Fuori dalla realtàIn campagna elettorale la crisi climatica è un problema come un altro

I partiti stanno mostrando una totale mancanza di senso d’urgenza nell’affrontare il “climate change”. La questione ambientale non solo è (quasi) assente dal dibattito pre-elezioni, ma occupa i bassifondi di programmi ricchi di obiettivi generici, vuoti e figli di una classe politica incapace di intercettare le esigenze e le paure delle nuove generazioni

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La campagna elettorale in vista del voto del 25 settembre sembra appartenere a un universo parallelo. Distogliendo lo sguardo dalle notizie che animano i social, i giornali e i programmi televisivi, si torna bruscamente sulla Terra, un pianeta minacciato da una crisi climatica che avanza inesorabilmente. Nell’estate 2022, forse per la prima volta, anche in Italia e in Europa stiamo capendo realmente la portata di questa catastrofe (perché di catastrofe si tratta) scatenata dalle attività umane. 

Gli scienziati non sanno più come chiedere a politici e giornalisti di porre la questione climatica al centro e non ai margini. Tutti, ormai, siamo consci della pervasività degli effetti del “climate change”. L’ultimo – disperato – grido d’allarme è contenuto nella lettera aperta della Società italiana per le scienze del clima, che ha esortato i partiti a mettere questa emergenza in cima alla lista delle priorità. Come? Innanzitutto, attraverso «azioni di adattamento che rendano noi e i nostri territori più resilienti» alle conseguenze del riscaldamento globale, e che «non seguano una logica emergenziale ma di pianificazione e programmazione strutturale». 

Eppure, la crisi climatica non solo risulta assente dal dibattito politico di queste settimane di campagna elettorale. Ma non viene neanche nominata. Sembra che i nostri rappresentanti – e anche alcuni organi di stampa – abbiano timore a parlare di “crisi”, di “emergenza”. Oppure, più semplicemente, stanno ancora sottovalutando la questione, che viene trattata come un problema comune e passeggero. Non c’è senso d’urgenza, non c’è il messaggio dell’ora o mai più. Giorno dopo giorno, la classe politica del nostro Paese si sta confermando arrugginita e incapace di intercettare le esigenze e le paure di giovani e giovanissimi: cittadini che non si sentono rappresentati, ascoltati. E che subiranno più di tutti le conseguenze sanitarie, economiche e sociali di una crisi che sta scatenando tante altre crisi, da quella migratoria a quella alimentare. 

I temi ambientali vengono sistematicamente ignorati dai leader dei partiti, che si concentrano sull’emergenza energetica in atto ma si dimenticano che è solo la faccia di un enorme prisma. È raro che un politico con un certo seguito inizi una conferenza stampa o un post sui social parlando di ecologia o di clima. E quando succede, come nel caso di Angelo Bonelli (co-portavoce di Europa Verde) durante la presentazione dell’alleanza con Sinistra Italiana, sembra che sia più importante puntare il dito contro gli avversari piuttosto che parlare di proposte concrete e di ampio respiro. 

Non un bel segnale per il partito ecologista e europeista, che assieme a Pd e Sinistra Italiana – si legge sul testo dell’accordo sottoscritto tra Letta, Bonelli e Fratoianni – mira all’approvazione di «un piano ambizioso sulle energie rinnovabili, di una legge sul clima» e di una revisione «in sede europea del Patto di stabilità per la transizione ecologica».

Scorrendo i programmi degli altri partiti, la voce “ambiente” è spesso situata nei bassifondi. Quando finalmente si riesce a scovare, il risultato è un’accozzaglia di slogan vuoti, vecchi, fuori strada. Spesso sembrano proposte appartenenti al secolo scorso. Ad esempio, non si parla mai di uno stop totale ai finanziamenti all’industria fossile: secondo Legambiente, nel 2020 l’Italia ha “speso” 34,6 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi. Non si parla mai di una legge seria sul consumo del suolo, di politiche strutturali e di lungo periodo per ridurre lo smog, la dipendenza dalle automobili e lo strapotere degli allevamenti intensivi. 

Nel programma del centrodestra, l’ambiente – scritto con la A maiuscola – viene definito «una priorità». Peccato che venga trattato nel punto numero dodici del documento. Meloni, Berlusconi e Salvini propongono un elenco di azioni generiche e di facciata (per quanto teoricamente importanti): dalla «salvaguardia della biodiversità anche attraverso nuove riserve naturali» al rispetto e all’aggiornamento degli «impegni internazionali assunti dall’Italia per contrastare i cambiamenti climatici», passando per la «promozione dell’educazione ambientale» e della mobilità urbana sostenibile. Non si va mai a fondo. 

