Valutazioni sui social perlopiù osannanti, della manifestazione dei 70.000 (100.000 secondo gli organizzatori) che ha avuto luogo sabato a Praga in piazza Venceslao per protestare contro il caro-bollette e la crisi energetica. Nulla da eccepire sin qui, anzi ampiamente fondato un tale moto di piazza, qualora si consideri che i rincari sono giunti in Repubblica Ceca alle stelle sì da far apparire, al confronto, rosea la situazione italiana e quella di alcuni altri Paesi Ue, impegnati a varare, qualunque esse siano, politiche preventive e di contenimento. Non a caso il ministro della Giustizia Pavel Blažek, componente del partito liberalconservatore e leggermente euroscettico (Občanská Demokratická Strana – ODS) guidato dal premier Pitr Fiala, ha subito osservato come a manifestare fossero state soprattutto persone preoccupate del loro futuro. Necessario, dunque, per il guardasigilli ceco ascoltarne il grido d’allarme e affrontare seriamente la questione sollevata.
Un grande moto di piazza, dunque, ma in ultima analisi strettamente correlato, oltre che a scontate reazioni anti-Nato, anche, e soprattutto, a richieste di sospensione immediata delle sanzioni economiche alla Russia con ripresa delle relative forniture di gas, di neutralità della Repubblica Ceca, di liberazione dalla sottomissione politica all’Unione europea, all’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’Onu. E infine la domanda di dimissioni immediate del governo Fiala, che, accusato d’essere asservito a Washington e a Bruxelles, è stato sin da subito tra i più oltranzisti nell’opposizione a Mosca e tra i più disponibili nell’accoglienza ai profughi ucraini.
A preoccupare, in particolare, è l’acceso antieuropeismo delle realtà organizzatrici, identificate dal premier, nonché dal ministro Blažek, in «forze di orientamento filorusso, vicine all’estremismo e contrarie agli interessi del Paese». Parole non del tutto scontate per un capo del Governo, che, come detto, è anche leader di ODS, uno dei partiti membri dei Conservatori e Riformisti europei, la cui presidente è Giorgia Meloni. D’altra parte, la Repubblica Ceca sta detenendo la presidenza di turno dell’Unione europea e a Praga si terrà dal 6 al 7 ottobre il prossimo Consiglio europeo, ultimo appuntamento internazionale per il presidente del Consiglio Mario Draghi.
In ogni caso, lo stesso titolo della manifestazione, Česká republika na 1. (Repubblica Ceca al 1° posto, ndr), aveva fatto capire sin da subito il leitmotiv del raduno di piazza Venceslao, in cui tra le frasi scandite ricorreva spesso: «Cena na prvním místě» (Prima i Cechi, ndr). È impossibile non pensare subito a un consimile slogan nostrano d’area leghista, gridato a ogni piè sospinto, in un recente passato, per giustificare decreti scellerati come quelli per la Sicurezza e arricchire il vacuo repertorio dell’inumana retorica dei porti chiusi. È parimenti impossibile non rilevare come la revoca immediata delle sanzioni economiche alla Russia, invocata dai 70.000 praghesi, sia soltanto l’esplicitazione chiara e urlata di quanto Matteo Salvini, il cui cuore batte da sempre per l’amato Vlad, vorrebbe anche lui fare da tempo. E, invece, il «pastorinho» di via Bellerio è momentaneamente costretto a girarci intorno alle sanzioni, criticandole in maniera più o meno leggera tra l’imbarazzo degli alleati.
D’altra parte, in piazza San Venceslao, oltre ai militanti del Partito Comunista, c’erano, a farla da padroni, tanto i movimenti antisistema ed euroscettici quanto le varie formazioni ultranazionaliste e, soprattutto, il principale partito populista di destra Svoboda a přímá demokracie, il cui “valore” identitario dell’antimmigrazionismo è stato tradotto in slogan e interventi d’inaudita violenza. Mosca, che ovviamente può già contare sul sostegno dell’Ungheria di Orbán, ha plaudito alla manifestazione di piazza Venceslao, facendola passare tout court come espressione del sentimento popolare. Non meraviglia pertanto che a non aderire alla manifestazione sia stato invece il principale partito d’opposizione (ANO), guidato dall’ex premier Andrej Babiš, che preferisce condurre le sue lotte in Parlamento, tenendosi ben lontano da strumentalizzazioni del malcontento popolare, a dir poco esplosive.