Piccola capitale del passatoLa storia di Saluzzo è una lezione su come valorizzare una “sconfitta”

A 55 km da Torino, è uno dei borghi medievali meglio conservati del Piemonte. Pochi mesi fa ha visto sfumare il sogno di diventare Capitale della Cultura 2024, ma ha saputo sfruttare la candidatura per far conoscere la sua bellezza al mondo intero. Al tempo spesso, continua a custodire con sapiente gelosia le sue perle nascoste

Credits: Paolo Patrito

Non ce l’ha fatta a diventare Capitale Italiana della Cultura 2024 (titolo andato a Pesaro), ma la candidatura ha portato a Saluzzo nuova linfa vitale e convinzione nei propri mezzi. In effetti la città piemontese ai piedi del Monviso è una piacevole scoperta, meta ottimale per una gita di un giorno o una fuga serale dalla città, ma anche, grazie all’invidiabile posizione geografica, destinazione adatta a un weekend tra cultura, natura e buon cibo. A soli 55 km da Torino, Saluzzo è uno dei borghi medievali meglio conservati del Piemonte. 

Nel Settecento ha dato i natali a Giovanni Battista Bodoni, incisore, stampatore e tipografo, e al patriota risorgimentale Silvio Pellico; nel Novecento al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, protagonista della lotta al terrorismo e alla mafia. Passeggiando lungo le antiche vie acciottolate, i vicoli e i passaggi coperti che scendono dalla Castiglia fino alla città bassa, si respira l’atmosfera nobile e piacevolmente decadente di una piccola capitale del passato. 

La città, infatti, è stata per 4 secoli, dal 1142 al 1548, sede del Marchesato a cui ha dato il nome, prima di cadere nelle mani dei Francesi e poi dei Savoia. Al tardo Medioevo e al Rinascimento appartengono molti dei luoghi d’interesse di Saluzzo, come la Castiglia, l’imponente fortezza rossastra che sta in cima alla città. Prima roccaforte, poi palazzo signorile, rovina romantica e infine temuto carcere fino al 1992, dopo i restauri avviati nel 2006 oggi ospita il Museo della Civiltà Cavalleresca, quello della memoria Carceraria e una collezione di arte contemporanea. Dai camminamenti di guardia, la vista spazia dalla pianura disseminata di frutteti alla cerchia di montagne.

Credits: Paolo Patrito

I colori che dominano nel centro storico sono il rossiccio dei mattoni, il grigio dei ciottoli di fiume, le diverse tonalità di bruno degli intonaci, il verde dei giardini nascosti e dei rampicanti abbarbicati alle case. Un mix che può diventare magico in una calda sera d’estate, con la luce del tramonto che spinge ancora più in alto la levetta della saturazione. Scendendo dal castello, superata la fontana della Drancia, ecco apparire la massiccia mole del Palazzo comunale, dominato dalla Torre civica quattrocentesca, alta 48 metri. 

Poco lontano, in una strada tranquilla, c’è il monumento più noto della città, Casa Cavassa, splendida dimora rinascimentale zeppa di opere d’arte, tra cui spicca la pala della Madonna della Misericordia del pittore fiammingo Hans Clemer., noto anche col nome di Maestro di Elva, per via del ciclo di affreschi che raffigurano storie di Cristo e Maria dipinto nella parrocchiale del piccolo paese di Elva, in Valle Maira. Sul portale in marmo di inizio Cinquecento, attribuito allo scultore lombardo Matteo Sanmicheli, campeggia il motto della famiglia Cavassa, ambivalente nell’interpretazione: Droit Quoy Quil Soit, traducibile come “Avanti a tutti i costi”, oppure “Giustizia quale che sia”. 

La bellezza di Saluzzo, che già nel 2017 il giornale americano Usa Today indicava tra le località italiane da visitare prima dell’arrivo del turismo di massa, è in buona parte manifesta, ma riserva anche qualche perla nascosta. Una di queste si trova dietro una porta lungo via Tapparelli: dà accesso a un’ampia sala con la volta a botte e i mattoni a vista, che si trova proprio sotto la chiesa quattrocentesca di San Giovanni. 

Era la ghiacciaia dell’omonimo monastero e oggi tra le sue mura accoglie la sala di un ristorante gourmet. Si chiama Castellana San Giovanni ed è un modo più che valido per chiudere una giornata a Saluzzo. Nato da un’idea dell’imprenditore Matteo Morello, già proprietario del Castellana di Hong Kong, il ristorante è guidato in cucina dall’executive chef Enrico Degani e si avvale della consulenza dello chef stellato Marco Sacco (Piccolo Lago di Verbania, Piano 35 a Torino). 

Courtesy of Ristorante Castellana San Giovanni

L’esperienza gastronomica del Castellana San Giovanni mette insieme una location di grande personalità con la cucina basata su materie prime della tradizione locale e ricette che prendono spunto anche da tradizioni lontane, come quella asiatica, perfettamente abbinate ai vini, in larga parte provenienti dal territorio piemontese, grazie alla competenza in sala della maître Carlotta Rosso. 

Tra i piatti proposti, disponibili alla carta o attraverso menù fisso a partire da 5 portate, spiccano preparazioni particolarmente ben riuscite come gli squisiti Tacos di Fassona da mangiare rigorosamente con le mani, i Ravioli Bieta e Seirass e l’indimenticabile “Crin che torna da Hong Kong”, il maialino cotto a bassa temperatura e accompagnato da un brodo leggero che sintetizza forse più di tutti lo spirito del Castellana. 

Courtesy of Ristorante Castellana San Giovanni

Per godere appieno dell’atmosfera incantata della Saluzzo notturna è possibile pernottare in una delle 13 stanze del Resort San Giovanni, realizzate nelle ex celle dei monaci e svegliarsi al mattino con la colazione servita tra i capitelli del chiostro gotico. Non sarà difficile, volendo, riempire un’altra giornata nella ex capitale del Marchesato. La Casa natale di Silvio Pellico, la Cattedrale, il Giardino Botanico di Villa Bricherasio e la Sinagoga sono solo alcuni suggerimenti.

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