Poi, puntualissima, arriva la promessa della «piantumazione di alberi sull’intero territorio nazionale, in particolare nelle zone colpite da incendi e calamità naturali». Piantare alberi, si sa, non è la soluzione a tutti i problemi (specialmente dopo un incendio), ma il greenwashing non ha confini. In Italia, i cosiddetti interventi compensativi di rimboschimento «vengono molto spesso interpretati in modo semplicistico: consistono solitamente nel piantare alberi. Purtroppo, ad un’analisi scientifica appare che le “compensazioni” sono spesso inutili, talvolta addirittura dannose», si legge per esempio sul sito di Greenpeace. Ricordiamo inoltre che questo programma è stato partorito da tre partiti che, in Europa, hanno costantemente votato contro le proposte mirate a un taglio delle emissioni. 

Passando al Partito Democratico, il segretario Enrico Letta ha annunciato che girerà l’Italia con un minibus elettrico durante le ultime due settimane di campagna elettorale. L’obiettivo? Dimostrare le difficoltà (come l’assenza di colonnine di ricarica) che impediscono una diffusione capillare dei mezzi privi di motore a combustione. Forse l’ex presidente del Consiglio avrebbe potuto compiere questo viaggio usando solo i trasporti pubblici o la bicicletta – le due vere chiavi per decarbonizzare il settore dei trasporti -, che nella bozza di programma del partito occupano posizioni marginali. Il Pd vuole rendere i mezzi pubblici gratuiti per «gli studenti con redditi medi e bassi» e per gli anziani, mentre per la mobilità attiva si parla genericamente di nuovi progetti.  

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I principali obiettivi del Partito Democratico in fatto di ambiente ed energia vengono approfonditi all’inizio della seconda parte del programma elettorale, ben dopo le prime dieci pagine della bozza circolata nei giorni scorsi. Tra questi figurano una riforma fiscale verde che promuova gli investimenti green e l’installazione di 85 Gigawatt di rinnovabili entro il 2030. C’è anche un punto dedicato a una «progressiva riduzione (ma non l’azzeramento, ndr) dei sussidi dannosi per l’ambiente» e l’annullamento della burocrazia per le imprese che vogliono convertirsi alle fonti pulite. 

Quello della sburocratizzazione nel campo delle rinnovabili – il più grande ostacolo ai rallentamenti degli ultimi anni in Italia – è anche un obiettivo del Movimento 5 Stelle, che tratta la questione ambientale all’interno del settimo punto del suo programma. Giuseppe Conte si schiera contro le nuove trivellazioni e i nuovi inceneritori, promuove il vuoto a rendere e insiste sul «Superbonus e altri bonus strutturali», nonostante il palese bilancio negativo di queste misure di incentivazione in termini sociali e ambientali. 

Per giovedì 18 agosto è invece atteso il programma di Azione e Italia Viva, ma il punto di vista di Carlo Calenda e Matteo Renzi sui temi energetici e ambientali è risaputo. «Le energie rinnovabili sono intermittenti e non si possono stoccare. E dunque tu hai bisogno di una risorsa fissa: o una fonte fossile oppure il nucleare, che è a emissioni zero», ha spiegato il segretario di Azione in un intervento a RaiNews24 dello scorso luglio. Calenda ha inoltre aperto alla privatizzazione dell’acqua, è favorevole ai termovalorizzatori e ai rigassificatori galleggianti. Le divergenze col Pd sulla questione ambientale, insomma, sono impossibili da ignorare. 

Altri partiti o liste, come Impegno Civico di Luigi Di Maio e Bruno Tabacci, hanno scelto di puntare sui giovani attivisti per il clima: sarà infatti Federica Gasbarro, spesso soprannominata la “Greta Thunberg italiana”, ad avere carta bianca sui temi ambientali. Da un lato è una mossa intrigante perché la 27enne romana, che ha partecipato ai lavori della Cop26 come delegata italiana di Youth4Climate, può essere un megafono per la sua generazione. Dall’altra, però, non mancano i dubbi attorno alla sua inesperienza e alla genuinità della scelta dell’ex capo politico del Movimento 5 Stelle. 

Per concludere, la sensazione è che si sia persa l’ennesima occasione per porre la questione climatica al centro di una campagna elettorale: un periodo in cui tutto è amplificato all’ennesima potenza, nel bene e nel male. La legislatura che sta volgendo al termine è stata caratterizzata da pochi progressi (uno di questi è l’inserimento della tutela dell’ambiente nella Costituzione) e numerosi passi indietro. Cambiare marcia con l’approccio delle ultime settimane è pura utopia.

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