le fasce deboli vengano aiutate, ma con sussidi espliciti, ossia contributi dati direttamente a questi soggetti che passano dai bilanci pubblici, non dai bilanci delle aziende di trasporto».
Secondo Croci, sono altre le misure oggi attuabili o auspicabili per incentivare il trasporto pubblico: «Migliorare la qualità del servizio, prima di tutto, anche dal punto di vista ambientale. Sul lato della domanda, invece, c’è spazio per promuovere gli abbonamenti mensili o annuali, che nel nostro Paese sono ancora pochi contro un maggiore uso del biglietto singolo. Si può lavorare anche con le aziende, che hanno agevolazioni fiscali se favoriscono l’uso del trasporto pubblico supportando il costo degli abbonamenti annuali dei dipendenti».
Allo stesso tempo, è urgente lavorare sul fronte culturale. «In Italia abbiamo il secondo tasso di motorizzazione in Europa, dopo il Lussemburgo», commenta Croci. «Bisogna lavorare culturalmente sul fatto che muoversi con il mezzo pubblico non è riduttivo rispetto a farlo con l’auto: anzi, è più responsabile, ma dobbiamo anche fare in modo che sia più veloce e che il servizio offerto sia valido».